L’uccisione di Osama bin Laden, 10 anni fa
Il terrorista più ricercato al mondo fu raggiunto e ucciso dalle forze speciali statunitensi nella notte tra l'1 e il 2 maggio 2011, dopo oltre un decennio di ricerche
Nella notte tra l’1 e il 2 maggio 2011 una squadra dei Navy Seals, le forze speciali statunitensi, fece irruzione in un edificio di Abbottabad, in Pakistan, che nei mesi precedenti era stato individuato come il probabile nascondiglio di Osama bin Laden, capo dell’organizzazione terroristica islamista Al Qaida nonché all’epoca l’uomo più ricercato al mondo dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, di cui era stato il principale organizzatore.
Al termine di una delle operazioni più segrete e rischiose mai organizzate dall’intelligence americana, i Navy Seals trovarono bin Laden al terzo piano dell’edificio indicato e lo uccisero. Per mezzo mondo la giornata del 2 maggio 2011 si aprì con la notizia che bene o male chiudeva un decennio di storia, annunciata in una conferenza stampa alla Casa Bianca dall’allora presidente Barack Obama, che aveva dato il via libera alla missione quando negli Stati Uniti era ancora la sera del primo maggio. Tra l’ordine e l’uccisione, Obama si presentò sforzandosi di comportarsi come se nulla fosse alla tradizionale cena con i corrispondenti della Casa Bianca, una cosa a metà tra un evento mondano e uno show in cui il presidente è solitamente chiamato a esibirsi in un monologo comico.
La tensione generata durante lo svolgimento di un’operazione epocale, iniziata senza troppe certezze dall’altra parte del mondo, violando di proposito e senza preavviso la sovranità di uno stato alleato, fu immortalata in una delle foto più famose scattate da Pete Souza, il fotografo presidenziale. Souza riprese le persone all’interno della situation room della Casa Bianca, tra le quali Obama, la segretaria di stato Hillary Clinton e l’allora vice presidente Joe Biden, in uno dei momenti cruciali della missione.
Dopo gli attentati dell’11 settembre, l’amministrazione del presidente repubblicano George W. Bush aveva dato inizio a una serie di operazioni militari ostili in Medio Oriente che erano cominciate ufficialmente con l’invasione dell’Afghanistan il 7 ottobre dello stesso anno. Tuttavia, secondo James Clapper, in quegli anni direttore dell’intelligence americana, dall’11 settembre una sola missione superava costantemente per priorità tutte le altre: trovare, catturare o uccidere Osama bin Laden.
Per Leon Panetta, allora direttore della CIA, prima dell’operazione «alcuni pensavano che bin Laden vivesse in una grotta, alcuni che fosse nelle aree tribali del Pakistan, altri pensavano che potesse essere in Iran, altri ancora lo ritenevano morto». Fatto sta che dopo gli attentati di New York e Washington, bin Laden era sparito e gli Stati Uniti erano andati vicini alla sua cattura soltanto nei primi anni Duemila, nella zona montuosa afghana di Tora Bora.
Nel decennio successivo, complici le lunghe e impegnative operazioni militari in Afghanistan e Iraq, la ricerca di bin Laden non portò nessun risultato concreto e di fatto si bloccò. Durante i primi anni dell’amministrazione Obama, le ricerche vennero riprese e intensificate su specifiche indicazioni del presidente, tanto da portare la CIA a convocare riunioni settimanali anche in assenza di novità. I nuovi sforzi portarono una pista da seguire nell’agosto del 2010, quando la CIA riuscì a individuare due soggetti ritenuti i corrieri fidati di bin Laden.
Uno dei due, identificato come Au Ahmed al-Kuwaiti, viveva in un complesso residenziale ad Abbottabad, una località a nord della capitale pakistana Islamabad, luogo peraltro sede di un’accademia militare. La CIA, insospettita dalla riservatezza e dalla complessità dell’edificio, circondato da muri alti non meno di tre metri e completamente schermato dall’esterno, lo mise sotto stretta sorveglianza: al-Kuwaiti e suo fratello andavano e venivano, ma un altro uomo, quello del terzo piano, non usciva mai, se non la sera tardi, al buio, per passeggiare brevemente intorno.
Fino a operazione quasi conclusa, nessuno ebbe mai la certezza che potesse trattarsi di bin Laden, ma gli indizi raccolti nei mesi precedenti avevano eliminato gran parte dei dubbi. Il complesso residenziale non era allacciato alle reti idriche ed elettriche del luogo. Le persone che ci abitavano bruciavano i loro rifiuti per non farli raccogliere e i due corrieri viaggiavano per chilometri e chilometri solamente per fare una telefonata: al-Kuwaiti, per esempio, fu individuato a Peshawar, città in cui andava a telefonare distante circa duecento chilometri da Abbottabad.
Nel tentativo di accertare la presenza di bin Laden prima di procedere con l’operazione sul campo, la CIA organizzò un finto programma di vaccinazioni per ottenere il DNA di un membro della famiglia residente e avere così prove più affidabili. La CIA avvicinò allora Shakil Afridi, uno dei dirigenti sanitari del luogo, che a marzo si recò ad Abbottabad per iniziare un finto programma di vaccinazione contro l’epatite B. In quel periodo Afridi arrivò al complesso insieme a un infermiere che riuscì a entrare nella residenza per somministrare i vaccini. Tuttavia, non fu mai accertato il riuscito prelievo di DNA in quella occasione.
Verso la fine del 2010 la CIA, Obama e un numero ristretto di persone autorizzate iniziarono a pianificare l’operazione. Si ipotizzò una collaborazione con le forze armate pakistane, che però venne escluso per la possibilità che queste non mantenessero il riserbo necessario. Panetta e William McRaven, capo del Joint Special Operations Command, il comando per le operazioni delle forze speciali, misero quindi sul tavolo due alternative: un raid notturno dei militari o il bombardamento del complesso. Quest’ultima ipotesi fu scartata in quanto avrebbe potuto provocare danni e perdite tra i civili di un paese considerato alleato e soprattutto perché avrebbe reso pressoché impossibile l’identificazione delle vittime.
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Dopo altre valutazioni e un’esercitazione di tre settimane svolta in una replica del complesso residenziale di Abbottabad costruita in una località segreta degli Stati Uniti, Obama diede ordine a McRaven di organizzare l’attacco. Per l’assalto al rifugio di bin Laden i militari si sarebbero serviti di due elicotteri MH-60 Black Hawk. Il primo, con a bordo l’interprete, sarebbe atterrato poco distante dall’edificio per tenere lontani gli abitanti del posto. Il secondo elicottero si sarebbe occupato dell’irruzione nell’edificio.
Le condizioni meteorologiche e ambientali più adatte per le operazioni si verificarono domenica primo maggio, giorno in cui Obama cancellò tutti i suoi appuntamenti tranne il golf, per non destare sospetti, visto che era solito giocare ogni domenica: quel giorno però fece soltanto nove buche, e non diciotto come al solito. Poco prima delle due di pomeriggio — ora di Washington — i due Black Hawk decollarono da Jalalabad, in Afghanistan, per arrivare ad Abbottabad prima delle tre.
La squadra del primo elicottero si calò con una fune fuori dalle mura del complesso. Pochi minuti dopo anche la seconda squadra toccò terra. Secondo le ricostruzioni, Kuwaiti fu il primo ad accorgersi dei militari. Corse a prendere un fucile, ma quando uscì di casa per sparare fu ucciso all’istante. La squadra di nove uomini dentro il complesso residenziale si divise in tre gruppi e avviò l’irruzione.
Cinque uomini adulti vivevano nella casa, tre furono uccisi. Arrivati al terzo piano, i militari aprirono la porta di una camera da letto. Dopo aver neutralizzato due delle mogli, bin Laden fu colpito alla testa e morì. Uno dei militari lanciò via radio il messaggio in codice: «Per Dio e per il paese, Geronimo, Geronimo, Geronimo». E dopo una pausa, aggiunse: «Geronimo E.K.I.A.» («Enemy killed in action», nemico ucciso durante l’azione). Il corpo fu avvolto in una busta di plastica e caricato in elicottero. Due campioni di midollo e alcuni tamponi per la prova del DNA furono prelevati dal cadavere per stabilire con certezza l’identità. Alle tre di notte, ora locale, l’elicottero superstite (l’altro, danneggiato durante l’atterraggio, era stato dato alle fiamme) tornò alla base di Jalalabad.
Fu poi deciso di trasportare la salma per via aerea sulla portaerei a propulsione nucleare USS Carl Vinson, al largo del mar Arabico, sulla quale fu celebrata una breve cerimonia con rito islamico, prima di seppellire i resti di bin Laden in mare. L’operazione fu eseguita nella massima segretezza, non furono diffuse fotografie, né video, né altri documenti su come furono gestite le cose: tutto per evitare che la sua tomba diventasse un santuario o un obiettivo sensibile per il terrorismo internazionale.
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