Perché in India mancano le riserve di ossigeno
C'entrano l'aumento del numero di persone che hanno chiesto il ricovero in ospedale e le difficoltà nel trasporto di cisterne e bombole da una parte all'altra del paese
Nelle ultime settimane la carenza di riserve di ossigeno negli ospedali indiani è diventata un problema enorme, e ha aggravato una situazione già drammatica provocata dalla durissima seconda ondata dell’epidemia da coronavirus che sta interessando il paese: l’ossigeno è infatti fondamentale nel trattamento delle persone malate di COVID-19 ricoverate in ospedale con insufficienze respiratorie.
La carenza di riserve di ossigeno in India non ha una sola causa e si deve a un insieme di fattori legati sia alla geografia della produzione dell’ossigeno in India sia alle difficoltà di trasportare rapidamente materiale così delicato coprendo grandi distanze.
Ad oggi la carenza di riserve di ossigeno è un problema che riguarda soprattutto alcuni stati del nord e dell’ovest del paese, e in particolare le zone dove si trovano le due città più popolose: Nuova Delhi e Mumbai. Solo nel territorio di Delhi, che comprende la capitale Nuova Delhi, e nello stato del Maharashtra, dove si trova Mumbai, è stato rilevato circa un quarto di tutti i casi di contagio attivi nel paese.
Il fatto che l’ossigeno sia così difficile da reperire si deve principalmente al modo in cui viene prodotto a scopi medici e dato in dotazione agli ospedali. La maggior parte dell’ossigeno prodotto, in India e nel resto del mondo, viene utilizzato per motivi industriali, e solo una piccola parte è riservata alle cure mediche negli ospedali.
A loro volta non tutti gli ospedali si riforniscono di ossigeno alla stessa maniera: i più grandi hanno capienti cisterne in cui conservano l’ossigeno in forma liquida e poi lo erogano trasformato in gas attraverso condutture che arrivano direttamente ai letti dei pazienti. Gli ospedali più piccoli che non possono permettersi di avere una propria cisterna, o che non ne hanno bisogno dato il basso numero di pazienti che ricevono, utilizzano invece bombole di ossigeno più piccole e ricaricabili.
Il fatto che proprio negli stati del nord e dell’ovest dell’India siano state registrate le situazioni di carenza di ossigeno più gravi si deve in primo luogo all’elevato numero di persone contagiate, che hanno affollato gli ospedali, ma anche a motivi legati alla distribuzione degli impianti dove viene prodotto l’ossigeno per scopi sanitari.
La maggior parte degli impianti si trova infatti negli stati orientali dell’India, dove i contagi sono più bassi, e a cui il governo centrale del primo ministro Narendra Modi ha chiesto di inviare il proprio surplus di ossigeno verso le aree dove la situazione è più difficile. Il trasporto dell’ossigeno dalle fabbriche dell’est sta però incontrando grosse difficoltà logistiche: deve essere effettuato tramite autocisterne, o già stoccato in bombole, e per ragioni di sicurezza – considerato il rischio di esplosioni – non può avvenire via aereo, ma solo su strada.
Le strade spesso dissestate, e la regola che impone agli automezzi che trasportano ossigeno di viaggiare a una velocità non superiore ai 40 chilometri orari, hanno rallentato enormemente il trasferimento di ossigeno tra le varie città, mandando in crisi il sistema di approvvigionamento: in alcuni casi ci sono voluti diversi giorni per raggiungere città come Nuova Delhi e Mumbai da est. Per migliorare la situazione, il governo ha mobilitato l’esercito e chiesto alle aziende che usano l’ossigeno per scopi industriali di sospenderne l’impiego, in modo da privilegiare le forniture agli ospedali.
I rallentamenti nell’approvvigionamento hanno causato situazioni disperate, con centinaia di persone malate fuori dagli ospedali in attesa di poter essere ricoverate. In alcune città le bombole di ossigeno sono diventate addirittura merce acquistabile sul mercato nero, a prezzi 30 volte superiori rispetto al normale. La crisi è talmente grave che un tempio sikh della periferia di Nuova Delhi ha offerto gratuitamente bombole d’ossigeno per chiunque ne avesse bisogno, e in molti si sono accampati al di fuori e si sono fatti somministrare l’ossigeno in mezzo alla strada.
Mentre problemi logistici e sovraffollamento degli ospedali sono considerati la causa principale della carenza di riserve di ossigeno, non si sa ancora con certezza se la cosiddetta “variante indiana” del virus abbia contribuito in qualche modo a rendere la situazione così critica.
Balram Bhargava, direttore generale dell’Indian Council of Medical Research (ICMR), il principale ente di ricerca medica del paese, ha sostenuto che l’aumento significativo della richiesta di ossigeno osservato nelle ultime settimane potrebbe essere spiegato con il “panico” generato dall’aumento dei contagi, che avrebbe spinto sempre più persone a chiedere di essere ricoverata in ospedale.
Questo tipo di problemi ha riguardato non solo l’India, ma anche diversi paesi poveri che privilegiano da sempre una produzione di ossigeno orientata a scopi industriali e per le costruzioni. E non è facile convertire la produzione, anche perché i contenitori usati sono contaminati da olio, polveri e altri materiali, che non li rendono sicuri per la somministrazione di ossigeno in ambito sanitario.
L’India ha circa 500 fabbriche che producono ossigeno per scopi medici e industriali, per un totale di oltre 7.500 tonnellate di ossigeno al giorno. In tempi normali gli ospedali necessitano solo del 15 per cento della produzione nazionale, ma nel corso della seconda ondata di contagi la richiesta di ossigeno per scopi sanitari è arrivata fino al 90 per cento del totale.
Già durante la prima ondata di contagi della scorsa estate c’era stata una crisi dovuta alla carenza di ossigeno negli ospedali, e il governo aveva indetto un bando per la costruzione di 162 nuovi impianti con cui gli ospedali sarebbero stati in grado di produrre ossigeno in autonomia, senza quindi dover attendere rifornimenti dalle fabbriche. Ad oggi ne sono stati installati solamente 33, e i restanti dovrebbero essere pronti entro la fine di maggio.