Le città europee contro gli affitti brevi
Come quelli offerti da Airbnb: diverse amministrazioni locali stanno provando a introdurre nuovi limiti, anche in Italia
Con il progressivo allentamento delle restrizioni per la pandemia da coronavirus, molte città europee stanno provando a rilanciare il turismo e allo stesso tempo a contenere uno dei fenomeni che negli ultimi anni ha creato loro più problemi: gli affitti a breve termine, offerti per lo più da piattaforme online come Airbnb. Alcune città hanno introdotto norme che limitano la possibilità di affittare stanze o case per brevi periodi, mentre altre, anche in Italia, hanno proposto una maggiore regolamentazione per iniziare a farlo, con strategie diverse e più di qualche problema.
Molti viaggiatori e turisti ricorrono spesso a soluzioni di affitto a breve termine, perché possono essere più convenienti o offrire esperienze diverse rispetto a residence o alberghi. A perderci sono soprattutto gli albergatori, che subiscono soprattutto la concorrenza degli operatori non professionali che operano nel campo parallelamente alle diverse società che si occupano di affitti brevi seguendo tutte le norme del caso, ma non solo: secondo i critici in molte città il grande ricorso agli affitti brevi ha portato a una carenza degli alloggi per i residenti oppure ha fatto alzare il prezzo degli immobili in maniera ingiustificata.
Per questo da qualche anno le città europee stanno cercando di regolamentare il fenomeno. Di recente, per esempio, Parigi ha approvato un nuovo regolamento per sperimentare l’introduzione di un limite massimo di appartamenti destinati agli affitti brevi in determinate vie o quartieri considerati sotto pressione. Queste norme erano richieste da diverse organizzazioni e associazioni cittadine, che si erano opposte al fatto che alcuni quartieri della città sembrassero delle «case-dormitorio» per turisti; allo stesso tempo, erano osteggiate da Airbnb, che le aveva definite «illegali».
Anche in Italia da tempo si discute di misure simili.
Lo scorso marzo i sindaci di Firenze e Venezia hanno presentato al governo un “Decalogo di proposte per il rilancio”, che oltre a misure per incentivare il turismo e sostenere gli albergatori include possibili norme per regolamentare gli appartamenti destinati agli affitti brevi. Nel decalogo si legge che spesso le case affittate a scopo turistico per pochi giorni «producono a tutti gli effetti una concorrenza sleale nei confronti delle strutture alberghiere» e allo stesso tempo favoriscono lo «svuotamento dei centri storici» delle città, causato anche «dall’impennata dei costi».
Tra le proposte avanzate nel decalogo c’è l’obbligo che ciascun proprietario non affitti più di due unità immobiliari all’interno dello stesso territorio comunale e che gli affitti brevi siano limitati a un periodo massimo di 90 giorni all’anno. Secondo le amministrazioni di Venezia e Firenze, a ogni modo, il fenomeno avrebbe bisogno di «una normativa nazionale chiara e più definita», che per ora non esiste.
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Un primo tentativo era stato fatto con la proposta di emendamento al cosiddetto “decreto agosto”, un decreto legge del 2020 che conteneva diverse misure collegate all’emergenza coronavirus, tra cui la possibilità di usufruire di una tassazione agevolata per chi destinava alla locazione breve meno di tre immobili.
Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia (l’associazione dei proprietari di casa), aveva detto al Sole 24 Ore che l’obiettivo dell’emendamento doveva essere di «evitare che l’attività di locazione breve venisse snaturata». L’emendamento era stato sostenuto anche dal ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, che aveva detto che «chi compra un condominio avesse lo stesso trattamento di un piccolo proprietario». L’emendamento comunque era stato ritenuto inammissibile.
Il comma 595 della Legge di Bilancio per il 2021, invece, prevede che si possa beneficiare di una tassazione agevolata sulla locazione per brevi periodi per un massimo di quattro appartamenti, oltre i quali «si presume» che l’attività venga svolta in forma imprenditoriale. Secondo Testa, però, l’obiettivo di questa norma non è chiaro, e allo stesso tempo lascia «molti dubbi applicativi».
Come ha osservato il Sole 24 Ore, infatti, la norma presenta alcuni limiti. Prima di tutto, non è previsto che siano rilevati né il numero massimo di volte in un anno in cui viene dato in affitto un immobile, né il volume di ricavi derivato dagli affitti a breve termine, che può essere molto più alto in alcune zone piuttosto che in altre. Inoltre, la norma si basa sulle proprietà dei singoli soggetti, vale a dire che immobili intestati a persone diverse dello stesso nucleo familiare non costituirebbero attività d’impresa: in questo modo le persone a cui è destinata la tassazione agevolata sarebbero di più, e allo stesso tempo sarebbe più difficile sia provare la “presunzione” di attività d’impresa, sia risolvere eventuali contenziosi.
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Sulla possibilità dei comuni di adottare limiti agli affitti a breve termine, lo scorso settembre si era espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che aveva giudicato conforme al diritto europeo una norma del governo francese che riconosceva alle amministrazioni cittadine e ai governi nazionali il diritto di richiedere un’apposita autorizzazione per poter offrire un affitto a breve termine: come peraltro fanno già da tempo diverse città.
Ora alcune di queste stanno cercando di limitare ulteriormente gli affitti a breve termine, anche in previsione della ripresa del settore turistico.
Per esempio, a Barcellona si sta discutendo di approvare in via definitiva il piano che permetterebbe ai proprietari di casa di affittare stanze soltanto per un periodo superiore ai 30 giorni, rendendo permanente una regola introdotta lo scorso agosto, e che è solo il più recente degli interventi avviati dalla città catalana per limitare il fenomeno.
L’amministrazione cittadina di Amsterdam, invece, sta pensando a quali soluzioni adottare dopo che a marzo un tribunale aveva giudicato illegittimo il divieto di affittare case per brevi periodi nel centro storico della città: divieto che era stato introdotto l’anno precedente per diverse ragioni, tra cui limitare il disturbo ai residenti.
Per provare a risolvere la questione più a lungo termine, il sindaco di Lisbona, Fernando Medina, ha proposto un programma che coinvolge direttamente l’amministrazione locale per favorire gli affitti più lunghi e garantire comunque una rendita ai proprietari di casa. Il piano prevede che l’amministrazione locale prenda in affitto delle case, pagando fino a 1000 euro al mese ai proprietari, per poi assegnarle ai residenti che ne hanno bisogno; secondo il programma, lanciato nel 2019, il comune avrebbe dovuto individuare e gestire in totale mille abitazioni, ma le candidature arrivate nel 2020 sono state solo 284.