La Danimarca vuole mandare via i rifugiati siriani
Da qualche anno il governo sta rendendo la vita sempre più difficile ai siriani scappati dalla guerra, tra molte critiche
Nel corso degli ultimi anni la Danimarca ha messo in atto una serie di misure molto controverse per scoraggiare l’immigrazione e limitare le minoranze nel paese. In particolare, a partire dal 2019 è diventata il primo paese dell’Unione Europea a privare alcuni rifugiati siriani del permesso di soggiorno, dopo aver dichiarato come sicura la zona di Damasco, la capitale della Siria, dove da 10 anni è in corso una guerra civile che ha costretto milioni di persone a lasciare il paese.
Da allora il governo danese ha iniziato a revisionare migliaia di permessi di soggiorno delle persone siriane arrivate in Danimarca dall’inizio della guerra, e a oggi, come ha raccontato il New York Times, sono più di 250 le persone a cui sono stati revocati o non rinnovati i permessi. Queste persone – molte delle quali durante la loro permanenza avevano imparato il danese e trovato un lavoro – sarebbero in teoria costrette a tornare in Siria, dove secondo la maggior parte degli esperti e delle organizzazioni internazionali la situazione non è sicura, e chi torna rischia di essere incarcerato, torturato o ucciso. Spesso inoltre chi rientra in Siria non ha più nemmeno una casa in cui tornare, dato che molti centri abitati sono stati distrutti dalla guerra.
Il governo danese tuttavia non ha relazioni diplomatiche con la Siria o accordi di collaborazione con le autorità siriane, perciò chi perde il permesso di residenza e non vuole partire spontaneamente viene mandato nei centri per il rimpatrio: lì i siriani possono rimanere anche per diversi mesi senza alcuna prospettiva su cosa accadrà loro.
Dal 2011 in Danimarca – un paese di 5,8 milioni di abitanti – sono arrivati circa 34mila rifugiati dalla Siria. Tra loro, e tra chi viene costretto a partire, ci sono lavoratori e studenti universitari, ma anche volontari di organizzazioni non governative. A volte sono giovani che ricordano pochissimo della loro vita in Siria, e in generale persone che se ne sono costruita una nuova in Danimarca. Il New York Times ha raccontato il caso di una famiglia che è stata divisa, in cui ai genitori non è stato rinnovato il permesso di restare in Danimarca, mentre ai figli di 20 e 22 anni sì.
Già nel 2015 in Danimarca la durata dei permessi di soggiorno per i rifugiati era stata ridotta da 5-7 anni a 1-2 anni, ed era stata introdotta la possibilità revocare lo status di rifugiato anche al verificarsi di miglioramenti molto piccoli nella situazione politica dei paesi d’origine dei migranti. Le misure hanno interessato anche altre minoranze nel paese, e da allora, per esempio, centinaia di somali in Danimarca hanno perso lo status di rifugiati.
Nel 2019 era poi iniziato quello che veniva chiamato un “cambio di paradigma”, con cui la Danimarca passava sostanzialmente da un modello di integrazione a uno di rimpatrio. Il governo aveva detto di considerare la città di Damasco saldamente sotto il controllo del governo del presidente siriano Bashar al Assad, e pertanto reputava che non ci fossero rischi per i siriani nel tornare in quella zona. In realtà la situazione in Siria e a Damasco era tutt’altro che stabile e la guerra oggi è ancora in corso.
Diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani hanno spiegato che chi è tornato in Siria da altri paesi negli ultimi anni è stato spesso arrestato, detenuto e forzato a fornire informazioni su dove si trovassero altri membri della sua famiglia, in alcuni casi torturato. Secondo l’organizzazione Rete siriana per i diritti umani, molti sono semplicemente spariti.
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Con le misure adottate, in Danimarca nell’ultimo anno sono arrivati meno rifugiati di quanti ne siano partiti. L’attuale governo però non è ancora soddisfatto, e la prima ministra Mette Frederiksen ha detto lo scorso gennaio che l’obiettivo è avere «zero richiedenti asilo». Il ministro per l’Immigrazione, Mattias Tesfaye, ha offerto grosse somme di denaro a chi decidesse di tornare in Siria volontariamente.
L’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha raccomandato più volte alla Danimarca di cambiare politica sull’immigrazione, secondo le norme internazionali e dell’Unione Europea che obbligano i paesi ad accogliere chi scappa da una guerra e a consentire i ricongiungimenti famigliari, tra le altre cose.
Secondo molti osservatori, l’obiettivo del governo è rendere la Danimarca un posto meno accogliente possibile per i migranti. Questa politica, cominciata dal precedente governo conservatore, è stata mantenuta dall’attuale governo di centrosinistra guidato dai Socialdemocratici, probabilmente con l’intento di attrarre parte dell’elettorato di centrodestra.
Nel 2018 erano inoltre entrate in vigore una serie di leggi per regolare la vita delle persone definite “non occidentali” che vivevano nei cosiddetti “ghetti”, termine con cui la legislazione danese definisce i quartieri in grave difficoltà economica e sociale: tra queste, c’era l’obbligo per i bambini figli di immigrati di frequentare corsi sui “valori danesi” e la riduzione degli alloggi a prezzi calmierati per le famiglie provenienti da paesi non occidentali. A marzo di quest’anno il governo ha proposto una legge per ridurre la concentrazione di persone non occidentali nei ghetti ed evitare la creazione di quelle che definisce “società parallele” religiose e culturali, in contrasto con quella tradizionale danese.
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