Perché “Quarto potere” è “Quarto potere”
Piccola guida ai motivi per cui il film di Orson Welles, uscito 80 anni fa, è quasi sempre in cima alle classifiche dei migliori della storia
Il primo maggio 1941 a New York ci fu la prima proiezione di Citizen Kane, che in Italia sarebbe arrivato un paio di anni dopo la fine della guerra con il titolo Quarto potere. Prodotto, scritto, diretto e interpretato da Orson Welles, allora venticinquenne e al suo primo film, Quarto potere piacque subito a molti – «va vicino all’essere il più sensazionale film mai fatto a Hollywood» scrisse il 2 maggio il New York Times – e nei decenni è diventato il film che più di tutti si è avvicinato a essere considerato in maniera unanime il migliore di sempre. Un primato su cui, ovviamente, un’unanimità non è mai esistita e mai esisterà.
Quarto potere è il film che invecchia meno tra i film “che non invecchiano mai”, di quelli da studiare inquadratura per inquadratura, ed è così per via di una serie di motivi legati al modo in cui fu pensato e girato, al tipo di storia che racconta e al modo in cui, anche diversi anni dopo quella sua anteprima a New York, si continuò a guardarlo, a scriverne e a parlarne.
La struttura
Quarto potere ha per protagonista Charles Foster Kane, un ricchissimo magnate dell’editoria: un personaggio chiaramente ispirato all’allora famosissimo William Randolph Hearst, che infatti non gradì. Solo che Kane muore all’inizio del film e tutto il racconto è quindi narrato attraverso cinque flashback in cui personaggi diversi spiegano, dal loro punto di vista, un pezzo della vita di Kane. E prima dei flashback c’è un cinegiornale che spiega agli spettatori chi fosse: serve inoltre a introdurre il personaggio di Jerry Thompson, un giornalista che deve fare un’inchiesta su Kane, con lo scopo di scoprire il significato e le implicazioni della parola che quest’ultimo pronunciò in punto di morte. “Rosebud”, in italiano “Rosabella”.
La storia, quindi, si muove al passo degli incontri e delle conversazioni di Thompson e della sua ricerca del significato di una parola. Ma l’interesse di chi guarda va in pochissima misura verso Thompson, e forse nemmeno troppo verso la parola in sé. Va invece, e molto, verso Kane: un personaggio ambiguo e difficile da capire. Di Quarto potere si è parlato spesso come di un puzzle da comporre, un enigma da risolvere. Con la peculiarità che il puzzle e l’enigma sono l’intera persona di Kane: i suoi pensieri e le ragioni profonde alla base del suo agire. Il fatto è che i resoconti sono talvolta discordanti e a farli sono persone tutt’altro che imparziali.
Alla fine, il povero Thompson non scopre cosa volesse dire quella parola. Lo spettatore invece sì. Né Thompson né lo spettatore possono però dire di aver capito davvero Kane.
La tecnica
È spesso l’aspetto su cui chi ha studiato cinema (e ci tiene a farlo notare) pone l’accento per parlare di cosa fu Quarto potere. Perché, in effetti, così come la struttura narrativa è funzionale a un racconto complesso e inusuale, così lo sono anche le tante scelte di scenografia, fotografia, montaggio e di tutti quei pezzi che, messi insieme, fanno un film. A questo proposito si citano spesso l’uso del piano sequenza (una lunga inquadratura senza stacchi) e della profondità di campo (che fa sì che molto di quel che viene inquadrato sia a fuoco contemporaneamente, in un certo senso delegando allo spettatore la scelta di cosa guardare).
Ma in Quarto Potere c’è anche un uso delle luci innovativo (una caratteristica legata alla profondità di campo) e inquadrature spesso piuttosto ardite: alcune molto dal basso, al punto che si vedono spesso i soffitti, scelta quasi irriguardosa per l’epoca. Altre ancora sono invece inclinate, come se a guardare fosse qualcuno con il collo storto. Si parla in questo caso di “angolo olandese”.
Sui generis
Quarto Potere è senza dubbio un film drammatico, ed è così che lo classifica Amazon Prime Video, del cui catalogo fa parte al momento. Ma nei suoi 119 minuti di durata copre, tocca o comprende tutta un’altra serie di generi cinematografici, spesso giocando anche un po’ con le convenzioni e i cliché di ognuno, che già c’erano e spesso non sono cambiati poi molto, in tutto questo tempo.
Quarto Potere sembra poter essere un horror, poi quasi un documentario, a tratti è persino un musical o una commedia, e di certo è anche una tragedia. Ha pezzi che sembrano «un esperimento surrealista degno di Dalí o Buñuel», subito prima o subito dopo altri che invece, seppur a modo loro, sono più canonici e tradizionali, e che «evocano contesti dickensiani». Il film è anche una biografia del “cittadino Kane” e un commento critico sul “sogno americano”. E già abbiamo detto di quanto e come Quarto Potere sia anche un giallo. Anzi, due: uno su Kane e uno su “Rosebud”.
La rielaborazione
È il momento di dire che – come succede spesso, non solo al cinema – Quarto potere non inventò davvero niente, ma si limitò a rielaborare, fondere o rifare meglio molto di quello che già c’era stato o già era stato fatto.
Nel 1946, un critico cinematografico francese lo definì «un’enciclopedia di vecchie tecniche» e come osservò qualche anno fa BBC, «sebbene lui non intendesse fare un complimento al film, finì per riassumerne uno dei meriti principali». Il fatto che Quarto Potere sia considerato – tra le tante altre cose – un efficacissimo compendio di tecnica cinematografica, tra l’altro, ha a che fare con il fatto che Welles stesso, da regista debuttante, stesse imparando e scoprendo cosa si poteva fare con il cinema.
– Leggi anche: Chiedi chi era Orson Welles
«Rosebud»
Welles, che arrivò al cinema dal teatro e dalla radio, era di certo uno che dedicava grande cura alle parole, e che evidentemente sapeva farlo: fino a far credere, nel 1938, che fossero arrivati i marziani parlando alla radio. E anche Quarto Potere contiene una serie di frasi e battute notevoli, la maggior parte delle quali pronunciate da Kane, uno che può permettersi di dire «io sono un’autorità su come far pensare la gente». E poi c’è «Rosebud», la parola che dà il via alle vicende del film e il cui significato viene svelato infine poco prima dei titoli di coda.*
In realtà, negli anni successivi al film Welles disse di non andare granché fiero della trovata relativa alla parola Rosebud. E in effetti è uno dei pochi elementi di sceneggiatura su cui non ebbe problemi a dire che fosse stata un’idea di Herman Mankiewicz, protagonista del recente film di David Fincher che racconta una versione (una delle due principali) su come fu scritta la sceneggiatura di Quarto Potere.
– Leggi anche: Le storie dietro a Mank (e quindi dietro a Quarto Potere)
È tutto un complesso di cose
Se qualcuno intuì subito che Quarto Potere era un film diverso dagli altri, qualcun altro ci mise molto più tempo. E come spiegò qualche mese fa un approfondito articolo di Vulture, la fama di miglior film della storia del cinema si costruì negli anni: grazie all’arrivo del film in Europa e in particolare in Francia, dove fu apprezzato soprattutto da certi registi emergenti e da tutto quel giro di critici e registi che nel 1951 fondarono i Cahiers du cinéma. Ma furono forse altrettanto determinanti i suoi passaggi, dagli anni Cinquanta, sulla tv statunitense.
E nel suo prendere e rielaborare, nel suo essere l’opera di un regista senza dubbio geniale ma pur sempre debuttante e che non aveva studiato cinema, finì per essere l’incastro e l’unione di tanti elementi diversi, a volte quasi opposti. Sempre secondo Vulture, già negli anni Cinquanta finì infatti per rappresentare «il punto apicale del cinema americano della prima metà del Novecento» e, allo stesso tempo, «una critica d’autore di tutte le convenzioni di quel tipo di cinema».
E più Welles continuava a fare film (grandissimi film, spesso), più Quarto Potere diventava l’emblema di una cosa pura e irripetibile. Una straordinaria occasione in cui a un talento grandissimo e ancora per nulla imbrigliato come il suo era stata data piena libertà di fare il film che voleva, come voleva. Lui, di suo, ci mise il talento e quella che spiegò essere nient’altro che «ignoranza, ignoranza, pura ignoranza».
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*Rosebud
è
lo slittino, come rivela Lucy a Linus in questa famosa striscia dei Peanuts. Cioè il simbolo della nostalgia di Kane per l’innocenza perduta di quando era piccolo.