Economist e Financial Times la pensano all’opposto, su Draghi
I due giornali britannici, solitamente molto allineati, hanno opinioni diverse su cosa ha fatto e cosa potrà fare l'attuale presdelcons
Negli ultimi giorni due dei più rispettati e autorevoli giornali europei, il Financial Times e l’Economist, hanno analizzato i primi mesi del mandato di Mario Draghi da presidente del Consiglio italiano, traendone conclusioni molto diverse. Mentre per il Financial Times Draghi sta riuscendo a rendere l’Italia «un paese europeo modello», l’Economist commenta che «non è capace di fare miracoli», e che molto probabilmente non riuscirà a rispettare le enormi aspettative sul suo conto.
Succede raramente che i giudizi dei due giornali siano così distanti: entrambi sono di ispirazione liberale e conservatrice, si interessano di cose europee e in passato hanno anche condiviso diversi collaboratori.
La tesi del Financial Times parte da una considerazione che stanno facendo in molti, nelle ultime settimane. In sede europea la fine del mandato della cancelliera tedesca Angela Merkel e la lunga campagna elettorale che attende il presidente francese Emmanuel Macron in vista delle elezioni presidenziali creerà di fatto un vuoto di potere, e Draghi sarà nella posizione migliore per colmarlo. «Draghi dispone di una maggioranza parlamentare enorme», osserva il Financial Times: «E mentre almeno una delle sue controparti in Francia e Germania passerà la mano, l’opinione diffusa è che lui rimarrà al potere fino alle prossime elezioni politiche in Italia, previste per il 2023».
L’Economist invece ritiene che l’influenza di Draghi sia destinata a rimanere effimera. «Draghi non rimarrà al potere per sempre: il suo incarico è temporaneo. […] Tutto quello che può fare è lasciare una traccia per chi verrà dopo di lui. A quel punto, torneranno a circolare dubbi riguardo all’Italia».
L’Economist non è il solo a credere nella fragilità di Draghi. Soprattutto dal punto di vista europeo sembra che Draghi sia arrivato con qualche mese di ritardo, sostengono alcuni analisti. Il Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund, cioè il principale strumento economico per bilanciare la crisi innescata della pandemia, è stato negoziato nell’estate del 2020, quando Draghi era lontano dalla politica dopo aver lasciato la carica di presidente della Banca Centrale Europea nell’ottobre del 2019. La sua esperienza in materia economica e finanziaria avrebbe fatto molto comodo: nei prossimi anni invece l’Unione Europea si troverà di fronte a scelte complicate soprattutto in materia di politica estera, come l’approccio da mantenere con paesi autoritari come Cina e Russia e con storici alleati come gli Stati Uniti.
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L’ottimismo del Financial Times, comunque, si estende a tutti gli ambiti, anche quello della politica estera. Nell’articolo del giornale britannico c’è un virgolettato piuttosto significativo di Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Esteri del governo di Giuseppe Conte sostenuto dalla Lega e dal M5S, secondo cui «ora l’Italia è guidata da qualcuno che ha un’ampia esperienza nelle relazioni con i governi stranieri, cosa che di per sé è un elemento importante di cambiamento».
Il Financial Times nota che Draghi è stato uno dei pochissimi leader europei a criticare duramente il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan dopo l’equivoco con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, dandogli esplicitamente del «dittatore».
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L’esperienza e l’autorevolezza di Draghi sono citate in vari altri passaggi dell’articolo: l’impressione è che il Financial Times sia convinto che di recente l’Italia non avesse mai avuto una persona così qualificata a ricoprire l’incarico di presidente del Consiglio.
È un pensiero in parte condiviso anche dall’Economist, secondo cui «Giuseppe Conte, il predecessore di Draghi, era un avvocato sconosciuto prima di arrivare alle più alte sfere della politica europea, mentre Silvio Berlusconi era un tragicomico evasore fiscale con un pallino per le feste a sfondo sessuale». Eppure secondo il settimanale britannico le competenze di Draghi serviranno a ben poco, in un paese come l’Italia.
Guidare una banca centrale, anche una con un potere politico limitato come la BCE, è diverso dal guidare un paese. La BCE possiede gli strumenti richiesti per contrastare una crisi: ha soltanto bisogno di una persona con l’intelligenza politica per usarli adeguatamente. Alla BCE si tira una leva ed escono fuori dei soldi. Nel governo italiano, si tira una leva e si scopre che non è collegata a niente.
Su un’altra considerazione Economist e Financial Times concordano. Il consenso intorno a Draghi non si è ancora esaurito, e quindi nemmeno il capitale politico da spendere a breve termine. «Le élite italiane tendono a innamorarsi dei propri leader», sostiene Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali: «e al momento siamo ancora in una fase in cui Draghi è considerato l’uomo che cammina sulle acque».