Come un film sull’Eurovision ha stravolto una piccola città islandese

Prima Húsavík era conosciuta solo per le balene: tra pochi giorni potrebbe “vincere un Oscar”, e c'è di mezzo anche un italiano

(AP Photo/Brynjar Gunnarsson)
(AP Photo/Brynjar Gunnarsson)

«Sto contribuendo a trasformare Húsavík in uno dei posti più conosciuti d’Islanda: che è il contrario della ragione per cui ci sono venuto inizialmente, cioè perché non c’era nessuno e perché era relativamente sconosciuto» dice Leonardo Piccione, che ha 34 anni e che cinque inverni fa era andato in Islanda per scrivere un libro sui suoi vulcani. Dall’anno scorso, però, Piccione è rimasto coinvolto nell’inaspettato successo di un film demenziale dedicato all’Eurovision, e in particolare in quello di una sua canzone strappalacrime che ha dato una improvvisa popolarità a una piccola e sonnolenta città del nord dell’Islanda. Tra qualche giorno la canzone – che si chiama proprio come la città – potrebbe vincere un Oscar, accrescendone ancor più la fama.

Húsavík è abitata da un paio di migliaia di persone e – quando non stanno in mare – da circa 70mila pulcinelle di mare, e fino a qualche tempo fa era conosciuta essenzialmente per le balene che si potevano vedere nella baia su cui si affaccia. A partire dalla scorsa estate però è finita prima su tutti i media islandesi e poi su quelli americani e internazionali per via di Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga, uscito su Netflix lo scorso giugno, e per la sua canzone principale: “Husavik”.

Alla sua nomination all’Oscar ha contribuito, forse più che la canzone in sé, l’impegno e l’originalità di alcuni abitanti della città. E sebbene la candidatura di una canzone all’Oscar sia una questione di per sé piuttosto piccola e trascurabile per molti – vi ricordate per caso chi l’ha vinto negli ultimi anni, l’Oscar per la miglior canzone originale? * – per Húsavík non è stato così. Lo prova il successo di un bar dedicato al film, finito sui telegiornali di tutto il paese e la cui idea venne proprio a Piccione, e la prossima apertura di un museo dedicato all’Eurovision.

L’idea di fare un film che raccontasse certe bizzarrie dell’evento che in Italia è anche noto come Eurofestival è dell’attore Will Ferrell, che ne venne a conoscenza grazie alla moglie svedese, nell’anno in cui la Svezia vinse la competizione grazie alla canzone “Take Me to Your Heaven”. Per aggiungere bizzarria al film Ferrell – che ne è anche co-produttore e co-sceneggiatore – decise però di ambientarlo in Islanda, tra l’altro un paese che l’Eurovision non lo ha mai vinto.


Húsavík, la città, e “Husavik”, la canzone, nel film ci finirono piuttosto per caso. Perché qualcuno si imbatté nel nome visto su una cartina e poi perché gli autori ai quali era stato chiesto di comporre le canzoni lo inserirono temporaneamente nei testi, dopo aver notato che molti altri nomi di località islandesi sarebbero stati molto più difficili da pronunciare, cantare e associare con efficacia a una musica.

«Sentii una delle prime versioni della canzone mentre guidavo per l’Islanda alla ricerca di luoghi in cui girare il film» ha spiegato al New York Times Leifur Dagfinnsson, che ha collaborato con la produzione del film. Tra l’altro, in un posto in cui già di per sé non è sempre facile spostarsi, Húsavík rappresentava una location lontana e isolata dalla capitale Reykjavik, e quindi più costosa. Non a caso, non era mai stata scelta come set di un film internazionale.

E infatti l’idea iniziale era di girare le scene islandesi del film in qualche piccola città nei pressi della capitale Reykjavik, nel sudovest dell’isola. Sempre Dagfinnsson ha spiegato che la relativa semplicità del nome dava a Húsavík un chiaro vantaggio rispetto a un concorrente come Stykkisholmur, che per il fatto di essere a solo un paio di ore di macchina a nord della capitale «sarebbe stata una scelta più logica per il budget».

Tra l’altro, dei tre autori della canzone – due svedesi e uno statunitense – nessuno era mai stato a Húsavík, e in realtà continuano a non averci mai messo piede. Savan Kotecha, lo statunitense e il più noto del trio grazie alle sue collaborazioni con The Weeknd, con Ariana Grande e con gli One Direction, ha addirittura spiegato di aver scritto la parte islandese del testo usando Google Traduttore (e infatti nemmeno gli islandesi la capiscono) e di essersi fatto un’idea di come fosse Húsavík facendoci un giro su Google Street View.

– Ascolta anche: “Tienimi Bordone” con la storia dietro alla nomination all’Oscar di “Husavik”

Kotecha ha detto ad Associated Press che la canzone fu la più difficile del film e che arrivò alla sua versione finale dopo decine di tentativi provvisori. Come ha scritto il Los Angeles Times, «gli autori sapevano che nel momento culminante del film serviva una canzone, solo che cambiarono svariate volte idea sul suo significato, sul genere richiesto e su come sarebbe stato quel momento culminante». Questo perché la canzone doveva in qualche modo inserirsi nella sua trama comica e stramba – e intermezzata da canzoni «buffe, divertenti e ritmate» – ma anche essere a suo modo capace di commuovere e di presentarsi come una credibile canzone da Eurovision, un concorso in cui si alternano composizioni ricche di pathos, altre molto contemporanee e altre ancora folkloristiche, bizzarre, a volte deliberatamente buffe. Nelle parole del New York Times, la canzone doveva essere «qualcosa che potesse sembrare una potente ballata da Eurovision, ma anche esserne una parodia».


A Húsavík, la troupe di Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga arrivò in un giorno piovoso dell’ottobre del 2019, e ci restò in tutto per meno di una settimana. E Húsavík, che già era entrata in quel periodo dell’anno in cui di turisti se ne vedono ben pochi, si fece trovare pronta. «Sapevamo da qualche settimana che sarebbero arrivati» ricorda Piccione, che dalla fine del 2016 vive lassù buona parte dell’anno: «però non c’erano molti dettagli» e c’era anche chi pensava qualcosa come «si vabbè, verranno, faranno la solita scena epica ambientata in Islanda e poi se ne andranno». Ciononostante, molti tra i circa duemila abitanti accolsero con piacere la breve trasformazione del paese nel set di un film comico americano.

A Piccione, che al tempo lavorava nel cittadino Museo dell’esplorazione, capitò anche di trovare in un bar Pierce Brosnan, uno degli attori del film, e di invitare lui e la moglie a una visita privata del museo che per l’occasione «fu chiuso al pubblico (anche se, precisa Piccione, «non è che ce ne fosse, di pubblico»). C’era invece un po’ di gente in più all’happy hour del venerdì sera «in cui la birra costa la metà» e a cui Piccione invitò Brosnan e la moglie, ritrovandoseli anche lì: «non so se sono venuti per via dello sconto o perché non avevano altro da fare in paese».

Húsavík è piccola per gli standard di un paese come l’Italia, ma in Islanda è una città relativamente grande, con bar, happy hour e tutta una discreta serie di attività commerciali e di ristorazione. A differenza di molte città islandesi, è persino carina. È poco fuori dalla Ring Road, il classico anello percorso di un viaggio on the road in Islanda, e spesso costituisce una tappa per chi passa almeno un paio di settimane sull’isola. Ma una parte importante del turismo nel paese è quello di chi si ferma meno e si allontana poco da Reykjavík, come fanno moltissimi turisti americani che approfittano di un efficiente collegamento aereo in meno di sei ore. Comunicare la propria esistenza anche ai visitatori più frettolosi, insomma, non farebbe male a chi ci vive, da un paio di decenni contando sempre più massicciamente dal turismo. Húsavík dice di essere – e nessuno la contraddice – “capitale europea del whale-watching”, l’attività dei tour in barca che avvistano le balene. Con il corredo d’ordinanza islandese di cascate, notevolissimi paesaggi, aurore boreali e bagni geotermali.

(AP Photo/Brynjar Gunnarsson)

Tutto questo dopo che per secoli, da quando i Vichinghi ci si insediarono (forse prima che in ogni altro luogo dell’isola), l’economia locale si era basata soprattutto sulla pesca e, in tempi più recenti, su una fabbrica di silicio metallico.

Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga uscì nel giugno 2020, in un periodo in cui, per via della pandemia, i turisti stranieri erano assai meno del solito. Ma durante il quale, in compenso, non potendo andare all’estero molti islandesi avevano deciso di fare i turisti nella loro isola. Molti di loro si interessarono quindi a Húsavík dopo averla vista nel film e dopo averne sentito la canzone, che in Islanda andò comprensibilmente piuttosto forte. Piccione, che era andato in Islanda per scrivere un libro sui vulcani e che ci era rimasto per scrivere anche altre cose, intanto lavorava un po’ al Museo dell’esplorazione e un po’ al Cape Hotel, entrambi realizzati e gestiti dal 37enne Örlygur Hnefill Örlygsson.

– Leggi anche: I vulcani islandesi, e le loro storie

Proprio in quel periodo Örlygsson aveva in mente di ricavare un bar da una terrazza del suo albergo con vista sulla baia, e vista la sua passione per l’esplorazione l’idea era di chiamarlo Kon-Tiki, come la famosa zattera. Piccione racconta però che «visto che il film stava piacendo e aveva un potenziale di promozione» propose al suo amico e datore di lavoro di dargli un nome che sfruttasse la popolarità del film: «e il nome scelto fu ovviamente Jaja Ding Dong». Cioè il titolo di una canzone comica del film, secondo Piccione «un motivetto da Oktoberfest con un testo molto esplicito in ambito sessuale», che gli abitanti della Húsavík del film preferiscono di gran lunga a ogni altra canzone proposta dalla coppia protagonista nelle loro esibizioni al pub locale.


Il bar fu inaugurato a inizio luglio e chiuse a fine settembre, restando aperto in tutto per «meno di 60 giorni»: perché era solo all’aperto, e se pioveva non apriva. Oltre che nel nome, i riferimenti al film erano nella sua musica di sottofondo, spesso legata all’Euorovision e con frequentissime (poiché richiestissime) riproposizioni di “Jaja Ding Dong”. C’erano anche un paio di cocktail il cui nome era tratto dalle canzoni del film. Per esempio il Double Trouble, che è una sorta di «variante del Moscow Mule» e che a mango, limone e ginger beer unisce un doppio shot di Brennivín, che Piccione spiega essere «l’acquavite islandese».

Piccione ricorda tuttavia che allo Jaja Ding Dong – «con buona probabilità il primo bar solo all’aperto della storia d’Islanda» – più che i cocktail si vendevano le lattine di birra da mezzo litro: tra le 60 e le 80, nei giorni migliori, per un prezzo di 800 corone, circa 5 euro: un prezzo comunque inferiore rispetto a quelli della concorrenza di Húsavík. Per via delle restrizioni dovute alla pandemia, il bar doveva chiudere alle 23.

Leonardo Piccione e alcune avventrici dello Jaja Ding Dong nell’estate 2020 (Rafnar Orri Gunnarsson)

Dello Jaja Ding Dong e di come per qualche settimana divenne forse il bar più noto d’Islanda, Piccione parlò diffusamente in una serie di tweet, che inizia così:

Di quella strana estate, Piccione ricorda gli iniziali mormorii di qualcuno che, a Húsavík, non sembrava granché felice del fatto che il bar di Örlygsson sfruttasse il film, provando ad “appropriarsene”. Ma anche che, a quel proposito, molti altri «non facevano nulla» e che «lo stesso ufficio del turismo locale nemmeno mise un cartello all’inizio del paese». Anche gli altri bar, ristoranti e locali di Húsavík ebbero comunque modo, grazie alla relativa fama ottenuta attraverso il film, di riempire con buon profitto i loro posti al coperto e all’aperto.

Poi, da settembre, arrivò il freddo e sparì la maggior parte dei turisti, anche quelli islandesi. E visto che Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga non era esattamente un gran film, forse nemmeno nel suo campionato di film demenziali, in molti – quantomeno all’estero – se ne dimenticarono.

Nel febbraio di quest’anno è successo però che, in maniera piuttosto imprevista, “Husavik” è finita tra le 15 canzoni in lizza per entrare nelle cinque candidate al relativo Oscar. Örlygsson, Piccione e alcuni altri si attivarono quindi per mettere in piedi un sito e una serie di video a sostegno della candidatura. Il primo – “An Óskar for Húsavík”, girato quando ancora la canzone doveva entrare nella cinquina degli Oscar – ha alcune decine di migliaia di visualizzazioni e come spiega Piccione, che ne è l’orgoglioso ideatore, racconta la storia di un personaggio fittizio chiamato Óskar Óskarsson che dice di essere l’unico Óskar di Húsavík, una città che adora, e che non vede l’ora che alla città sia associato anche un altro, e più noto, Oscar.


Il progetto, spiega Piccione, è supportato da «un piccolo finanziamento da parte dell’ufficio del turismo islandese», ma per il resto è stato realizzato grazie all’impegno e alla collaborazione di più persone. Sigurður Illugason, l’attore di 72 anni che fa Óskar, è per esempio un imbianchino e attore locale. Tra l’altro molto felice, dice Piccione, del fatto che l’abbiano visto recitare più persone in quei due minuti di video di quante non lo avessero visto a teatro nei precedenti quarant’anni di carriera.

Piccione racconta poi che dopo l’uscita di quel video lui e altri hanno fatto una serie di incontri su Zoom con «sei o sette dipendenti di Netflix » collegati dalla sede statunitense, sul Sunset Boulevard di Hollywood. «Ci hanno detto esplicitamente che “se il film ha ricevuto una candidatura agli Oscar è merito nostro”, ma non ci hanno dato nessun contributo economico, solo sostegno morale».

Nel frattempo, in attesa della cerimonia di premiazione degli Oscar del 25 aprile, è uscito un altro video e della bizzarra storia di Húsavík, la città, e “Husavik”, la canzone, hanno parlato il seguitissimo programma televisivo statunitense Good Morning America, e poi Associated Press, New York Times, Financial Times e New Yorker. Alcuni hanno anche mandato fotografi e giornalisti sul posto e Piccione racconta che durante le riprese del secondo video, con loro c’era «un’inviata del Washington Post», sicché presto uscirà un articolo anche lì.

Un dietro le quinte delle riprese di uno dei video (Francesco Perini / Ricciolo Polare Artico)

In previsione della cerimonia di premiazione, Piccione e compagni hanno girato una serie di brevi video, ognuno dei quali ringrazia e celebra le altre quattro canzoni che potrebbero vincere l’Oscar. Nel caso in cui dovesse vincere proprio “Husavik”, si penserà invece a qualcosa di diverso e più corposo.

A prescindere da chi vincerà l’Oscar per la miglior canzone – un premio che eventualmente andrà agli autori, non alla città – Örlygsson ha deciso di dedicarsi all’apertura di un piccolo museo temporaneo, che nei suoi piani dovrebbe restare aperto tre anni, dedicato all’Eurovision, e Piccione lo sta aiutando nella raccolta delle informazioni necessarie e di certi oggetti da esporre. Netflix, per esempio, manderà costumi e oggetti di scena di Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga. L’idea è quindi di puntare il più possibile su un film che, secondo Piccione, «ha segnato una svolta e segnerà una svolta storica per Húsavík», che ormai non è più solo nota come “la capitale islandese delle balene”.

Con riferimento a un possibile Oscar per “Husavik”, Piccione dice «non ci voglio nemmeno pensare, perché significherebbe un ulteriore round di cose che non mi competono». Poi spiega meglio che, per tutta una strana serie di incastri di eventi, nonostante fosse andato a Húsavík «per fare tutt’altro», si è ritrovato a fare tutta una serie di attività, discorsi e lavori che mai avrebbe immaginato, come inventare cocktail provando cosa stesse meglio con il Brennivín o ritrovarsi a parlare con la prima ministra islandese per poter ricevere finanziamenti pubblici per il museo, in una telefonata di gruppo fatta in inglese perché potesse capire anche lui, unico straniero a partecipare.

Piccione spiega comunque di esserne felice seppur ancora un po’ spaesato: parlarne lo aiuta, dice, «a dare contorni di realtà a tutto questo». E aggiunge che «il continuo reinventarsi» a cui lo sta «costringendo l’Islanda» è, a ben vedere, «un buon esercizio creativo». In riferimento alla calma che cercava in origine in Islanda, qualche tempo fa aveva iniziato con un altro italiano residente a Húsavík, Francesco Perini, a registrare un podcast che voleva raccontare cosa succede «in un posto dove non succede nulla»: Nammi. Le cose sono andate diversamente, e si è trovato a dover parlare del film, dell’Eurovision, del prima improbabile e poi possibile Oscar e poi anche dell’eruzione di un vulcano inattivo da migliaia di anni.

Diventare “uno dei posti più conosciuti d’Islanda” ha però di certo fatto comodo alla città, specie durante la pandemia, che oltre a ridurre notevolmente il turismo dall’estero ha anche portato alla chiusura della fabbrica di silicio metallico che fino a qualche mese fa continuava a dare lavoro a molti. «Sarei felice» commenta Piccione «se tutta questa storia lasciasse in eredità qualcosa di positivo a Húsavík, sia dal punto di vista economico che da quello socioculturale, diciamo».

Così come la fabbrica, per esempio, anche il Museo dell’esplorazione è stato momentaneamente smantellato da Örlygsson per tagliare qualche spesa. Più che dello Jaja Ding Dong, Örlygsson – che lo mise in piedi anni fa, seguendo una sua grande passione personale – avrebbe preferito parlare ai giornali statunitensi di esplorazione e Spazio. Sfruttando il fatto che gli astronauti della missione Apollo passarono del tempo vicino a Húsavík per esercitarsi, si mise in contatto con alcuni di loro e ne fece arrivare addirittura alcuni in Islanda. Örlygsson è autore del documentario Cosmic Birth.


Intanto, Scott Feinberg – esperto e apprezzato giornalista cinematografico dell’Hollywood Reporterha dato “Husavik” come favorita per l’Oscar alla miglior canzone. E dal 18 maggio, un mese dopo gli Oscar, ci sarà invece l’Eurovision, la cui edizione del 2020 era stata invece annullata a causa della pandemia. A provare a portare all’Islanda la sua prima vittoria sarà Daði Freyr Pétursson, che è nato a Reykjavík e vive a Berlino. L’anno scorso, spiega Piccione, era dato tra i favoriti, mentre invece «la canzone di quest’anno non ha la stessa presa».


Anche lui, comunque, ha fatto la sua cover elettronica di Jaja Ding Dong: «questa è la prima e l’ultima volta che la faccio», disse prima di registrarla per un video.


A proposito, con l’estate riaprirà anche lo Jaja Ding Dong, il bar. Da quest’anno con una sua birra ufficiale, fatta da un microbirrificio locale e ispirata a “Volcano Man”, un’altra canzone del film.

* L’anno scorso, l’Oscar per la miglior canzone originale andò a “(I’m Gonna) Love Me Again” del film Rocketman.