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  • Sabato 24 aprile 2021

Quante donne al mondo possono dire “il corpo è mio”?

Un recente rapporto del'ONU risponde con una serie di numeri: 43 paesi non hanno una legge sullo stupro perpetrato dal partner, ad esempio

Manifestazione femminista a Santiago, Cile, 8 marzo 2021 (AP Photo / Esteban Félix)
Manifestazione femminista a Santiago, Cile, 8 marzo 2021 (AP Photo / Esteban Félix)

Quante donne possono liberamente affermare, nel mondo, “il corpo è mio”? La domanda è al centro del rapporto pubblicato a metà aprile dal Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA), organizzazione che si occupa di rafforzare il diritto alla salute sessuale e riproduttiva. Si intitola “My body is my own. Claiming the right to autonomy and self determination” (“Il mio corpo è mio. Rivendicare il diritto all’autonomia e all’autodeterminazione”) e in Italia è stato presentato e diffuso dall’Associazione donne italiane per lo sviluppo (Aidos). La ricerca contiene diversi dati, ma è molto discorsiva: ci sono continui riferimenti alle lotte dei movimenti femministi nel mondo (a partire dallo slogan contenuto nel titolo), testimonianze, spiegazioni estese su cause e conseguenze della negazione dei diritti delle donne, delle persone LGBT+ e delle persone con disabilità, e sul ruolo degli uomini in tutto questo.

Premesse
Milioni di persone, spiega il rapporto, «sono private ​​dei loro diritti di autodeterminazione», compreso quello di rifiutarsi di avere rapporti sessuali, quello di scegliere con chi sposarsi, di decidere quando avere un figlio o di rivolgersi a un servizio sanitario ogni volta che ne hanno bisogno.

«Abbiamo il diritto inalienabile di scegliere che cosa fare del nostro corpo, per proteggerlo, prendercene cura ed esprimerci attraverso di esso come riteniamo opportuno. La nostra qualità di vita dipende da questo. La nostra stessa vita dipende da questo», si dice: essere in grado «di dire “sì”, “no” o “Questo è il mio corpo e questa è la mia scelta”» è il fondamento «per una vita dignitosa e indipendente».

Per molte donne, invece «il loro corpo non è loro». E «privare donne e ragazze del diritto ad autodeterminarsi è inaccettabile». Una delle cause più profonde della mancanza di autonomia è la discriminazione di genere «che riflette e perpetua i sistemi di potere patriarcale». Quando le norme sociali sono sessiste, i corpi delle donne «diventano oggetto di un controllo esterno» rappresentato dai partner, dalla famiglia o dai governi e dalle leggi: «Le norme discriminatorie possono essere rafforzate da istituzioni politiche, economiche, legali e anche sociali, come scuole e media, servizi sanitari, compresi quelli che forniscono assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva». Questi servizi possono infatti mettere a rischio l’autonomia delle donne e delle ragazze «a causa della loro scarsa qualità e della loro incapacità di soddisfare tutte le loro esigenze».

A molte, i diritti di autodeterminazione vengono rifiutati a causa della loro origine etnica, del loro genere, del loro orientamento sessuale, della loro età o della loro eventuale disabilità. Quando invece le donne e le ragazze sono libere di scegliere sul loro corpo, non guadagnano solamente autonomia, ma anche migliori condizioni in termini di salute e istruzione, reddito e sicurezza.

In questo processo di liberazione, spiega il rapporto, «gli uomini dovrebbero essere degli alleati». Dovrebbero essere più numerosi quelli che decidono di prendere le distanze dai sistemi che sanciscono «il loro privilegio e il loro potere dominante scegliendo stili di vita più giusti e armoniosi». La lotta contro la discriminazione è un’azione, non una sottrazione: «l’accondiscendenza» è infatti «sinonimo di complicità». E il risultato, conclude il rapporto, «è un mondo più giusto e più favorevole al benessere dell’umanità, cosa che avvantaggia ognuna e ognuno di noi».

Il potere di prendere decisioni autonome sul proprio corpo è misurabile?
Il concetto di autonomia sul proprio corpo è strettamente legato a quello di consenso: significa avere il potere e la possibilità di decidere del proprio corpo e del proprio futuro, senza violenze né coercizioni.

– Leggi anche: La violenza sessuale e il consenso

Nel 2015, le Nazioni Unite hanno adottato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma di azione sottoscritto dai governi dei 193 paesi membri e composto da 17 obiettivi. Il quinto di questi obiettivi è la parità di genere, che comprende a sua volta diversi altri traguardi più specifici, tra cui l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti in ambito riproduttivo.

L’Agenda, per la prima volta a livello internazionale, ha fissato anche degli indicatori per monitorare i progressi fatti dai vari governi in questo ambito. Uno di questi, il 5.6.1, vuole misurare la percentuale di donne che, nella fascia di età 15-49 anni, prendono decisioni informate su rapporti sessuali, uso dei contraccettivi e cura della salute riproduttiva.

L’indicatore 5.6.1 si basa sulla risposta data dalle donne a tre domande: chi decide di solito in che modo tutelare la tua salute? Chi decide di solito se devi assumere o meno dei contraccettivi? Puoi dire di no a tuo marito o al tuo partner, se non vuoi avere un rapporto sessuale? Solo quando le scelte sono libere in tutti e tre questi ambiti si può parlare di autonomia nella salute riproduttiva e del potere di esercitare i diritti riproduttivi, dice il rapporto UNFPA.

Il rapporto dice anche che le informazioni raccolte fino ad oggi in 57 paesi, la maggior parte dei quali si trova nell’Africa subsahariana, mostrano che solo il 55 per cento delle donne ha piena autonomia decisionale sulla propria salute, sulla contraccezione e sul dire sì o no a un rapporto sessuale. In Mali, Niger e Senegal, oltre il 90 per cento delle donne è privata della propria autonomia fisica.

Il rapporto dice anche che, sebbene i dati attualmente a disposizione coprano solo un paese su quattro del mondo, il quadro della situazione è «allarmante», per milioni di donne e ragazze.

Il rapporto riporta poi che, nel mondo, l’uso della contraccezione è più che raddoppiato dal 1994, ma che nel 2019 erano ancora 217 milioni le donne con esigenze di contraccezione non soddisfatte.

– Leggi anche: Gli effetti della pandemia sull’accesso alla contraccezione

Il rapporto dice che nei paesi a basso e medio reddito le complicazioni durante la gravidanza e il parto sono la principale causa di morte nelle ragazze di età compresa tra 15 e 19 anni e che questi stessi paesi rappresentano il 99 per cento sul totale delle morti materne di donne tra i 15 e i 49 anni.

Porre fine alle morti materne evitabili, coprire i bisogni insoddisfatti di pianificazione familiare e fermare la violenza di genere in tutto il mondo entro il 2030 costerebbe, stima l’UNFPA, 264 miliardi di dollari.

Altri dati
La negazione del diritto all’autonomia sul proprio corpo e all’integrità fisica può assumere varie forme: ci sono i matrimoni infantili o forzati, lo stupro, le mutilazioni genitali femminili. E ci sono anche il rifiuto del riconoscimento all’indipendenza finanziaria delle donne, tradizioni ereditarie patrilineari o sistemi educativi che non prevedono l’educazione sessuale.

Il rapporto dice che più di 200 milioni di donne stanno vivendo con le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili e che 4 milioni di ragazze rischiano di subire questa pratica ogni anno. 

Secondo le ultime stime, 650 milioni di donne oggi in vita si sono sposate prima dei 18 anni e ogni anno 12 milioni di ragazze si sposano prima di raggiungere l’età adulta. È stato calcolato che entro il 2030 e in assenza di politiche mirate potrebbero diventare 120 milioni le spose con meno di 18 anni. Il Niger ha il più alto tasso di matrimoni precoci al mondo, pari al 76 per cento.

La pratica della dote alla base delle trattative matrimoniali è causa di abusi e violenze: ogni anno, solamente in India, si registrano circa 8 mila femminicidi legati al mancato pagamento della dote prevista.

Si stima che ogni anno ci siano circa 5 mila delitti d’onore, che si verificano quando il cosiddetto “onore” di una famiglia è considerato più importante della vita di una persona, molto spesso di una donna, che si ritiene abbia violato alcune regole o norme. La maggior parte di questi delitti d’onore avviene in Medio Oriente e in Asia meridionale. Circa il 58 per cento delle donne che rientrano in questo tipo di femminicidio è stato ucciso dal partner o da un membro della propria famiglia. La pandemia legata al coronavirus, dice il rapporto, ha aggravato questa situazione e oggi questa ondata di violenza contro le donne viene definita una “pandemia fantasma”.

Dei circa 40 milioni di persone vittime di qualche forma di schiavitù moderna (lavoro forzato, schiavitù per debiti, matrimonio forzato, traffico di esseri umani…), più di 7 su 10 sono donne. 

Le leggi che favoriscono o limitano l’autonomia decisionale
Un altro indicatore fissato dall’Agenda 2030 è il 5.6.2: valuta le leggi e i regolamenti che consentono e garantiscono un accesso completo e uguale per tutte e tutti, a partire dai 15 anni, ad assistenza, informazioni ed educazione sulla salute sessuale e riproduttiva.

L’indicatore misura esclusivamente l’esistenza delle norme, non la loro applicazione. Di tutti i paesi coperti dalle analisi di UNFPA, i cinque che hanno ottenuto i valori globali più elevati sono la Svezia, l’Uruguay, la Cambogia, la Finlandia e i Paesi Bassi. I cinque paesi con i valori più bassi sono Sud Sudan, Trinidad e Tobago, Libia, Iraq e Belize.

I paesi che non hanno una legge sullo stupro perpetrato dal partner sono 43. Sono 20 quelli che hanno una legge sul “matrimonio riparatore”, che costringe cioè le donne a sposare il loro stupratore evitando in questo modo allo stupratore stesso di affrontare il processo. E sono più di 30 i paesi che limitano il diritto delle donne a uscire liberamente di casa.

In media, in tutto il mondo e nonostante le garanzie costituzionali sull’uguaglianza che esistono formalmente in molti paesi, le donne hanno il 75 per cento dei diritti rispetto agli uomini. Le donne e le ragazze, spesso, non hanno il potere né i mezzi di contestare queste disparità a causa del loro basso livello di partecipazione alla vita politica e ai processi decisionali in generale.

Altre informazioni
Il rapporto contiene moltissime informazioni. Mostra ad esempio che le ragazze e le donne spesso non sono nemmeno consapevoli di avere il diritto di rifiutarsi di fare sesso, che le donne e le ragazze istruite hanno maggiori possibilità di esercitare il loro consenso, di prendere decisioni sulla contraccezione e sull’assistenza sanitaria e dice che le persone con disabilità hanno probabilità tre volte maggiori di subire violenza sessuale.

Si dice infine che ci sono prove crescenti che i servizi essenziali di salute sessuale e riproduttiva sono stati considerati “meno necessari” durante la risposta alla pandemia di COVID-19.