Un po’ di cose notevoli dentro il PNRR
Dagli asili nido all'alta velocità, passando per la raccolta differenziata: cosa c'è nel piano che spiega come saranno spesi i soldi del Recovery Fund
Negli ultimi due giorni il governo guidato da Mario Draghi ha presentato alle Camere il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il documento con cui il governo spiega come intende spendere i finanziamenti che arriveranno dall’Unione Europea tramite il Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund.
Il piano prevede in tutto finanziamenti per 221,1 miliardi di euro, di cui 191,5 miliardi dal Recovery Fund (fra sussidi e prestiti a basso tasso d’interesse) e 30,6 miliardi di risorse interne, da impiegare entro il 2026. In termini percentuali, il 27 per cento dei fondi sarà dedicato alla digitalizzazione, il 40 per cento agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico e oltre il 10 per cento alla coesione sociale. Oltre a moltissime indicazioni e promesse generiche, nelle 273 pagine del documento si trovano anche finanziamenti e riforme di maggiore concretezza, e di cui quasi certamente si continuerà a parlare nei prossimi anni.
Alta velocità, ma non troppo
Il PNRR prevede in tutto 24,77 miliardi di euro per lo sviluppo del traffico ferroviario in Italia, di cui una buona parte sarà spesa per investimenti sulla linea vera e propria: nuovi tracciati, ammodernamento di quelli esistenti, riqualificazioni delle stazioni. Secondo gli esperti però non sono previsti interventi particolarmente innovativi o inattesi.
Per prima cosa gli investimenti sono divisi più o meno equamente fra le regioni del Nord (8,57 miliardi, tutti sui collegamenti ad alta velocità), e del Centro-Sud (circa 9,3 miliardi), quando sono quest’ultime ad avere bisogno da decenni di un potenziamento massiccio sulla linea, sia regionale sia ad alta velocità.
Al momento in Italia esistono 1.467 chilometri di tracciato ad alta velocità, dei quali meno di 500 a sud di Firenze. Eppure la maggior parte degli investimenti sulle nuove linee ad alta velocità andrà al Nord: 8,57 miliardi che serviranno fra le altre cose per completare il cosiddetto “terzo valico” che permetterà di spostarsi da Milano a Genova in meno di un’ora, e allungare l’attuale tracciato ad est da Verona a Vicenza.
Al Sud invece si spenderanno 4,84 miliardi per le linee ad alta velocità: che saranno comunque diverse e più lente rispetto a quelle del Nord. I futuri tempi di percorrenza contenuti nel PNRR, cioè circa 4 ore di viaggio da Roma a Reggio e Calabria contro le attuali 5 ore e mezza, suggeriscono infatti che il nuovo tracciato non sarà AVAC (Alta Velocità Alta Capacità), che consente ai treni di raggiungere una velocità intorno ai 300 chilometri orari, ma genericamente in AVR, un acronimo che sta per Alta Velocità di Rete. In sostanza, saranno dei potenziamenti sulla linea attuale che consentiranno ai treni di raggiungere una velocità massima di 200 chilometri orari. Un intervento simile era già stato previsto nell’estate del 2020 dal secondo governo guidato da Giuseppe Conte.
Paolo Beria, che insegna Economia e pianificazione dei trasporti al Politecnico di Milano, spiega comunque che l’AVR non può essere considerata un’alta velocità di Serie B: l’intervento previsto sarebbe in grado di migliorare in pochi anni i tempi di percorrenza della tratta fra Roma e Reggio Calabria portandoli a circa 4 ore, cioè più o meno lo stesso tempo che oggi si impiega da Torino a Roma con l’AVAC.
Il PNRR promette anche l’estensione in tutta Italia dello European Rail Traffic Management System (ERTMS), un sistema di standard europei condivisi per la gestione del traffico ferroviario. «È un progetto in linea con un documento come il PNRR», spiega Beria: «parliamo di una riforma infrastrutturale che permetterà un aumento di capacità e regolarità, e renderà più omogeneo tutto il sistema».
Il PNRR destina invece poco meno di un miliardo sulle linee regionali, che prima della pandemia erano utilizzate ogni giorno da centinaia di migliaia di pendolari. «Nel futuro sarà ancora più rapido andare da Torino a Lecce, ma andare da Mantova a Monza o da Trapani a Catania continuerà a essere la solita odissea», ha sintetizzato amaramente BikeItalia.
Per quanto riguarda il trasporto pubblico locale e la mobilità sostenibile, il PNRR stanzia circa 8,58 miliardi, che andranno a finanziare un rinnovo del parco mezzi – si parla dell’acquisto di 3.360 autobus a basse emissioni entro il 2026 – e il finanziamento di nuovi tratti di metropolitane (11 chilometri), tram (85 chilometri), filovie (120 chilometri) e funivie (15 chilometri).
Gabriele Grea, che insegna Economia e gestione del trasporto pubblico locale all’Università Bocconi di Milano, spiega che «alla luce dei vincoli temporali stringenti, la logica del piano privilegia anche per la mobilità sostenibile gli interventi in fase avanzata di progettazione. Questo da un lato fornisce garanzie in termini di fattibilità; dall’altro rischia di amplificare le disuguaglianze tra città e territori con differenti capacità di programmazione e pianificazione strategica».
«In termini di visione, la quantificazione delle risorse risulta dettata più dalla fattibilità che da strategie e analisi dei bisogni», aggiunge Grea: «Ma per certi versi questa è l’impostazione naturale di un piano di investimenti basato su sostenibilità e realizzabilità. Le scelte del piano sottolineano quanto sia importante oggi che città, aree metropolitane e regioni siano in grado di esprimere progetti innovativi e ambiziosi».
Il nuovo piano per la banda ultralarga
Nel capitolo 2 “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo” della missione 1 (“Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura”) sono stati stanziati 6,31 miliardi per collegare a una connessione internet veloce circa 8,5 milioni di case, aziende ed enti pubblici che rientrano nella aree meno collegate del paese: cioè quelle che vengono definite “grigie” o “nere”, dove cioè operano al massimo due operatori a banda larga (le aree bianche, cioè senza nessun operatore, sono in fase di collegamento con un piano separato).
Infratel, la società pubblica controllata da Invitalia, agenzia governativa partecipata al 100 per cento dal ministero dell’Economia, ha spiegato che il piano finanziato col PNRR si chiamerà “Italia a 1 Giga” e sarà il successore del precedente Piano per la Banda Ultralarga: secondo una recente intervista del ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao, verrà presentato ufficialmente in estate.
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I fondi per l’economia circolare
Il PNRR finanzierà il primo piano italiano per l’economia circolare, un modello economico di cui si parla da anni in cui tutte le attività, a partire dall’estrazione e dalla produzione, sono organizzate in modo che i rifiuti di qualcuno diventino risorse per qualcun altro.
Il governo ha stanziato 2,1 miliardi di euro di risorse, e promesso un piano comprensivo per l’economia circolare entro l’estate del 2022. Nel PNRR ha anticipato che l’obiettivo principale del piano sarà «potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento/riciclo», e raggiungere alcuni target fra cui il riciclo del 65 per cento dei rifiuti plastici, che al momento a livello nazionale si ferma al di sotto del 50 per cento.
Emanuele Bompan, uno dei principali esperti di economia circolare in Italia e direttore della rivista Materia Rinnovabile, spiega che i contenuti del PNRR sono piuttosto deludenti. «Ci aspettavamo di trovare una visione di insieme dell’economia circolare, ma invece il campo d’azione è ristretto», spiega, aggiungendo che le risorse sono meno della metà della bozza preparata dal governo Conte, e che l’economia circolare viene citata solamente in riferimento al riutilizzo dei rifiuti: «Non c’è nessuna misura che vincola le nuove infrastrutture ai criteri dell’edilizia circolare», cioè dell’utilizzo di materiali di recupero o di scarto, «e nemmeno misure simboliche per promuovere i repair shop, che danno lavoro a molti piccoli artigiani».
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Un miliardo per i borghi
Il governo ha accolto in parte le richieste che arrivavano da mesi dall’associazione dei Borghi più belli d’Italia, un ente patrocinato dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) che raduna 315 borghi di interesse storico e culturale. In un’intervista a Repubblica di qualche tempo fa il presidente dell’associazione, Fiorello Primi, aveva chiesto «un piano nazionale per mettere in sicurezza il patrimonio architettonico dei centri storici e per rendere sicure, energeticamente sostenibili e digitalmente collegate le abitazioni», oltre a risorse per finanziare le strutture ricettive per turisti.
Sembra che il governo lo abbia ascoltato: nel PNRR è previsto l’allestimento di un “Piano nazionale borghi” per finanziare «interventi volti al recupero del patrimonio storico, alla riqualificazione degli spazi pubblici aperti (es. eliminando le barriere architettoniche, migliorando l’arredo urbano), alla creazione di piccoli servizi culturali anche a fini turistici. In secondo luogo, sarà favorita la creazione e promozione di nuovi itinerari e visite guidate. In ultimo saranno introdotti sostegni finanziari per le attività culturali, creative, turistiche, commerciali, agroalimentari e artigianali».
La questione del superbonus
Nei giorni precedenti alla presentazione del PNRR, diversi partiti che sostengono il governo Draghi avevano chiesto di prorogare fino al 2025 il cosiddetto Superbonus al 110 per cento, cioè l’ingente agevolazione fiscale decisa dal secondo governo Conte per le ristrutturazioni che hanno l’obiettivo di rendere gli edifici più efficienti dal punto di vista energetico.
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Il governo ha scelto una via di mezzo: non ha tagliato lo stanziamento previsto dall’ultima legge di Bilancio – un’altra possibilità che era circolata nei giorni scorsi – e si è impegnato ad esaminare una proroga del Superbonus nei prossimi mesi. Il Superbonus resterà disponibile fino al 30 giugno 2023 per le case popolari i cui lavori sono arrivati al 60 per cento entro la fine del 2022, mentre entro il 31 dicembre 2022 potrà essere richiesto per tutti i tipi di edifici che al 30 giugno 2022 saranno arrivati al 60 per cento dei lavori.
Un grosso investimento sugli asili nido
In Italia la carenza di posti per bambini negli asili nido è un problema strutturale. Secondo gli ultimi dati Istat riferiti all’anno educativo 2018/2019, in totale i posti autorizzati negli asili nido sono 355.829, distribuiti in 13.335 strutture.
Il dato più importante riguarda la disponibilità dei posti rispetto al totale dei bambini sotto i tre anni. In Italia è al 25,5 per cento: significa che negli asili nido italiani ci sono 25,5 posti ogni 100 bambini sotto i tre anni. Questo numero, però, è ben più basso dell’obiettivo del 33 per cento che l’Unione Europea si era data per il 2010 per «sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro». Negli anni scorsi l’obiettivo europeo è stato raggiunto, ma perlopiù grazie agli investimenti di alcuni paesi virtuosi del Nord Europa.
Nel PNRR appena presentato il governo ha stanziato 4,6 miliardi per la creazione di 228.000 nuovi posti: un aumento del 66 per cento. Nel documento però si parla di asili nido soltanto per un paragrafo, senza specificare né entro quando verranno costruiti – per ricevere i finanziamenti, i progetti del Next Generation EU devono concludersi nel 2026 – né in quali regioni, che hanno disponibilità molto poco uniformi.
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E la sanità?
Nei suoi ultimi mesi di vita il secondo governo Conte fu molto criticato per avere incluso nelle bozze del proprio PNRR soltanto pochi miliardi per la sanità pubblica. Nel PNRR presentato dal governo Draghi il finanziamento è salito a 15,63 miliardi, con alcune voci molto ingenti: ci sono soprattutto circa 4 miliardi per l’assistenza domiciliare e la telemedicina – la cui importanza è diventata evidente durante nei picchi della pandemia da coronavirus, quando era cruciale sgravare il più possibile medici e ospedali da compiti non urgenti – e 2 miliardi per le Case di cura, cioè sostanzialmente i presidi della sanità territoriale, per ora attivi in forma sperimentale in alcune regioni.
Molti di questi soldi dovrebbero essere spesi nella formazione del personale sanitario e dei medici di medicina generale, in modo che sviluppino competenze digitali e di gestione dei processi lavorativi che rendano più efficiente e produttivo il proprio lavoro. «Se la DAD significa fare la scuola di prima su un computer, sarà un disastro. Allo stesso modo, se la digitalizzazione della sanità sono i servizi di prima ma fatti con un computer, non servirà a nulla», spiega Francesco Longo, esperto di economia aziendale e sistemi sanitari dell’Università Bocconi di Milano.
Dato che la sanità viene gestita soprattutto a livello regionale, secondo Longo i finanziamenti del PNRR potrebbero essere una «grande occasione» perché le regioni con i sistemi sanitari più malmessi, come la Calabria, recuperino terreno rispetto alle altre. Ovviamente esiste il rischio che si inceppi qualcosa, nell’applicazione di un piano nazionale a livello regionale: «perché tutto funzioni, il passaggio dallo stato alle regioni va oliato», spiega Longo.
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