Domande e risposte sulla Super League
Perché i club fondatori hanno bisogno di soldi? Cosa ne pensano i calciatori? Perché tutti parlano di Agnelli? E gli Europei sono a rischio?
L’annuncio dell’intenzione da parte di dodici club di creare la Super League, una nuova competizione europea con criteri molto diversi da quelle attuali, ha provocato un gran tumulto nel mondo del calcio, e durissimi scontri tra gli organi che lo governano e le squadre che vogliono fondare un torneo autonomo. Addetti ai lavori, analisti e appassionati sono impegnati in uno dei dibattiti calcistici più accesi da anni a questa parte, ma i contorni del progetto non sono ancora stati esattamente definiti, e restano in sospeso una serie di questioni laterali su cui probabilmente sapremo di più nei prossimi giorni. Ad alcune delle domande più rilevanti e diffuse sorte nelle ultime ore, però, si può dare una risposta.
Perché i club hanno bisogno di più soldi?
La pandemia da coronavirus ha peggiorato una situazione che per molte squadre, sia grandi sia piccole, si stava già facendo insostenibile. Da tempo ormai il sistema del calcio europeo si reggeva su un meccanismo sballato: per aumentare le entrate e rendere sostenibili i propri affari ciascuna squadra deve fare cospicui investimenti per finire nelle prime posizioni del campionato nazionale e accedere così alle coppe europee, le competizioni più redditizie del sistema. A fronte di investimenti certi, però, la sostenibilità rimane legata al risultato sportivo e a una gestione finanziaria estremamente virtuosa: due elementi propri di un ristrettissimo numero di squadre.
Ancora prima della pandemia, inoltre, i ricchi contratti per i diritti tv e le sponsorizzazioni sportive avevano iniziato a contrarsi: tutti gli studi di settore dicono infatti che il calcio è uno sport apprezzato soprattutto da adulti e anziani, e poco gradito ai più giovani perlomeno nella sua forma attuale. Le nuove generazioni hanno sviluppato gusti e abitudini nuovi e poco compatibili con i modelli a cui era abituato il calcio, per una lunga serie di fattori: perché il bacino di spettatori si è allargato a paesi del mondo con culture sportive diverse, perché i videogiochi di calcio hanno concentrato le simpatie sportive dei nuovi appassionati verso poche squadre e contemporaneamente hanno spostato il tifo dai club ai singoli campioni, ma anche perché i prezzi sempre più alti degli abbonamenti in tv e degli stadi hanno allontanato molte persone da forme di tifo più partecipate e fedeli.
La crisi dell’ultimo anno ha fatto quasi saltare il sistema, che è rimasto in piedi solo perché nei principali campionati europei si è ricominciato a giocare, e quindi a ridurre le perdite, relativamente presto. I danni restano comunque notevoli. Secondo una stima citata dal presidente della Juventus Andrea Agnelli, nel biennio 2019-2021 il sistema del calcio europeo avrà ricavi mancati per circa 6,5 miliardi di euro.
Tutte le 12 squadre fondatrici della Super League sono indebitate, chi più e chi meno. Ci sono squadre che da tempo hanno avviato una razionalizzazione delle proprie spese per costruire fondamenta più solide, a fronte però di risultati sportivi mediocri – come Milan e Arsenal – altre che negli ultimi anni si sono pesantemente indebitate per cercare di entrare e rimanere ai vertici del sistema, come Tottenham e Inter, altre ancora che ormai da anni collezionano investimenti sbagliati e risultati sportivi non all’altezza, come Barcellona e Chelsea.
Secondo un calcolo della Gazzetta dello Sport, al momento le 12 squadre fondatrici hanno debiti per circa 7,8 miliardi di euro. Ciascuna di loro otterrà dalla Super League un finanziamento iniziale di circa 400 milioni di euro: il New York Times fa notare che è più del quadruplo della cifra guadagnata in sponsorizzazioni e diritti tv dalla squadra che l’anno scorso ha vinto la Champions League, cioè il Bayern Monaco.
Che fine fanno i campionati nazionali?
Non è ancora chiaro se le leghe nazionali accoglieranno la richiesta della UEFA di espellere le squadre che parteciperanno alla Super League. Una Serie A senza Juventus, Milan e Inter – e ancora di più una Premier League senza le sei squadre più seguite e famose – avrebbe un valore molto più basso di quello attuale. Il Corriere della Sera cita una stima dell’amministratore delegato della Serie A, Luigi De Siervo, secondo cui la Super League comporterebbe un calo delle entrate per le squadre non coinvolte fra il 30 e il 50 per cento. C’è un rischio simile anche se le squadre più ricche dovessero continuare a partecipare ai campionati nazionali contemporaneamente alla Super League: quest’ultima diventerebbe probabilmente il loro obiettivo principale, diminuendo l’impegno nei campionati domestici e abbassando livello e attrattiva generale.
Ieri si è tenuta una riunione della Lega Serie A descritta come molto tesa, in cui fra le altre cose il presidente del Torino Urbano Cairo ha dato del «Giuda» a quello della Juventus, Andrea Agnelli. Durante la riunione Juventus, Milan e Inter hanno ribadito di non volere abbandonare il campionato di Serie A. Molte squadre per ora non hanno preso una posizione netta. La questione più grossa in ballo, per tutte quelle che non sono coinvolte nella Super League, è quella degli introiti per i diritti televisivi, peraltro appena ceduti a DAZN fino al 2024 per circa 840 milioni di euro all’anno.
Giusto, cosa succede con i diritti tv?
Se le squadre partecipanti alla Super League uscissero davvero dai campionati nazionali, i detentori dei diritti tv chiederebbero di rinegoziare al ribasso i contratti: quanto al ribasso, esattamente non è chiaro. Già oggi la Serie A guadagna la cifra più bassa tra i cinque principali campionati europei: senza Juventus, Milan e Inter, che secondo un’analisi Ipsos da sole sono tifate dal 65 per cento degli appassionati di calcio italiani, i conti delle squadre di media e bassa classifica potrebbero non stare più in piedi. Non aiuta il fatto che in questi anni pochissime squadre italiane si siano attrezzate per diversificare le proprie entrate, puntando per esempio su merchandising, sponsorizzazioni, strutture più efficienti. Secondo una stima di Repubblica i diritti televisivi rappresentano il 40 per cento delle entrate annuali delle squadre di Serie A.
C’è qualcuno a favore, a parte le squadre fondatrici?
Per ora praticamente nessuno: la Super League è stata criticata in maniera compatta da politici, giornalisti, addetti ai lavori, rappresentanti del tifo organizzato. Non è servita a molto nemmeno la promessa di un “finanziamento di solidarietà” che la Super League si è impegnata a versare ai campionati nazionali minori, al calcio giovanile e a quello femminile: sono stati promessi 10 miliardi per i prossimi 23 anni, cioè circa 434 milioni all’anno. Secondo Repubblica sono molti di più dei 160 milioni che la UEFA destina ogni anno per progetti simili: ma evidentemente in pochi ritengono realistica quella cifra.
Solo alcuni commentatori hanno giudicato positivamente la proposta: sul Sole 24 Ore il giornalista Lello Naso ha messo insieme dieci motivi per cui la Super League sarebbe una buona idea, mentre sul magazine sportivo The Athletic l’esperto di tattica Michael Cox ha scritto un articolo di opinione intitolato «i campionati europei sono a pezzi, e la Super League potrebbe essere l’unica soluzione».
Perché Paris Saint-Germain e Bayern Monaco non ci sono?
In molti si aspettavano di trovare fra le squadre fondatrici della Super League anche le due finaliste della scorsa edizione della Champions League, che peraltro da una decina d’anni dominano quasi incontrastate i propri campionati nazionali. Almeno per il momento hanno rinunciato, per ragioni diverse.
Il presidente del PSG, il qatariota Nasser al Khelaifi, oltre a sedere nel consiglio di amministrazione della UEFA ha un discreto conflitto di interessi: è il presidente del beIN Media Group, che detiene i diritti tv per trasmettere la Champions League nel ricco mercato del Medio Oriente. Una eventuale partecipazione del PSG alla Super League, quindi, danneggerebbe la principale azienda di al Khelaifi.
Il Bayern Monaco invece ha motivato il suo rifiuto con motivazioni diverse. In un’intervista al Corriere della Sera, il suo CEO Karl-Heinz Rummenigge ha spiegato che a suo dire la soluzione per risolvere i problemi del calcio europeo è «ridurre i costi»: «la strada non può essere quella di incassare sempre di più e pagare sempre di più giocatori e agenti. Dobbiamo ridurre un po’ le cose, non metterne altre sul tavolo. Abbiamo esagerato con le spese: tutti, nessuno escluso. È il momento di fare un calcio meno arrogante».
Una fonte di The Athletic che ha lavorato con entrambe le squadre ha aggiunto che nessuna delle due era convinta dalle promesse di enormi entrate fatte dalla dirigenza della Super League.
Cosa ne pensano i calciatori?
Anche per loro è stata una discreta sorpresa, così come per gli allenatori delle squadre coinvolte. The Athletic ha raccolto diverse reazioni di calciatori di Premier League, quasi tutte in forma anonima, tutte molto spiazzate.
Tutti i calciatori che si sono espressi in pubblico si sono detti contrari alla Super League. Fra loro anche il trequartista del Manchester United e della nazionale portoghese Bruno Fernandes, il centrocampista spagnolo del PSG Ander Herrera, l’attaccante brasiliano dell’Everton Richarlison. Fra i giocatori di Serie A – notoriamente restii a prendere posizione nei dibattiti pubblici – si sono detti apertamente contrari in pochi, fra cui il trequartista della Lazio Luis Alberto e il difensore dell’Udinese Sebastian De Maio.
I più espliciti di tutti sono stati i giocatori del Leeds, una storica squadra inglese che quest’anno gioca in Premier League, che lunedì durante il riscaldamento prima di una partita contro il Liverpool hanno indossato una maglietta con il logo della Champions League e la scritta «guadagnatevela».
La Fifpro, il principale sindacato dei calciatori professionisti, ha pubblicato un comunicato piuttosto critico sulla proposta della Super League, in cui però ha anche minacciato di opporsi «a ogni misura che violerà i diritti dei giocatori, fra cui l’esclusione delle squadre nazionali». LA UEFA e la FIFA hanno infatti ventilato l’ipotesi di impedire la partecipazione a Europei e Mondiali ai giocatori che disputeranno la Super League.
Ma quindi gli Europei di quest’estate sono a rischio?
In teoria no, dato che la Super League non inizierà prima di qualche mese o addirittura di qualche anno. Ma dato che la situazione è molto fluida, le federazioni e le leghe nazionali potrebbero decidere di impedire da subito la partecipazione dei giocatori delle squadre coinvolte nella Super League, per spingerle a un compromesso.
In un’intervista alla Gazzetta dello Sport, l’avvocato ed esperto di diritto sportivo Mattia Grassani ha ricordato che «i club sono appartenenti ad associazioni di diritto privato e si sono impegnati a rispettarne le relative regole, sottoscrivendo atti di affiliazione e relativi regolamenti»: di conseguenza «l’ipotesi dell’esclusione dei club “scissionisti” dalle competizioni organizzate da Fifa, Uefa e Figc, così come dei calciatori dalle manifestazioni riservate alle rappresentative nazionali, mi sembra comprensibile e fondata».
Lunedì la dirigenza della Super League ha inviato una lettera alla FIFA e alla UEFA per informarle di avere «preso le misure appropriate per contrastare la legalità di eventuali restrizioni», come l’esclusione dei giocatori delle proprie squadre dalle nazionali.
Da quando se ne discute?
In realtà da una ventina d’anni, con un’accelerazione negli ultimi tempi, ma prima di domenica nessuno aveva percezione che una proposta del genere fosse imminente. Il Corriere della Sera ha raccontato che le trattative fra le squadre coinvolte andavano avanti in segreto da qualche mese, e che le cose si sarebbero sbloccate definitivamente all’inizio di questa stagione.
A settembre si incontrarono nella sede del Milan l’amministratore delegato della squadra Ivan Gazidis e i presidenti di Inter e Juventus, Steven Zhang e Andrea Agnelli. All’epoca si pensò che l’incontro servisse per valutare la creazione di una nuova società per vendere in maniera più efficace i diritti tv della Serie A. Un altro incontro decisivo sarebbe avvenuto a gennaio fra Agnelli e il presidente del Real Madrid, Florentino Perez, che oggi sono rispettivamente vicepresidente e presidente della Super League.
Probabilmente la decisione di annunciare la Super League è stata affrettata dalla conferenza stampa con cui l’UEFA intendeva presentare il nuovo formato della Champions League, che era fissata per lunedì 19 aprile.
Perché tutti parlano di Agnelli?
Perché è stato uno dei principali promotori dell’operazione: da anni, del resto, era uno dei dirigenti europei più espliciti nel proporre una riforma radicale del calcio. In pochi però si aspettavano un suo coinvolgimento così diretto: fino a domenica Agnelli era anche presidente dell’ECA, l’organizzazione che rappresenta le proprietà delle squadre europee. Era inoltre molto legato al presidente dell’UEFA Aleksander Čeferin, a cui aveva persino chiesto di fare da padrino a sua figlia. Čeferin ha dato pubblicamente del «serpente» ad Agnelli per avere negato il suo coinvolgimento nel progetto della Super League fino a due giorni fa.
Come può andare a finire?
Nessuno sa esattamente se esistano margini per un compromesso fra le fondatrici della Super League e la UEFA: posto che le 12 squadre siano disponibili a negoziarlo, e non siano già decise a tirare dritto anche a costo di rinunciare ai campionati nazionali. The Athletic ipotizza anche un nuovo colpo di scena: le parole con cui la FIFA ha criticato la proposta della Super League sono state meno severe rispetto a quelle della UEFA; se alla fine la FIFA decidesse di riconoscere la Super League, e quindi di fatto di permettere ai giocatori delle squadre partecipanti di disputare i Mondiali con la propria nazionale, la UEFA perderebbe molto del suo potere contrattuale.
Per contro, l’opposizione così unanime potrebbe aver ridotto le possibilità di concretizzarsi del progetto: quelli che ancora ritengono la proposta come parte di un negoziato per ottenere maggiori concessioni dalla UEFA fanno notare che al momento la Super League non ha una data d’inizio né una struttura governativa vera e propria, senza contare che mancano ancora 8 squadre che in teoria dovrebbero partecipare alla prima edizione del torneo.