I gas che i vulcani diffondono nell’atmosfera
Il diossido di zolfo eruttato dall'Etna è arrivato in Cina, quello prodotto nei Caraibi da La Soufrière ha raggiunto il Mediterraneo
Quando si parla di eruzioni vulcaniche si pensa soprattutto alla lava e alla cenere, ma i vulcani spargono in giro anche altre sostanze, meno visibili, che possono spostarsi per migliaia di chilometri: sono gas come il diossido di zolfo (SO2, noto anche come anidride solforosa), l’acido solfidrico (H2S) e l’anidride carbonica (CO2). È per questo che il diossido di zolfo prodotto dall’Etna negli ultimi mesi è stato osservato fino in Cina, attraverso quella che il vulcanologo Simon Carn ha definito «autostrada dello zolfo»; ed è per questo che nell’ultima settimana il Mediterraneo è stato raggiunto dalla stessa sostanza eruttata da La Soufrière, nei Caraibi.
Latest @CopernicusECMWF Atmosphere Monitoring Service @ECMWF total column SO2 forecast, init. 12/04 00 UTC, shows huge extent plume from #LaSoufriere🌋 spreading across northern South America/Caribbean & Atlantic/N Africa visualized by @Windycom https://t.co/ns4WCRmjjM pic.twitter.com/rsvT1VQAQX
— Mark Parrington (@m_parrington) April 12, 2021
Queste nubi di gas non sono pericolose per la salute, perché si trovano a grandi altezze nell’atmosfera. «Non hanno nessuna ricaduta», spiega Giuseppe Salerno, responsabile dell’unità funzionale Vulcanologia e Geochimica dell’Osservatorio Etneo di Catania: «Il percorso delle nubi eruttive viene studiato non per calcolare rischi associati, ma per misurarne le dimensioni e la distanza a scopo di ricerca». In generale però, i gas emessi dai vulcani possono avere vari effetti.
L’Etna e La Soufrière non ne hanno diffuso in quantità sufficienti nelle loro recenti eruzioni, ma il diossido di zolfo, ad esempio, può influenzare il clima.
I vulcani emettono gas perché il magma, le rocce fuse che chiamiamo lava quando escono dalla superficie terrestre, ne contiene in grande quantità. Al risalire del magma verso la superficie terrestre, la pressione a cui è sottoposto diminuisce, i gas si separano dalle rocce liquide e raggiungono l’atmosfera. Spesso non serve nemmeno un’eruzione perché questo avvenga: vengono emessi dai cosiddetti fenomeni di vulcanismo secondario, come le fumarole e le solfatare.
Salerno specifica che tutti i vulcani attivi diffondono continuamente gas nell’atmosfera: «Anche quando non c’è attività eruttiva, i vulcani attivi emettono gas in modo persistente. È anzi la stessa presenza di gas che ci fa dire che un vulcano è attivo, indica che sotto c’è del magma».
Nelle eruzioni la quantità di gas diffusa è maggiore. Attualmente nel mondo ci sono una quarantina di eruzioni in corso: quella di La Soufrière, il vulcano dell’isola caraibica di Saint Vincent, è sicuramente la più rilevante per produzione di gas.
La principale emissione dei vulcani è acqua allo stato gassoso, che è ovviamente innocua. I vulcani però emettono anche gas che, a seconda delle circostanze, possono essere dannosi per persone, animali, piante ed edifici. Il più noto è sicuramente l’anidride carbonica, che in alcuni rari casi si è dimostrata molto pericolosa.
Il 21 agosto del 1986, ad esempio, un’eruzione sul fondo del lago Nyos, in Camerun, causò la diffusione nell’aria di centinaia di migliaia tonnellate di CO2, soffocando 1.746 persone e più di tremila animali in un raggio di 25 chilometri attorno al lago. Fenomeni di questo genere sono comunque rari, e oggi esistono sistemi di allerta per scongiurarne i danni.
Fatta eccezione per questi fenomeni estremi, l’anidride carbonica non ha effetti dannosi sulla salute: del resto ogni giorno persone e animali ne respirano continuamente insieme all’ossigeno. Il discorso è diverso, in generale, per quanto riguarda l’ambiente: è risaputo che la CO2 è il principale dei gas che causano il riscaldamento globale. Tuttavia quella prodotta dai vulcani non ha effetti significativi in questo senso, al contrario di quella derivante dalle attività umane, perché in quantità enormemente inferiore.
Secondo alcune teorie, nella storia geologica della Terra l’anidride carbonica prodotta dai vulcani in eruzioni particolarmente estese e intense avrebbe causato un aumento dell’effetto serra e quindi un riscaldamento globale, forse contribuendo a estinzioni di massa come quella dei dinosauri, ma il dibattito scientifico su queste ipotesi è ancora in corso. Quello che sappiamo per certo è che anche le eruzioni vulcaniche più grosse della storia recente non hanno avuto un impatto sul clima causato dalla CO2.
Per fare un esempio, nel 1980 il monte Saint Helens, negli Stati Uniti, rilasciò nell’atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2 in sole nove ore: non sono poche, ma oggi all’umanità bastano meno di due ore per emetterne in pari quantità. Inoltre eruzioni come quella del Saint Helens sono rare – ce n’è circa una per decennio –, mentre le emissioni di gas serra dovute alle attività umane sono costanti e in continuo aumento. Negli ultimi anni le attività umane hanno diffuso nell’atmosfera circa 50 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno, mentre si stima che le attività vulcaniche di tutto il mondo, comprese quelle dei vulcani sottomarini, ne producano meno di un centesimo: poche centinaia di milioni di tonnellate di CO2 l’anno.
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Il gas emesso dai vulcani che invece può effettivamente avere un effetto sul clima è il diossido di zolfo. È un gas incolore ma ha un odore pungente che chiunque abbia visitato una solfatara conosce: è il classico odore di uova marce che associamo allo zolfo.
Può irritare la pelle, gli occhi, il naso e la gola e causare problemi di salute a chi vive vicino a un vulcano: è un problema che c’è ad esempio sull’isola di Hawaii, dove il Kilauea produce alte concentrazioni di diossido di zolfo. Un altro effetto del diossido di zolfo sono le piogge acide, che però non hanno particolari effetti negativi nelle quantità emesse da vulcani come l’Etna, ad esempio.
L’effetto del diossido di zolfo varia molto a seconda della quantità che viene prodotta e dell’altezza che raggiunge nell’atmosfera. Se viene diffuso all’interno della troposfera, cioè nella parte più bassa dell’atmosfera, quella che va dal suolo a un’altezza che varia tra gli 8mila metri ai Poli e i 16-20mila metri all’Equatore, non si sposta più di tanto attorno al vulcano. Se invece raggiunge altezze maggiori, quelle della stratosfera, può essere portato anche a grandi distanze dai venti, come si è visto con le eruzioni degli ultimi mesi.
Al di sopra dell’Etna la stratosfera si trova dopo i 12mila metri di altezza.
The sulfur superhighway. @NASA @JPSSProgram OMPS SO₂ data show the globetrotting #volcanic clouds emitted by #Etna #eruptions since mid-February. How many paroxysms can you spot? Note that there is a time discontinuity at 180ºE. @NASAEarth @NASAGoddard @INGVvulcani @etnaboris pic.twitter.com/cpQ1HiGoal
— Prof. Simon Carn (@simoncarn) March 12, 2021
La ragione per cui il diossido di zolfo può avere un effetto sul clima è che nell’atmosfera può trasformarsi in acido solforico: condensando, l’acido solforico crea aerosol di solfati, che riflettono la luce solare, l’opposto dell’effetto serra. In alcune condizioni quindi i vulcani possono causare un abbassamento delle temperature globali. «Perché il diossido di zolfo si converta in solfati però deve raggiungere la stratosfera», precisa Salerno: «Per una serie di ragioni chimico-fisiche, solo lì ci sono le condizioni per cui si trattenga tanto da avere un effetto sul clima. Anche i venti possono influire».
Nel 1991 il vulcano filippino Pinatubo fece arrivare nella stratosfera 20 milioni di tonnellate di diossido di zolfo in un’unica eruzione: fu la più grande quantità di diossido di zolfo prodotta da un vulcano mai osservata dai satelliti e probabilmente causò il più grande aumento di aerosol di solfati nella stratosfera del Ventesimo secolo. Si stima che causò una diminuzione della temperatura media globale di circa mezzo grado nei tre anni successivi.
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Un’eruzione nota per aver prodotto un effetto simile fu quella del vulcano islandese Laki avvenuta tra il 1783 e il 1784, che produsse 120 milioni di tonnellate di diossido di zolfo, e quella del Tambora, un vulcano indonesiano, del 1815, che ne iniettò nell’atmosfera tra i 250 e i 300 milioni: abbassò talmente tanto la temperatura media globale che il 1816 fu chiamato «anno senza estate».
Perché un’eruzione vulcanica abbia un impatto di questo genere, deve iniettare nell’atmosfera almeno 5 milioni di tonnellate di diossido di zolfo: in una settimana di eruzioni La Soufrière ne ha prodotte tra le 450mila e le 600mila tonnellate, quindi non c’è da sperare in un temporaneo contrappeso al riscaldamento globale. L’Etna da parte sua ha prodotto diossido di zolfo in quantità molto minori, nell’ordine delle migliaia di tonnellate. «Le conseguenze maggiori delle eruzioni attuali sono dovute alla cenere più che ai gas», dice Salerno: «C’è stata ricaduta di cenere anche in Calabria e fino a Palermo. E la cenere ha conseguenze sociali perché causa problemi respiratori ed economici, dato che riduce nel breve periodo la produttività agricola nell’area attorno al vulcano».
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