La riunificazione di Cipro è impossibile?
Sono ricominciati i negoziati per la riconciliazione dell'isola divisa, ma le cose non andavano così male da decenni
Questa settimana sono ricominciati a Ginevra i negoziati dell’ONU per la riconciliazione dell’isola di Cipro, divisa da quasi cinquant’anni tra uno stato greco-cipriota a sud e uno turco-cipriota a nord. I negoziati sono ripresi in un momento in cui il decennale processo di riunificazione si trova in uno dei punti più bassi di sempre: gli incontri di questa settimana, più che a lavorare per la riunificazione, servono a evitare che il lungo processo negoziale fallisca definitivamente.
Per la prima volta in decenni, infatti, una delle parti del negoziato, il governo turco-cipriota, ha avanzato ufficialmente la proposta di accettare lo status quo e di riconoscere che a Cipro ci siano due stati sovrani, rassegnandosi al fatto che l’isola rimarrà divisa. Questa proposta, benché sia osteggiata da buona parte della popolazione locale, è entrata nel negoziato dopo l’elezione l’anno scorso di un governo nazionalista a Cipro nord ed è fortemente sostenuta dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, da cui il governo turco-cipriota dipende sia economicamente sia diplomaticamente.
Soprattutto, secondo molti analisti sarebbe un sintomo del fatto che le divisioni si stanno facendo sempre più ampie e difficili da ricucire e che, dopo innumerevoli tentativi falliti, la finestra temporale per ottenere una riunificazione dell’isola si sta per chiudere in maniera definitiva.
I negoziati sono cominciati martedì 27 aprile e sono stati indetti dal segretario generale dell’ONU António Guterres. Vi partecipano, oltre ai governi di Cipro sud (riconosciuto dalla comunità internazionale esclusa la Turchia come il governo legittimo di tutta l’isola) e Cipro nord (riconosciuto come stato sovrano soltanto dalla Turchia), anche i ministri degli esteri di Grecia, Regno Unito e Turchia, considerate le tre “nazioni garanti” della situazione politica dell’isola sulla base di un trattato del 1960. Secondo Stephane Dujarric, portavoce di Guterres, «lo scopo dell’incontro sarà determinare se esiste un terreno comune per le parti per negoziare una soluzione duratura al problema di Cipro nel prossimo futuro».
Questa formulazione piuttosto arida rispecchia l’estremo pessimismo che caratterizza questo giro di negoziati, ed è in forte contrasto con l’ottimismo del 2017, quando una soluzione era considerata davvero raggiungibile. Già allora, dopo il fallimento dei negoziati, molti analisti dissero che Cipro poteva aver perso la sua ultima occasione per la riunificazione, e l’incontro di questa settimana rischia di dimostrarlo.
La divisione di Cipro, in breve
L’isola di Cipro è divisa in due dal 1974, anno della prima invasione delle truppe turche. Sull’isola per secoli avevano convissuto, in maniera a volte pacifica e più spesso conflittuale, una maggioranza di popolazione greca (il 77 per cento degli abitanti nel 1960) e una minoranza di popolazione turca (il 18 per cento). L’isola era stata dominata dall’impero ottomano fino alla fine dell’Ottocento, e poi era diventata parte dell’impero britannico all’inizio del Novecento.
Quando l’isola finalmente ottenne l’indipendenza nel 1960, dopo un periodo di scontri armati, una serie di trattati internazionali cercò di favorire la convivenza tra le due comunità all’interno di uno stato unitario che copriva l’intero territorio. Alla comunità turco-cipriota furono assegnati numerosi diritti e garanzie di sicurezza: per esempio, le fu garantito il 30 per cento dei seggi in Parlamento e diverse cariche pubbliche, anche apicali. Grecia, Regno Unito e Turchia assunsero il ruolo di “nazioni garanti”, a ciascuna delle quali era concesso il diritto di intervenire militarmente nel caso in cui i termini della convivenza pacifica fossero violati.
La convivenza tra le due comunità fu tuttavia un fallimento quasi immediato. Già da alcuni decenni i movimenti nazionalisti erano molto forti da entrambe le parti e sostenuti rispettivamente dai governi di Grecia e Turchia. I greco-ciprioti perseguivano la politica dell’enosis (unione), cioè della riunificazione con la Grecia di tutti i territori a maggioranza greca, mentre i turco-ciprioti in risposta avevano adottato la politica della taksim (divisione), cioè della creazione di uno stato indipendente turco-cipriota sull’isola.
Il primo presidente della repubblica di Cipro, l’arcivescovo ortodosso Makarios III, che rimase al potere dall’indipendenza del 1960 fino all’invasione turca del 1974, non poté (e in buona parte, da antico sostenitore dell’enosis, non volle) placare le violenze etniche, che cominciarono pochi anni dopo l’indipendenza e provocarono centinaia di morti da entrambe le parti. In quel periodo, ad avere la peggio fu la minoranza turco-cipriota, che subì il grosso delle discriminazioni e delle violenze: centinaia di villaggi turco-ciprioti furono distrutti e decine di migliaia di persone furono costrette a vivere in enclave isolate in condizioni disagevoli.
I turco-ciprioti furono anche estromessi da diverse cariche pubbliche e Makarios privò loro di parte dei diritti garantiti dai trattati del 1960 (la versione greca è che i turco-ciprioti si ritirarono volontariamente dalle cariche pubbliche), arrivando tra le altre cose a dividere in due Nicosia, la capitale. La Turchia minacciò più volte di intervenire militarmente in difesa dei turco-ciprioti, ma fu sempre fermata dai paesi NATO (di cui Turchia e Grecia fanno parte) e in particolare dagli Stati Uniti, che non volevano una guerra tra alleati nel Mediterraneo orientale.
Le cose cambiarono quando, nel luglio del 1974, il regime militare che aveva preso il potere in Grecia (la cosiddetta “dittatura dei colonnelli”) organizzò un colpo di stato a Cipro, con l’aiuto di gruppi nazionalisti locali, per rimuovere Makarios e sostituirlo con un nazionalista più convinto, con l’obiettivo futuro di completare l’enosis.
A quel punto la Turchia intervenne militarmente. Nel giro di pochi giorni inviò 30 mila soldati sull’isola e ne conquistò tutta la parte a nord-est, circa il 36 per cento del territorio totale. Nel giro di pochi mesi, l’isola si trovò permanentemente divisa e a quel punto furono i greco-ciprioti che abitavano nelle zone appena conquistate dalla Turchia ad avere la peggio: subirono gravi violenze e circa 180 mila greco-ciprioti furono costretti ad abbandonare le loro case per trasferirsi a sud. Contestualmente, circa 50 mila turco-ciprioti che vivevano nel sud dell’isola si trasferirono a nord.
L’isola si trovò così divisa in due: lungo il confine tra nord e sud corre tutt’oggi una lunga zona cuscinetto gestita dall’ONU. La capitale, Nicosia (per i turchi Lefkoşa), è attualmente l’unica capitale europea lungo cui corre un confine militarizzato. Sull’isola ci sono anche due ampi territori, ad Akrotiri e a Dhekelia, che ospitano basi militari britanniche e che costituiscono territorio sovrano del Regno Unito, mantenuto dopo il trattato d’indipendenza del 1960.
Qualche anno dopo l’invasione, nel 1983, Cipro nord si dichiarò indipendente in maniera unilaterale proclamando la Repubblica Turca di Cipro Nord, ma la sua sovranità fu riconosciuta soltanto dalla Turchia: tutto il resto della comunità internazionale ha continuato a riconoscere il governo greco-cipriota del sud come legittimo e come sovrano su tutta l’isola. Questa condizione è estremamente sfavorevole per i turco-ciprioti, che vivono in un territorio non riconosciuto da gran parte del mondo e si trovano in una situazione di embargo economico permanente: tutti i collegamenti aerei e gli scambi commerciali possono passare esclusivamente per la Turchia, da cui dipende la quasi totalità dell’economia di Cipro nord.
Anche a causa dell’isolamento, dopo quasi cinquant’anni di divisione la parte nord dell’isola è considerevolmente più povera e arretrata del sud, che gode di liberi commerci e che nel 2004 è entrata nell’Unione Europea.
Il fallimento dei negoziati
I negoziati per la riunificazione dell’isola sono cominciati pochi anni dopo l’invasione, e vengono riproposti periodicamente per concludersi sempre con un nulla di fatto.
Praticamente tutti i segretari generali dell’ONU che si sono susseguiti negli ultimi quarant’anni hanno tentato senza successo di presentare un piano per Cipro, basato sull’idea di creare uno stato federale in cui greci e turchi possano convivere pacificamente. Uno di quelli che andarono più vicino al successo fu presentato nel 2004 da Kofi Annan, e prevedeva la trasformazione dell’isola in una federazione di due stati. I governi dell’isola, sia nella parte greca sia in quella turca, accettarono di organizzare un referendum per chiedere ai cittadini ciprioti se volevano la riunificazione: il 65 per cento dei turco-ciprioti votò a favore ma il 74 per cento dei greco-ciprioti votò contro, e il piano fallì.
I continui fallimenti dei negoziati, che si scontrano con il fatto che la maggioranza dei cittadini dell’isola si dichiara a favore della riunificazione nella maggior parte dei sondaggi, hanno principalmente due cause, sempre le stesse da decenni: i disaccordi sulla divisione del potere e delle risorse in un ipotetico stato unitario e, soprattutto, la presenza di circa 40 mila soldati turchi sull’isola.
Il primo problema è complesso, per varie ragioni: i greco-ciprioti, per esempio, ritengono ingiusto che dopo l’invasione i turco-ciprioti, che costituiscono meno del 20 per cento della popolazione, si siano trovati a governare su quasi il 40 per cento del territorio di Cipro, e trovare un equilibrio – economico, territoriale, politico – in un eventuale stato unitario benché federale potrebbe essere difficile.
Il secondo problema è decisamente il più difficile da risolvere: in ogni negoziato, la minoranza turco-cipriota ha sempre richiesto una qualche forma di garanzia di sicurezza in caso di ripresa di discriminazioni e conflitti etnici. Per ora questa garanzia sono i soldati turchi stanziati nella parte nord dell’isola, la cui presenza tuttavia, secondo il governo greco-cipriota, costituisce una violazione della convenzione di Ginevra. I turco-ciprioti chiedono che come minimo sia garantito a un gruppo di stati garanti (tra cui ovviamente la Turchia) di intervenire nel caso in cui i patti non fossero rispettati, come successo cinquant’anni fa, ma questa per i greci è una richiesta irricevibile.
L’ultima volta che le due parti arrivarono davvero vicine a un accordo fu nel 2017. Quel lungo giro di negoziati sembrò l’occasione perfetta per moltissime ragioni: un paio di anni prima i turco-ciprioti avevano eletto come presidente Mustafa Akıncı, un serio sostenitore della riunificazione, che era riuscito a costruire un rapporto personale molto saldo con il presidente greco-cipriota Nicos Anastasiades (i due si definivano «amici»). I negoziati cominciarono con grandi aspettative, ma si conclusero ancora una volta con un fallimento, sempre per le stesse cause.
Dopo il 2017, le cose non hanno fatto che peggiorare e le posizioni di turco-ciprioti e greco-ciprioti hanno continuato ad allontanarsi, principalmente per due ragioni.
Anzitutto la scoperta, attorno al 2010, di un gigantesco giacimento di gas naturale e petrolio nelle acque tra Cipro e Israele, il cui sfruttamento è diventato motivo di scontro in tutto il Mediterraneo orientale: il governo di Cipro sud, riconosciuto dalla comunità internazionale, ha stretto diversi contratti (tra cui uno molto importante con l’italiana ENI) per lo sfruttamento del giacimento, ma il governo di Cipro nord si è opposto con l’argomento che ogni accordo per lo sfruttamento delle risorse dell’isola dovrebbe essere condiviso.
Dietro al governo di Cipro nord c’è ovviamente la Turchia, molto interessata al giacimento. Negli ultimi anni la marina turca è intervenuta per bloccare le navi dell’ENI e di altre compagnie che operavano per conto di Cipro sud, e ha perfino inviato al largo di Cipro le proprie navi per l’esplorazione e lo sfruttamento del giacimento. Le manovre turche hanno suscitato la reazione della Grecia: l’anno scorso le tensioni tra i due paesi sono aumentate in maniera piuttosto pesante e hanno coinvolto anche l’Unione Europea, che ha imposto sanzioni contro la Turchia.
– Leggi anche: Per cosa litigano Grecia e Turchia nel Mediterraneo orientale
L’altra ragione che rende la riunificazione difficile è proprio l’influenza sempre più forte della Turchia su Cipro nord, che si è amplificata con il crescente nazionalismo di Recep Tayyip Erdoğan.
Cipro nord dipende dalla Turchia praticamente in ogni ambito, e dunque che ci sia un rapporto di fortissima influenza non è una novità. Negli ultimi anni tuttavia il governo Erdoğan è intervenuto in maniera molto pesante nella vita di Cipro nord, per esempio promuovendo una versione piuttosto rigida della religione islamica, con l’obiettivo di creare una gioventù più devota (tradizionalmente, i turco-ciprioti sono musulmani ma hanno uno stile di vita secolare) e potenzialmente filo turca.
Il governo turco è intervenuto con forza anche a livello politico: alle elezioni presidenziali dell’anno scorso a Cipro nord ha sostenuto la candidatura di Ersin Tatar, un politico filo turco favorevole alla divisione permanente dell’isola, secondo cui «un matrimonio forzato non può avere successo». Tra le altre cose, per sostenere Tatar e ravvivare il nazionalismo turco-cipriota, lo scorso ottobre la Turchia ha riaperto la spiaggia di Varosha, nella città di Famagosta, un famoso centro turistico prima dell’invasione che per quasi cinquant’anni era rimasto chiuso al pubblico, e di cui i greco-ciprioti chiedono la restituzione.
Tatar ha vinto le elezioni, battendo di pochi punti Akıncı, e nei suoi primi mesi di governo ha rafforzato ancora di più i rapporti con la Turchia, allineando la politica estera di Cipro nord a quella turca. Subito dopo la vittoria di Tatar, Erdoğan è andato in visita a Cipro nord, dove ha detto che la soluzione per l’isola è la formazione permanente di due stati separati.
La vittoria di Tatar mostra che i turco-ciprioti, che a causa dell’isolamento economico sono sempre stati molto favorevoli alla riunificazione, da qualche tempo hanno cominciato ad apprezzare la soluzione dei due stati, come mostrano diversi sondaggi.
Secondo la maggior parte degli analisti, i negoziati di questa settimana non costituiranno né un momento di rottura definitiva né un momento di riconciliazione: nessuna delle due parti è pronta a ricominciare a parlare davvero, ma nemmeno vuole prendersi la responsabilità di far fallire i colloqui. L’andamento degli incontri di Ginevra potrebbe più che altro aiutare a capire se la riunificazione ha ancora qualche speranza.
L’idea che più il tempo passa più diventerà difficile raggiungere la riunificazione dell’isola è piuttosto nota a tutti i ciprioti, per diverse ragioni tra cui quella demografica: i cittadini che ancora ricordano Cipro unita sono sempre più anziani, e i giovani ormai si sono abituati alla divisione e allo status quo. Negli ultimi anni, tuttavia, l’idea che il tempo scarseggi si è fatta sempre più forte, perché la possibilità che la divisione diventi definitiva è diventata via via più concreta: «I ciprioti turchi e greci sono molto vicini dal perdere la loro ultima opportunità per la riconciliazione», ha detto a Politico Europe Emre Peker, il direttore del centro studi Eurasia Group.