Il mistero dell’uomo precipitato su Londra da un aereo
Si nascose nel vano del carrello di un volo partito da Nairobi, racconta il Guardian: non si è mai scoperto chi fosse, ma la sua storia è simile ad altre
Il 30 giugno 2019 da un aereo Boeing 787 della compagnia Kenya Airways, partito da Nairobi e diretto a Londra, il corpo di un uomo precipitò da un’altezza di circa mille metri, nei pressi dell’aeroporto di Heathrow. Era un passeggero clandestino, presumibilmente salito a bordo dell’aereo nascondendosi nel vano del carrello di atterraggio. Una delle almeno 128 persone che, secondo stime della Federal Aviation Administration (FAA), l’agenzia federale statunitense che si occupa di sicurezza e controlli nell’aviazione, hanno tentato di viaggiare nell’alloggiamento del carrello di un aereo dal 1947 al 2020. Il 75 per cento di loro sono morte.
Sono viaggi che questi passeggeri – se superano la fase del decollo – affrontano per gran parte in stato di incoscienza, con temperature che scendono fino a sessanta gradi sotto lo zero a un’altezza di circa 10 mila metri, tra rumori assordanti e in uno spazio ridottissimo, con il rischio costante di ferirsi. Spesso sono persone senza casa, in cerca di condizioni di vita migliori, consapevoli delle scarse possibilità di sopravvivenza in questi voli. Il Guardian ha raccontato in un articolo la storia e i tentativi di risalire all’identità misteriosa dell’uomo precipitato dall’aereo della Kenya Airways, tentativi ostacolati da ostruzioni e reticenze che rappresentano a loro volta un’altra parte della stessa storia.
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Era una domenica pomeriggio di inizio estate e Wil, un ingegnere informatico di trentuno anni, stava chiacchierando con un coinquilino nel giardino di casa sua a Clapham, un quartiere del sud-ovest di Londra, a una ventina di chilometri dall’aeroporto di Heathrow. Parlavano di una app che Wil aveva sul suo smartphone e che permette di utilizzare la fotocamera per conoscere il modello e la compagnia di qualsiasi aereo in volo, seguendone la rotta in tempo reale. Sollevando la testa al cielo, si riparò gli occhi dal sole e notò qualcosa che stava precipitando verso terra. Pensò inizialmente a un bagaglio ma gli sembrava di dimensioni apparentemente maggiori, e gli tornò in mente un articolo letto qualche anno prima riguardo ai passeggeri che viaggiano nascosti nella stiva del carrello. «Negli ultimi istanti ho distinto degli arti. Ero convinto che fosse un corpo umano», ha detto.
Wil uscì di casa per raggiungere in moto il punto in cui gli sembrava fosse precipitato quel corpo, e incrociò una macchina della polizia diretta nello stesso punto. La seguì per qualche isolato fino a Offerton Road, dove un ragazzo col volto «pallido come un fantasma» era fermo in piedi in strada. Attraverso una finestra di casa Wil intravide il cortile interno completamente distrutto. «Era un corpo, vero?», chiese al ragazzo, che gli fece di sì con la testa. Alle 15:38 un corpo umano semicongelato era finito su una casa a Clapham precipitando dal volo KQ 100 della Kenya Airways, uno dei numerosi voli internazionali diretti ogni giorno all’aeroporto di Heathrow.
Paul Graves, detective della stazione di polizia di Brixton, si offrì volontario per occuparsi del caso: l’obiettivo era identificare l’uomo e rimpatriare il corpo. Gli agenti sopraggiunti sul luogo del ritrovamento del corpo avevano parlato con l’inquilino della casa, con i vicini e con Wil, che prima di raggiungere in moto Offerton Road aveva scattato uno screenshot della schermata della app utilizzata per rintracciare il volo. La polizia si era quindi messa in contatto con Heathrow e aveva inviato una squadra per esaminare i vani dell’aereo della Kenya Airways, che prima di fare scalo a Nairobi era originariamente partito da Johannesburg.
Nel vano di uno dei carrelli retrattili – uno spazio non pressurizzato abbastanza ampio da contenere una persona accovacciata – trovarono uno zaino impolverato con le iniziali MCA stampate sopra, ma nessun indizio significativo al suo interno. Soltanto un po’ di pane, una bottiglia di Fanta, un paio di scarpe da ginnastica e qualche scellino keniota. Fu possibile stabilire che quella bottiglia di Fanta era stata certamente acquistata in un negozio in Kenya, e questo permise di escludere che l’uomo si fosse introdotto di nascosto precedentemente, in Sudafrica. Le impronte digitali e i campioni del DNA di quell’uomo, prelevati dai patologi dell’obitorio di Lambeth, non furono di aiuto: le autorità del Kenya non trovarono corrispondenze nei loro database.
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I giornali britannici si occuparono lungamente di quella storia, che sembrò una novità rispetto al racconto piuttosto stereotipato delle decine di migranti intercettati ogni giorno nella Manica dalle autorità di frontiera. Un uomo senza nome, in viaggio da un paese in cui circa un terzo della popolazione vive con meno di due dollari al giorno, era precipitato da un aereo in uno dei quartieri più ricchi di Londra.
A settembre, tre mesi dopo il fatto e senza aver compiuto progressi nelle indagini, Graves andò in Kenya sperando di riuscire a ottenere maggiori informazioni collaborando con le autorità locali. I funzionari dell’Aeroporto Internazionale Jomo Kenyatta, da dove era partito il volo della Kenya Airways, gli diedero accesso alle registrazioni delle videocamere a circuito chiuso. Si scoprì che l’aereo, atterrato dal Sudafrica, era rimasto poi fermo per cinque ore in un’area non ben coperta dalle inquadrature, prima di essere spostato al gate 17 per la partenza. Quasi certamente il passeggero aveva avuto accesso all’aereo e si era nascosto nel vano durante quelle cinque ore.
«Non c’erano segni di evidenti violazioni della sicurezza», ha raccontato Graves al Guardian ripercorrendo a mente le principali tappe della sua indagine. Tutti gli addetti avevano bisogno di un pass per accedere all’aeroporto, e le autorità interpellate da Graves insistettero sul fatto che il personale aeroportuale non avrebbe potuto offrire alcuna forma di collaborazione al passeggero per permettergli di salire sull’aereo clandestinamente. A quel punto l’altra possibilità, pensò Graves, era che quel passeggero avesse raggiunto l’aereo trovando una breccia nel perimetro esterno dell’aeroporto, ma i funzionari del Jomo Kenyatta garantirono sull’integrità delle recinzioni.
Il caso sembrava giunto a un punto morto: un uomo era salito su un aereo a Nairobi, era caduto dal cielo sopra Londra ed era keniota. A parte questo, a tre mesi dalla sua morte, non sembravano esserci altre informazioni più o meno certe. Graves – che mai si era occupato di un caso simile prima di allora – ha raccontato di essere rimasto molto colpito dalla storia non tanto per la dinamica misteriosa dell’incidente quanto per le ragioni che avevano potuto spingere quella persona ad avventurarsi in quel modo.
Tornato a Londra decise che non restava altra via se non quella di rendere pubblico l’esito delle sue ricerche per provare a coinvolgere più persone, magari attivare la memoria di qualcuno, e quindi venirne a capo. Questa decisione, ha raccontato al Guardian, scontentò le autorità del Kenya. Sia per i responsabili degli aeroporti che per i paesi coinvolti notizie di questo genere, tanto più in caso di ampia copertura mediatica, possono infatti provocare un grave danno di immagine e un abbassamento della loro reputazione internazionale.
A ottobre Graves diffuse una fotografia degli oggetti personali del passeggero e una ricostruzione in digitale del volto, eseguita in base alle indicazioni fornite dai patologi nei giorni successivi all’incidente. Il comunicato stampa faceva inoltre riferimento alle iniziali scritte sullo zaino: MCA. A novembre Sky News pubblicò i risultati di un’inchiesta in cui affermò di aver identificato il passeggero come Paul Manyasi, un ventinovenne addetto alle pulizie dell’aeroporto di Nairobi.
La presunta fidanzata di Manyasi aveva detto ai giornali che quelle iniziali stavano per «membro dell’assemblea della contea», un soprannome. E la madre di Manyasi, che non parlava con suo figlio da anni, disse di averne riconosciuto le mutande. Era una storia che faceva acqua da tutte le parti, come in seguito scoprirono Hillary Orinde, una giornalista di Agence France-Presse, e Willy Lusige, un giornalista di una rete del Kenya (KTN News). Lusige ha raccontato di essere andato dalla presunta famiglia del passeggero morto e di aver trovato un clima abbastanza normale, nessuna particolare tristezza.
Il padre di questa famiglia disse a Lusige che «alcuni bianchi» erano andati a visitarlo a casa e gli avevano dato l’equivalente di circa 170 euro per sostenere che quel passeggero fosse suo figlio. In poco tempo l’inchiesta di Sky News si disintegrò. Non c’era traccia di alcun Paul Manyasi che avesse mai lavorato all’aeroporto. I genitori della persona identificata come Paul Manyasi non avevano alcun figlio con quel nome: ne avevano uno che si chiamava Cedric Shivonje Isaac, ma era vivo e si trovava in una prigione a Nairobi. Il 22 novembre Sky News ritirò l’articolo e pubblicò le scuse per l’inchiesta.
Per Orinde la storia del passeggero precipitato a Clapham nel giugno 2019 rimane piena di interrogativi. «Il Kenya non ha una storia di persone che tentano disperatamente di arrivare in Occidente con ogni mezzo possibile» ha raccontato al Guardian. Una preoccupazione più specifica del paese riguarda i lavoratori che migrano negli Stati arabi del Golfo Persico e finiscono per subire abusi da parte dei loro datori di lavoro.
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Alla fine del 2019 i funzionari dell’aeroporto Jomo Kenyatta chiusero le indagini concludendo che non c’era stata alcuna violazione del perimetro esterno né dei protocolli di sicurezza. Il 4 febbraio 2021, sul carrello di atterraggio di un aereo della Turkish Airlines partito da quell’aeroporto e atterrato a Maastricht è stato trovato un ragazzo keniota di sedici anni, apparentemente illeso e dimesso dall’ospedale dopo un giorno. L’aereo aveva fatto scalo a Istanbul e Londra, prima di atterrare nei Paesi Bassi, dove il ragazzo è ora richiedente asilo. Agli investigatori olandesi ha spiegato di aver lasciato il Kenya per cercare una vita migliore. Le autorità aeroportuali del Jomo Kenyatta non hanno riconosciuto l’incidente né fornito spiegazioni su come il ragazzo sia riuscito a salire di nascosto sull’aereo.
Le storie che è stato possibile ricostruire riguardo ai numerosi casi di persone salite sugli aerei nascondendosi nel vano del carrello – almeno 128, dal 1947, e quasi tutti in voli internazionali – indicano piuttosto inequivocabilmente che si tratta spesso di persone desiderose di lasciarsi dietro una vita di povertà, disperazione o infelicità. Bas Wie, un dodicenne che si nascose in un aereo in viaggio dall’Indonesia all’Australia nel 1946, era un orfano che lavorava nelle cucine dell’aeroporto di Kupang. Yahya Abdi, un quindicenne che sopravvisse miracolosamente dopo un volo dalla California alle Hawaii, disse che stava cercando di tornare da sua madre in Somalia.
Il cubano Armando Socarras Ramirez, all’epoca diciassettenne, sopravvisse nel 1969 viaggiando nascosto nel vano del carrello di un aereo in un volo di otto ore dall’Havana a Madrid, dove rimase poi ricoverato in ospedale per 52 giorni. All’atterraggio era stato ritrovato sdraiato sotto l’aereo, senza sensi e ricoperto di ghiaccio. «L’unica compagnia aerea adatta era l’Iberia, perché le altre andavano nei paesi comunisti, e se fossimo atterrati lì ci avrebbero subito rispediti indietro, forse nello stesso vano», ha raccontato al Guardian. Ramirez – che oggi ha 69 anni, quattro figli e dodici nipoti, e vive in Virginia – ha raccontato che portò con sé una corda, una torcia e due batuffoli di cotone da infilare nelle orecchie, e salì nel vano delle ruote posteriori di destra. Era con un amico, che salì nel vano delle ruote posteriori di sinistra ma cadde quasi subito (fu ritrovato in pista e poi imprigionato dal governo cubano).
Viaggiare stivati nel vano del carrello di atterraggio di un aereo è considerato, in termini di possibilità di sopravvivenza, un gesto pericolosamente vicino al suicidio. Il rischio di morire è presente in qualsiasi fase del volo, fin da subito: si può precipitare in fase di decollo, o rimanere schiacciati dal carrello stesso mentre si ritrae nel vano. Entro circa 25 minuti dal decollo la maggior parte degli aerei raggiunge un’altitudine di crociera di 10 mila metri e la temperatura all’esterno scende fino a -54 °C.
Il calore emesso dalle linee elettriche e idrauliche presenti nel vano del carrello non è sufficiente a far salire la temperatura di più di una ventina di gradi, e a -34 °C il rischio di ipotermia perdura. A quota di crociera la carenza di ossigeno causata dall’abbassamento della pressione dell’aria può inoltre portare all’ipossia, e di conseguenza ad attacco cardiaco e morte cerebrale. Una delle ipotesi formulate in passato per comprendere le ragioni per cui una minoranza di persone riesce a sopravvivere è una forma di “ibernazione”.
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Infine, se il passeggero nascosto nel vano riesce in qualche modo a sopravvivere al viaggio, sarà con ogni probabilità privo di sensi al momento della discesa dell’aereo. Potrebbe quindi precipitare dal vano al momento in cui il carrello viene estratto, generalmente entro una decina di chilometri dalla pista di atterraggio. È questa la ragione per cui diversi corpi di viaggiatori di questo tipo sono stati ritrovati nel sud di Londra, nella traiettoria di volo verso l’aeroporto di Heathrow.
Voli da Nairobi continuano ad atterrare nel Regno Unito ogni giorno. Non è ancora nota l’identità del passeggero salito sull’aereo di nascosto e morto a giugno 2019. È stato sepolto nel cimitero di Lambeth il 26 febbraio 2020, in presenza di Graves, il detective che aveva indagato sul caso, di quattro consiglieri comunali e di un funzionario dell’ambasciata del Kenya. Sulla bara c’era una targa di metallo con scritto «Sconosciuto (maschio), morto il 30 giugno 2019, 30 anni».