Un uomo è dovuto restare per quattro anni su una nave abbandonata
Senza elettricità e acqua corrente, in mezzo a topi e zanzare, per cause non così rare nel mondo del commercio marittimo
Il 22 aprile un marinaio siriano è tornato a casa dopo aver dovuto passare quasi quattro anni su una nave mercantile abbandonata nel golfo di Suez, senza energia elettrica e acqua pulita, a causa di una serie di circostanze non così rare nel mondo del commercio marittimo. La nave era stata bloccata durante un suo viaggio perché non rispettava alcune regole di sicurezza e dato che né l’armatore né i proprietari avevano potuto o voluto risolvere la situazione fu lasciata a sé stessa, in una specie di limbo che dura tuttora. E siccome un tribunale lo aveva nominato guardiano legale della nave, il marinaio non poteva lasciarla.
La situazione del marinaio, che si chiama Mohammed Aisha, si è infine risolta solo perché l’International Transport Workers’ Federation, una federazione di sindacati dei lavoratori dei trasporti, ha fatto in modo che un suo rappresentante lo sostituisse come guardiano legale nella nave. Sono però tutt’altro che risolti i problemi per cui nel mondo succede che grandi navi vengano abbandonate e che questo accada senza che il loro intero equipaggio possa lasciarle.
Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di giustizia sociale, attualmente ci sono 250 casi di navi abbandonate con persone a bordo. Nel 2020 i nuovi casi – 85 in totale – sono raddoppiati rispetto all’anno precedente.
In questa casistica, la storia di Mohammed Aisha è particolarmente esemplare. È stata raccontata e fatta conoscere da BBC nei giorni in cui il Canale di Suez era sotto l’attenzione dei media internazionali per via della portacontainer Ever Given, che ci si era incastrata.
Tutto era cominciato a Gedda, in Arabia Saudita, il 5 maggio 2017, quando Aisha –originario di Tartus, una città siriana affacciata sul mar Mediterraneo – si era unito all’equipaggio della nave mercantile MV Aman come primo ufficiale. Solo due mesi dopo la nave fu bloccata dalle autorità egiziane nel piccolo porto di el Adabiya, vicino all’imbocco del Canale di Suez perché le sue certificazioni di sicurezza erano scadute.
La situazione si sarebbe potuta risolvere facilmente con una revisione, ma l’armatore libanese della nave si rifiutò di pagare le necessarie spese di carburante, e la società proprietaria della nave, con sede in Bahrein, era in difficoltà finanziarie: per questo la nave fu abbandonata. Per le autorità egiziane però era necessario individuare una persona che ne fosse legalmente responsabile e che restasse a bordo dell’imbarcazione. Il capitano della nave – egiziano – era a terra, e quindi fu scelto Aisha, che era il membro dell’equipaggio di grado più alto.
Inizialmente Aisha non capì cosa comportasse l’ordine del tribunale; solo alcuni mesi dopo, quando gli altri membri dell’equipaggio cominciarono ad andarsene e lui non potè seguirli, scoprì che non avrebbe potuto lasciare la nave a meno che non fosse stata venduta o che un’altra persona prendesse il suo posto. Intanto, le autorità egiziane trattenevano il suo passaporto siriano.
Gli anni passati da allora non sono stati facili per Aisha. Nell’agosto del 2018 gli arrivò la notizia della morte di sua madre, senza che avesse potuto rivederla. Un anno dopo il marinaio era ormai completamente solo sulla MV Aman, ormai priva di carburante e quindi di elettricità. Nessuno gli pagava uno stipendio e le sue condizioni psicologiche continuavano a peggiorare: ha raccontato a BBC che di notte la nave gli sembrava una tomba.
La vita sulla nave era malsana anche perché, oltre a mancare elettricità e acqua corrente, c’erano ratti, mosche e zanzare, in alcuni periodi particolarmente numerose. Un medico che lo ha visitato di recente ha detto che Aisha mostra i sintomi delle persone tenute imprigionate per anni in cattive condizioni: è malnutrito e anemico, e ha dolori alle gambe. Nel tempo anche le condizioni della MV Aman sono peggiorate e oggi la nave è fatiscente.
Nel marzo del 2020 una tempesta fece perdere alla MV Aman il suo ancoraggio: l’imbarcazione andò quindi alla deriva per 8 chilometri, finché non si arenò a qualche centinaia di metri dalla costa, vicino alla città di Adabiya. Aisha ha raccontato che si spaventò molto durante la deriva della nave, ma alla fine pensò che la tempesta fosse stata «un atto di Dio» perché lo avvicinò abbastanza alla costa da permettergli di nuotare fino a riva per ricaricare il proprio telefono e comprare delle provviste ogni due o tre giorni. Queste spedizioni a terra potevano durare però al massimo due ore, perché la zona vicina alla nave è un’area sotto il controllo militare.
La società proprietaria della MV Aman, la Tylos Shipping and Marine Services, ha detto a BBC di aver provato negli anni ad aiutare Aisha, ma di non aver potuto farlo perché non potevano chiedere alle autorità egiziane di revocargli lo status di guardiano legale: «Ci ho provato ma non riesco a trovare una singola persona sulla Terra per rimpiazzarlo», aveva detto un rappresentante della società. In definitiva, incolpava Aisha di aver firmato i documenti con cui il tribunale egiziano lo aveva obbligato a restare sulla nave.
L’International Transport Workers’ Federation ha cercato per mesi di convincere la Tylos Shipping and Marine Services a risolvere la situazione di Aisha e, non riuscendoci, si è impegnata per far tornare il marinaio a casa in un altro modo.
Ora Aisha è potuto tornare dalla sua famiglia e, nonostante la terribile esperienza che ha vissuto, dice di voler riprendere il suo lavoro di marinaio.
Finally!!!
After 4 years, At home and with the Family again. pic.twitter.com/PDckOKvqyi— Mohammad Aisha (@mohammad_aisha) April 23, 2021
Altri marinai si sono trovati o si trovano tuttora in una situazione simile perché capita spesso che le società che si occupano di commercio marittimo abbiano grossi debiti. Anche Vehbi Kara, un capitano turco, è rimasto per mesi su una nave abbandonata nel Canale di Suez: grazie all’intervento dell’International Transport Workers’ Federation ora vive in un hotel non distante da dove è ancorata la nave, ma non può lasciare l’Egitto.
Altri 19 marinai, quasi tutti indiani, sono invece bloccati sulla portacontainer Ula nel porto iraniano di Asaluyeh dal luglio del 2019: di recente hanno iniziato uno sciopero della fame perché qualcuno li aiutasse. Uno di loro ha detto alla rivista di settore Lloyd’s List che la situazione a bordo è «critica», che i marinai soffrono di depressione e che le loro famiglie stanno finendo il denaro per mantenerli, visto che non ricevono stipendio.
Anche i 25 marinai indiani della Ever Given rischiano di subire una simile sorte. La nave al momento è bloccata nel Grande Lago Amaro, uno degli slarghi del Canale di Suez: le autorità egiziane l’hanno sequestrata in attesa di concordare un risarcimento a favore dell’Egitto a causa dei danni causati dall’ingorgo che la nave aveva creato nel canale.
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