Cosa fu il genocidio degli armeni
Storia delle terribili violenze compiute dall’impero ottomano contro gli armeni a partire dal 1915, di cui si riparla grazie a Joe Biden
Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha definito per la prima volta il massacro della popolazione armena avvenuto nel 1915 a opera dell’impero ottomano come un genocidio. È una notizia importante, perché da oltre un secolo la Turchia, erede dell’impero ottomano, si rifiuta di riconoscere il genocidio degli armeni, e reagisce in maniera piuttosto aggressiva contro i paesi che lo fanno.
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La storia del genocidio
Per comprendere cosa fu il genocidio armeno bisogna anzitutto considerare che, se oggi la stragrande maggioranza degli armeni non emigrati vive nell’area ristretta e senza sbocchi sul mare dell’attuale Armenia, per millenni la popolazione armena aveva abitato un’area molto più grande, nota come Anatolia orientale, che comprende in pratica la metà orientale della Turchia, sfocia nel mar Caspio e lambisce le regioni settentrionali degli attuali Siria e Iraq.
Per tutto il medioevo nella regione si susseguirono vari regni e dinastie armeni, affiancati da altri regni, fino alla conquista da parte dell’impero ottomano, tra il Quindicesimo e il Sedicesimo secolo. Sotto l’impero ottomano gli armeni, che sono di religione cristiana, alternarono periodi di stenti e persecuzioni a periodi di maggiore tranquillità, ma mantennero piuttosto forti la loro identità e la loro religione.
All’inizio del Ventesimo secolo, circa due milioni e mezzo di armeni vivevano nell’impero ottomano, stanziati nell’ampia zona dell’Anatolia orientale, e c’erano grosse comunità di armeni anche nella regione confinante appartenente all’impero russo.
Il primo evento epocale all’interno del quale si inquadra il genocidio armeno fu la lunghissima crisi e poi il crollo dell’impero ottomano: durante la prolungata fase di instabilità politica, cominciata nel Diciannovesimo secolo, le tensioni nella società dell’impero ottomano spesso sfociarono nella violenza, e gli armeni, considerati un corpo estraneo dalla popolazione a maggioranza musulmana, furono vittime di violenze e stermini di massa. I primi massacri sistematici degli armeni, in alcuni casi incoraggiati dalle autorità ottomane e in altri compiuti spontaneamente dalla popolazione, cominciarono negli anni Novanta dell’Ottocento e proseguirono con l’inizio del nuovo secolo.
Nel 1908 un gruppo rivoluzionario chiamato Comitato dell’unione del progresso (GUP), ma più noto con il nome di Giovani turchi, organizzò un colpo di stato contro il governo assoluto del sultano ottomano, prese il potere nell’impero e instaurò un governo costituzionale. Inizialmente il cambio di potere fu apprezzato dai leader della comunità armena: i Giovani turchi erano laici e promettevano di dare vita a un sistema di governo più liberale. Con il passare degli anni, tuttavia, il gruppo divenne sempre più autoritario e nazionalista, e cominciò a guardare agli armeni come a una possibile minaccia interna.
Il secondo evento epocale che spiega il genocidio degli armeni fu la Prima guerra mondiale, assieme ai conflitti che la precedettero. Tra il 1912 e il 1913, nella Prima guerra balcanica, l’impero ottomano perse praticamente tutti i territori che deteneva nei Balcani, e i nuovi dominatori cristiani sottoposero le popolazioni musulmane a violenze e soprusi, e costrinsero moltissime persone a emigrare. La notizia delle violenze fu accolta all’interno dell’impero con grande costernazione e provocò un forte sentimento di rabbia e rivalsa nei confronti delle popolazioni cristiane, compresi gli armeni, che pure non avevano avuto ruoli nella guerra.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale, i Giovani turchi si schierarono al fianco di Germania e Impero austroungarico contro Regno Unito, Francia e Russia. Il primo obiettivo degli ottomani era la Russia, e questo generò un grande interesse nei confronti degli armeni, che abitavano un po’ al di qua del confine, nell’impero ottomano, e un po’ al di là, nell’impero russo.
Sia gli ottomani sia i russi cercarono di convincere gli armeni a passare dalla loro parte, ma i leader armeni decisero che ciascuna comunità sarebbe rimasta fedele all’impero di appartenenza. Le cose sul campo furono più complicate, perché vari gruppi armeni si schierarono con entrambe le potenze, mentre molti altri furono sottoposti alla coscrizione forzata, e tantissimi disertarono. Anche gli armeni avevano i propri gruppi nazionalisti, e molti ne approfittarono per cercare di ottenere autonomia e indipendenza.
In ogni caso, l’impero ottomano perse piuttosto miseramente quasi tutte la battaglie contro i russi che si svolsero nelle aree abitate dagli armeni. Tra i ranghi ottomani cominciò a diffondersi l’idea che gli armeni fossero una quinta colonna che aiutava segretamente i russi, e soprattutto dopo la terribile sconfitta di Sarıkamış, nel gennaio del 1915, i Giovani turchi decisero che la colpa della disfatta era degli armeni.
A quel punto le false accuse sulla complicità con il nemico (è vero che alcuni gruppi nazionalisti armeni aiutarono i russi, ma la stragrande maggioranza della popolazione rimase indifferente) si coagularono con secoli di diffidenza e con il nazionalismo etnico che da tempo pervadeva i Giovani turchi. Gli armeni divennero agli occhi degli ottomani una minaccia esistenziale, e tra il marzo e l’aprile del 1915 si delineò l’intenzione sistematica di eliminarli dal territorio dell’impero.
Gli intellettuali e i mercanti armeni nelle grandi città dell’impero, come Istanbul e Smirne, furono arrestati e in gran parte uccisi, ma il vero genocidio si compì nell’Anatolia orientale. Gli attacchi dell’esercito ottomano contro la popolazione armena e le persecuzioni sistematiche furono atroci. Alcune comunità armene cercarono di opporre resistenza, come quella della provincia di Van, sul lago omonimo, ma fu in gran parte inutile: quando le forze russe conquistarono Van, trovarono 55 mila cadaveri di armeni.
L’impero ottomano cominciò inoltre un vasto programma di deportazioni di massa: anziani, donne e bambini furono costretti a lasciare le loro case e a percorrere centinaia di chilometri a piedi per poi essere rinchiusi in decine di campi di concentramento nel deserto della Siria: la maggior parte dei prigionieri fu giustiziata o morì di stenti, di fame e di malattie.
La gran parte del genocidio degli armeni si compì nel giro di un anno, tra il 1915 e il 1916, ma i massacri continuarono anche per gran parte degli anni Venti.
Dei 2,5 milioni di armeni che si trovavano nell’impero ottomano all’inizio del secolo il 90 per cento fu ucciso o deportato fuori dall’impero. Si stima che alla fine del genocidio circa un milione di armeni morì per mano degli ottomani. Alcune centinaia di migliaia di donne e bambini furono costretti a convertirsi all’Islam e furono adottati da famiglie turche, mentre moltissimi altri armeni fuggirono, creando una diaspora che ancora oggi è forte in molti paesi del mondo, compresi gli Stati Uniti.
L’attuale Armenia è erede di uno stato che fu creato dalla comunità armena che viveva nel decadente impero russo, e che nel 1921 fu inglobato dall’Unione Sovietica. Anche lì si rifugiarono centinaia di migliaia di vittime del genocidio.
Quella che in seguito sarebbe diventata la Repubblica turca divenne molto più omogenea dal punto di vista etnico e religioso, e una nuova borghesia musulmana si impadronì delle proprietà degli armeni: ancora oggi, il risarcimento delle vittime del genocidio e dei loro discendenti è una delle questioni più difficili da sciogliere e uno dei principali ostacoli a una rappacificazione tra Turchia e Armenia.
Il simbolo più noto di questo processo di de-armenizzazione è probabilmente il monte Ararat: emblema per secoli della nazione armena, considerato sacro dalla tradizione popolare e oggetto di tantissimi poemi e dipinti di artisti armeni, è oggi il monte più alto della Turchia.
Il genocidio armeno avvenne sotto gli occhi di giornalisti e diplomatici occidentali, in gran parte impotenti o non interessati a intervenire: soltanto nel 1915, il New York Times pubblicò 145 articoli sui massacri degli armeni, definendoli come «sistematici» e «autorizzati dal governo». Dopo la fine della Prima guerra mondiale ci furono alcuni tentativi di processare i principali responsabili del genocidio, ma furono in gran parte futili.
La Repubblica di Turchia appena nata adottò fin da subito una politica strettamente negazionista, alla quale non ha più rinunciato: ancora oggi la Turchia non riconosce l’Armenia e non intrattiene rapporti con lo stato armeno. Il leader dei Giovani turchi Talat Paşa, uno degli architetti del genocidio, è seppellito a Istanbul come un eroe nazionale.