I guai del vaccino Sputnik V in Brasile
La richiesta di impiegarlo in alcuni stati brasiliani è stata respinta dalle autorità di controllo, dopo che nel vaccino sono stati rilevati virus ancora attivi
All’inizio di questa settimana, l’Agenzia nazionale per la vigilanza sanitaria (Anvisa) del Brasile ha respinto la richiesta di alcuni stati brasiliani che avevano proposto di importare e utilizzare Sputnik V, il vaccino russo contro il coronavirus. Oltre alla mancanza di una chiara documentazione da parte della Russia, l’Agenzia brasiliana ha riferito di avere identificato nel vaccino particelle virali ancora in grado di replicarsi, concludendo che ciò potrebbe costituire un rischio per la salute pubblica. Il fondo sovrano russo che ha finanziato lo sviluppo di Sputnik V ha negato queste circostanze e accusato le autorità del Brasile di avere fatto una scelta politica e non basata su evidenze scientifiche.
Come i vaccini di AstraZeneca e di Johnson & Johnson, anche Sputnik V utilizza un particolare tipo di virus (“adenovirus”) per trasportare all’interno del nostro organismo il materiale genetico del coronavirus (SARS-CoV-2), in modo che il sistema immunitario impari a riconoscerlo senza dovere affrontare un’infezione vera e propria con tutti i rischi che ne conseguono.
Nel caso di Sputnik V gli adenovirus impiegati sono l’Ad26 per la prima somministrazione e l’Ad5 per la seconda. Questi virus sono piuttosto diffusi tra la popolazione e di solito non causano particolari problemi: per lo più infezioni respiratorie talmente lievi da passare inosservate. In alcuni individui con altri problemi di salute o particolari predisposizioni possono però essere rischiosi, e per questo gli adenovirus vengono modificati geneticamente, per essere utilizzati nei vaccini in sicurezza.
I virus mantengono così la loro capacità di penetrare nelle cellule, ma sono poi incapaci di riprodursi. Ciò consente di trasportare comunque il materiale genetico del coronavirus nel nostro organismo, in modo che il sistema immunitario sviluppi le proprie difese, ma senza che ci sia il rischio di ammalarsi a causa degli adenovirus ricevuti.
Nei test clinici svolti lo scorso anno e nella documentazione fornita alle autorità sanitarie, l’istituto russo Gamaleya che si è occupato dello sviluppo di Sputnik V aveva dichiarato che il proprio vaccino contenesse adenovirus incapaci di riprodursi, proprio per garantirne ulteriormente la sicurezza. Secondo i tecnici brasiliani le cose starebbero però diversamente, almeno nelle analisi svolte per concedere o meno l’importazione del vaccino e il suo impiego in alcuni stati brasiliani.
Presentando i risultati delle verifiche, uno dei responsabili di Anvisa, Gustavo Mendes, ha spiegato che:
Tra le criticità emerse c’era la presenza di adenovirus in grado di replicarsi. Ciò significa che il virus che dovrebbe essere utilizzato solamente per trasportare il materiale genetico del coronavirus nelle cellule umane per promuovere una risposta immunitaria può anche replicarsi. È una seria questione di non conformità. La capacità di replicarsi dell’adenovirus è stata riscontrata in tutti i lotti del vaccino Sputnik V ricevuti.
Immunologi e virologi discutono da tempo sull’opportunità di realizzare vaccini con adenovirus che possano riprodursi attivi, in modo da suscitare una maggiore risposta immunitaria, ma proprio per evitare particolari rischi si ritiene che la scelta fatta sia la più adeguata. Rilevando i virus ancora in grado di replicarsi, Anvisa ha concluso che non siano raggiunti gli standard di sicurezza fissati dalle principali autorità di controllo dei farmaci, come quelle degli Stati Uniti (FDA) e dell’Unione Europea (EMA).
I responsabili di Anvisa hanno inoltre segnalato di non avere ricevuto dalla Russia tutta la documentazione richiesta su Sputnik V. Due sopralluoghi realizzati in altrettanti impianti che si occupano della produzione del vaccino hanno fatto emergere altri problemi legati alla sicurezza del processo produttivo, soprattutto nel mantenimento della sterilità. Ai tecnici di Anvisa è stata invece negata la visita presso l’Istituto Gamaleya, dove era stato sviluppato il vaccino lo scorso anno.
La decisione di Anvisa per ora riguarda la richiesta che era stata formulata da nove stati brasiliani per utilizzare Sputnik V. L’autorità nei prossimi giorni proseguirà analisi e controlli, anche perché nel frattempo ha ricevuto richieste di utilizzo simili da altri cinque stati e da due aree metropolitane di Rio de Janeiro.
RDIF, il fondo russo per gli investimenti diretti che ha finanziato lo sviluppo e la produzione di Sputnik V, ha criticato duramente le conclusioni di Anvisa e ha accusato l’Agenzia di avere fatto una scelta politica, influenzata dagli Stati Uniti. Il fondo ha sostenuto di avere fornito tutta la documentazione necessaria e di non avere nascosto dati: «L’Istituto Gamaleya, che si occupa dei severi controlli di qualità in tutti i siti di produzione di Sputnik V, ha confermato di non avere mai rilevato adenovirus in grado di replicarsi in nessuno dei lotti del vaccino finora prodotti».
In attesa di ulteriori decisioni da parte delle autorità brasiliane, decine di milioni di dosi di Sputnik V non potranno essere utilizzate in Brasile, dove una seconda ondata di contagi ha causato una nuova crisi sanitaria nelle ultime settimane.
Il vaccino russo è stato finora autorizzato in circa 60 paesi in giro per il mondo ed è stato promosso molto attivamente dal governo della Russia, nell’ambito della cosiddetta “diplomazia dei vaccini”. Il presidente russo Vladimir Putin ritiene che il vaccino possa essere uno strumento importante per espandere la propria area di influenza, migliorando i rapporti con i propri alleati e con i governi che hanno mostrato interesse nel rinsaldare i rapporti con la Russia.