Il Wall Street Journal è diviso sul suo futuro
Il New York Times racconta lo scontro tra direzione e proprietà sulla necessità di adattarlo alle sensibilità più giovani e contemporanee per non perdere lettori
«Il motivo principale per cui perdiamo abbonati è che muoiono» è una considerazione che circola più o meno scherzosamente tra i giornalisti del Wall Street Journal, uno dei quotidiani statunitensi più antichi e autorevoli, e rivela una realtà con cui da alcuni anni stanno avendo a che fare l’editore e la direzione del giornale. Proprio questi due negli ultimi mesi sono stati al centro di uno scontro sul futuro del giornale, intorno alla necessità e all’opportunità di puntare o meno sui lettori più giovani e di trattare temi nuovi e più affini alle sensibilità culturali contemporanee, raccontato di recente dal New York Times.
Il Wall Street Journal è il giornale a maggior diffusione negli Stati Uniti (contando sia le copie cartacee che quelle digitali) ed è considerato da sempre di orientamento moderatamente conservatore, con lettori prevalentemente maschi bianchi adulti o anziani. È a questo che si riferiscono i giornalisti del Wall Street Journal quando scherzano sul fatto che il giornale non perde abbonati perché passano a leggere altro, ma perché più semplicemente rappresentano un bacino in naturale diminuzione.
La questione dell’età dei lettori sta però diventando una preoccupazione sempre più seria per il giornale, che deve fare i conti con un mercato editoriale sempre più rivolto ai giovani e al digitale. E in cui è riscontrabile un maggiore successo nella costruzione e occupazione di nuovi spazi – perlomeno nel giornalismo istituzionale – tra i prodotti e i contenuti più attenti alle sensibilità progressiste su temi come il razzismo, le disuguaglianze sociali e di genere, o il cambiamento climatico.
Negli ultimi anni il Wall Street Journal è riuscito a resistere alla grande crisi che ha investito tutti i media tradizionali soprattutto grazie ai suoi lettori più fedeli: quelli interessati a notizie economiche e finanziarie. Fu tra i primissimi a introdurre gli articoli online a pagamento, già negli anni Novanta, anticipando meccanismi diventati comuni vent’anni dopo. Questo pagò, e rese il Wall Street Journal uno dei pochi giornali a fare soldi negli anni della crisi dell’editoria digitale e cartacea. Ma negli ultimi tempi ha comunque dovuto fare i conti con i tempi che cambiano e con la necessità di aumentare gli introiti provenienti dagli abbonamenti digitali. Questo soprattutto per le difficoltà economiche di News Corp – la società di Rupert Murdoch che, assieme a molte altre testate tendenzialmente conservatrici, possiede il Wall Street Journal – che lo scorso anno ha perso più di 1 miliardo di dollari, tra tutti i media che controlla.
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La società editrice del giornale, la Dow Jones & Co., venne acquistata nel 2007 dalla News Corp: a quel tempo molti giornalisti del Wall Street Journal temevano che l’influenza di Murdoch, magnate che ha costruito le sue fortune su media scandalistici e di destra, stravolgesse la tradizionale autorevolezza del giornale tra i conservatori più moderati. In realtà non successe, e anzi il Wall Street Journal arrivò a fare concorrenza al New York Times. La proprietà ha messo come obiettivo quello di raddoppiare entro il giugno 2024 gli abbonamenti digitali, che secondo gli ultimi dati di dicembre 2020 sono 2,5 milioni. Ma è il modo per arrivarci a dividere il giornale.
Proprio con l’obiettivo di aumentare il successo online, infatti, già nel 2018 poco dopo il suo insediamento il direttore Matt Murray aveva creato un team interno con l’obiettivo principale di studiare come rinnovare il giornale e attirare nuovi abbonati. A capo di questo team era stata messa Louise Story, una giornalista arrivata dal New York Times, dove aveva lavorato per più di dieci anni e che nel 2014 era stata tra gli autori di un documento chiamato “Innovation Report”, che conteneva una serie di idee e strategie per rinnovare il giornale e aumentarne gli abbonamenti digitali. Negli anni successivi quel documento si era rivelato decisivo per la crescita del New York Times.
Murray aveva dato al team di Story, composto da 150 persone, il compito di elaborare un rapporto che contenesse le strategie migliori per arrivare all’obiettivo posto dalla proprietà. Il rapporto, intitolato “The Content Review”, era stato consegnato a Murray nel luglio del 2020, ma il suo contenuto non era stato condiviso con la redazione. Il New York Times ha raccontato che, secondo tre persone a conoscenza dei fatti, a più di un mese da quando il rapporto era stato dato a Murray, nessuna delle strategie proposte era stata ancora messa in pratica.
Una copia del rapporto era nel frattempo stata ottenuta da Jeffrey Trachtenberg, giornalista del Wall Street Journal che si occupa di media e giornali. La scorsa estate Trachtenberg, secondo il New York Times, aveva scritto un articolo in cui aveva raccontato nei dettagli il contenuto del rapporto. L’articolo però non era stato pubblicato. A ottobre infine una copia del rapporto era stata pubblicata da BuzzFeed News.
Nel rapporto si diceva che negli ultimi cinque anni il giornale aveva avuto sei trimestri in cui aveva perso più abbonati di quanti ne avesse guadagnati, e venivano chiesti diffusi cambiamenti significativi, dalla strategia sui social media agli argomenti da trattare negli articoli. Secondo il rapporto il giornale avrebbe dovuto attirare nuovi lettori, in particolare donne, persone di colore e giovani, concentrandosi di più su argomenti come il cambiamento climatico e la disparità di reddito.
Secondo 25 giornalisti del Wall Street Journal intervistati dal New York Times, il fatto che nessuno dei cambiamenti proposti fosse stato adottato era dovuto principalmente alle lotte di potere interne al giornale tra Murray e Almar Latour, il nuovo amministratore delegato della Dow Jones & Co, e quindi editore del giornale, nominato il 4 maggio del 2020 al posto di William Lewis, che era alla guida della società dal 2014.
Murray e Latour sono quasi coetanei – il primo ha 54 anni e il secondo 50 – e hanno entrambi alle spalle una lunga carriera come giornalisti al Wall Street Journal. I due, secondo quanto raccontato al New York Times da un dirigente che li conosce bene, non sono però mai andati d’accordo: «si odiano a vicenda», ha detto, anche se in parte i motivi non sono noti. Il loro rapporto comunque era peggiorato quando nel 2018 la proprietà aveva deciso di sostituire Gerard Baker alla direzione del giornale: era stato fatto il nome di entrambi per il suo posto, ma alla fine l’aveva spuntata Murray.
Il rapporto sulla strategia digitale voluto da Murray aveva però incrinato ulteriormente la relazione tra i due. Quando aveva richiesto il rapporto, Murray era sicuro che sarebbe stato ben accolto dall’editore di allora, William Lewis. Ma quando quest’ultimo la scorsa primavera si era dimesso ed era stato sostituito da Latour, le cose per Murray erano cambiate. Secondo diversi giornalisti del Wall Street Journal, Murray non era stato affatto contento della nomina di Latour, che gli aveva anche fatto cambiare opinione sulla necessità del rapporto del team guidato da Story.
Murray era infatti preoccupato che il rapporto potesse essere preso come un attacco della redazione nei confronti della sua leadership, e che Latour potesse usarlo a proprio vantaggio contro di lui. Lo accolse dicendo che, anche se non concordava con alcune cose, richiedeva un dibattito: la redazione tuttora dice di non sapere se ci sia stato e a che conclusioni abbia portato.
Secondo alcuni giornalisti intervistati dal New York Times, l’opposizione di Latour ai progetti di cambiare la strategia del giornale e di rivolgersi a un nuovo pubblico si sarebbero riflettuti in Noted, un magazine ideato dal team di Story per un pubblico più giovane. Noted, un mensile il cui primo numero era uscito nel giugno 2020, doveva essere un magazine per gli under 35, che affrontasse temi vicini ai più giovani, ma anche temi sociali di rado trattati dal Wall Street Journal, come il razzismo e la transfobia.
Nel primo numero doveva esserci un articolo che raccontava di un movimento universitario che chiedeva l’abolizione delle confraternite per combattere omofobia e razzismo nelle università statunitensi, ma era stato “cestinato”. L’editore, secondo il New York Times, avrebbe motivato la decisione dicendo che il tema era stato trattato già da altri giornali. Da allora la rivista si è concentrata principalmente su argomenti pratici legati al mercato del lavoro, pur dal punto di vista dei giovani.
A contribuire alle preoccupazioni di Murray sull’eventualità che il rapporto fosse diffuso all’esterno del giornale si era aggiunta una disputa avvenuta a luglio tra alcuni giornalisti e la proprietà del giornale, in cui lui si era trovato in mezzo. Circa 300 giornalisti del Wall Street Journal avevano firmato una lettera indirizzata a Latour criticando molto duramente la linea editoriale della sezione delle opinioni del giornale, chiedendo che cambiasse. La lettera criticava soprattutto il fatto che la sezione delle opinioni avesse spesso pubblicato articoli che sminuivano la questione razziale e criticavano il movimento Black Lives Matter. Qualcosa di simile era successo anche al New York Times, ma in quel caso il dibattito interno era stato subito di dominio pubblico.
Dopo la lettera niente era però cambiato, e Latour aveva continuato a privilegiare una linea conservatrice per il giornale, andando contro le proposte riformatrici di Murray. Non ha mai chiesto una copia del rapporto di Story, e non si sa se l’abbia letto. In varie occasioni è sembrato insistere sulla necessità di aumentare i lettori digitali puntando sul bacino tradizionale del giornale, senza inseguire altre fasce demografiche e una strategia “woke”, come l’hanno definita alcuni dirigenti che si occupano del lato economico riferendosi alla parola americana che indica le istanze progressiste sulle questioni di razza e genere.
Alcune persone che erano presenti a una riunione dello scorso novembre hanno raccontato quanto lo scontro tra Latour e Murray sia diventato sempre più complicato da gestire: nella riunione un dirigente vicino a Latour, Dan Shar, aveva proposto un piano per aumentare gli abbonati digitali molto diverso da quello contenuto nel rapporto di Story. A un certo punto Murray, spazientito, avrebbe detto: «Ma il direttore sono io!». Secondo due persone che erano presenti alla riunione, Shar si era messo a ridere, mentre Latour era rimasto impassibile.