Quanti tirannosauri hanno abitato la Terra
Probabilmente 2,5 miliardi di individui, in 2,4 milioni di anni, ha concluso uno studio che utilizza criteri innovativi per questo campo di ricerca
Misurare la quantità di individui di determinate specie animali viventi formulando stime approssimative della popolazione è una pratica comune in biologia, utile a definire molti aspetti essenziali di ciascuna specie, dalle sue relazioni con l’ambiente al livello di minaccia di estinzione. Nel caso di specie estinte da tempo, questo lavoro di misurazione è inevitabilmente più complicato. Un gruppo di paleontologi e biologi dell’Università della California, Berkeley, ha provato a farlo con il Tyrannosaurus rex, la più conosciuta e citata specie di dinosauro carnivoro. E ha concluso che la stima più plausibile è che 2,5 miliardi di tirannosauri abbiano abitato la Terra per un totale di 127 mila generazioni in un periodo di 2,4 milioni di anni (circa 68-65,5 milioni di anni fa, nel Cretaceo superiore), prevedendo però un margine di errore che ammette fino a un massimo di 42 miliardi di individui vissuti complessivamente.
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La ricerca – guidata da Charles Marshall, docente di biologia a Berkeley e direttore del Museo di Paleontologia dell’Università – è stata pubblicata sulla rivista Science. Pur presentando margini di errore piuttosto ampi, in parte dovuti all’incertezza di molti dati a monte della ricerca, lo studio è stato accolto positivamente dagli addetti non soltanto per i risultati ma soprattutto per il metodo adottato.
In sostanza i ricercatori hanno utilizzato con i fossili di T. rex un sistema di approssimazione basato su una relazione tra le dimensioni del corpo e la densità della popolazione delle specie di animali viventi paragonabili ai T. rex per determinati aspetti, in modo da ricavare informazioni riguardo alla specie estinta. Si ritiene che questo approccio possa avviare un tipo di ricerca sulle popolazioni di animali estinti basato su dati aggiuntivi rispetto a quelli che sia possibile attribuire soltanto a un singolo fossile.
L’osservazione centrale da cui partono i calcoli compiuti dal gruppo di ricerca dell’Università di Berkeley ruota attorno a evidenze note nella biologia che si occupa di specie viventi, ossia che gli animali di piccole dimensioni (i topi, per esempio) sono molto più numerosi di quelli di grandi dimensioni (gli ippopotami o gli elefanti). I ricercatori hanno fatto riferimento alla cosiddetta legge di Damuth, che prende il nome dal biologo californiano che nel 1981 formulò una relazione inversa tra la massa corporea di una determinata specie e la prevista densità di popolazione. Non vale per tutti gli animali ma si applica generalmente ai mammiferi carnivori e anche, per esempio, ai rettili squamati come le lucertole, modelli utili per i ricercatori dell’Università di Berkeley.
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Per utilizzare la legge di Damuth è stato necessario fornire non soltanto il peso dei T. rex (circa 6 tonnellate) ma anche recuperare altre informazioni relative al metabolismo e ai tempi di crescita e di sviluppo del loro organismo. In base ai dati esistenti, ricavati da altri studi, il gruppo di ricerca ha ipotizzato che i T. rex adulti avessero un metabolismo intermedio tra quello di grandi varanidi, come il drago di Komodo, e quello di mammiferi carnivori, come il leone. Alcune ricerche suggeriscono che gli individui giovani abitassero nicchie a parte e si nutrissero in modo differente rispetto agli adulti, e per questa ragione non sono stati presi in considerazione nello studio.
Non è stato possibile ricavare con buona approssimazione altri dati generalmente richiesti dal modello, come per esempio quelli relativi all’eventuale presenza e distribuzione dei tirannosauri in aree del Nord America diverse e più estese rispetto a quelle in cui sono stati ritrovati i fossili. Che è anche una delle ragioni, ha spiegato Marshall, per cui i risultati devono essere intesi non come una risposta precisa e definitiva ma piuttosto come una forbice plausibile.
In base alle conclusioni tratte dai ricercatori, la popolazione permanente di T. rex (ossia gli individui adulti vivi in un qualsiasi momento) era di circa 20 mila individui in un periodo di tempo che va da 68 a 65,5 milioni di anni fa. Ma è un dato molto approssimato, ribadiscono gli autori dello studio: l’intervallo di affidabilità del 95 per cento – cioè il range entro cui esiste una probabilità del 95 per cento che si trovi il numero reale della popolazione permanente di T. rex – è tra 1.300 e 328 mila individui adulti.
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I dati utilizzati dai ricercatori hanno permesso di stimare una durata di circa 19 anni per ogni generazione di T. rex e una densità di popolazione di circa 1 individuo ogni 100 km2. Significa che nell’area del Nord America abitata dai T. rex – 2,3 milioni di km2, hanno ipotizzato i ricercatori – una superficie estesa quanto il comune di Milano avrebbe ospitato mediamente un paio di individui. La conclusione tratta, tenendo in considerazione queste informazioni e prendendo per buono il dato sulla popolazione permanente di circa 20 mila individui, è che 2,5 miliardi di T. rex adulti siano nati e morti nei circa 2,4 milioni di anni in cui questo dinosauro ha abitato la Terra.
«Sembra inconcepibile durare un paio di milioni di anni con quei pochi individui», ha detto Marshall commentando la stima finale ricavata dallo studio e aggiungendo che quelle che aveva formulato inizialmente si aggiravano intorno a diverse decine di migliaia di individui (anche 100 o 200 mila). Gran parte dell’incertezza di questi numeri, hanno spiegato i ricercatori, deriva anche dal fatto che la legge di Damuth non è una legge universale: giaguari e iene, per esempio, sono animali paragonabili secondo quel modello – sono entrambi mammiferi carnivori e hanno dimensioni simili – eppure la densità di popolazione delle iene è circa 50 volte maggiore di quella dei giaguari.
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Nonostante questa imprecisione, riducibile fino a un certo punto, la ricerca è stata definita innovativa per gli studi di paleontologia. «Non credo che molti di noi – che siamo, diciamo, paleontologi concentrati sullo scheletro – pensassero che questo studio fosse possibile, e credo che sia davvero illuminante in questo senso», ha commentato il paleontologo dell’Università del Minnesota Peter Makovicky. Per avere un’idea più intuitiva di quanti siano 20 mila individui di una specie, Makovicky ha cercato di confrontarli con quelli di altri animali viventi. «Attualmente ci sono meno di 4 mila tigri, allo stato brado, che non sembra un numero grande ma in realtà non è nemmeno così piccolo», ha detto.
Secondo i calcoli dei paleontologi dell’Università di Berkeley coinvolti nello studio, la quantità di fossili di T. rex complessivamente recuperati sarebbe, a oggi, piuttosto piccola. Gli attuali registri delle scoperte indicano che sono stati portati alla luce meno di 100 individui, molti dei quali riconosciuti da un solo osso fossilizzato. «Ci sono circa 32 T. rex relativamente ben conservati nei musei pubblici, oggi, e questo significa che tra tutti quelli che siano mai vissuti ne abbiamo circa uno su 80 milioni», ha detto Marshall.