I danni delle gelate nei frutteti c’entrano col cambiamento climatico
L'aumento delle temperature anticipa le fioriture, rendendo le piante più vulnerabili nelle notti di primavera più fredde
La settimana scorsa molte coltivazioni italiane sono state danneggiate dalle gelate, cioè dagli abbassamenti intensi e improvvisi delle temperature, che nella notte tra il 7 e l’8 aprile sono scese fino a -7 °C in alcune parti della Pianura Padana e della Toscana. Secondo la Confederazione italiana agricoltori (CIA), nel Nord e nel Centro Italia le gelate potrebbero aver causato una riduzione della produzione agricola del 50-70 per cento per alcune colture, in particolare vigneti e alberi da frutto, e danni per milioni di euro. Il fenomeno, che si è verificato anche in Francia, è legato a una generale diminuzione delle temperature in Europa dopo un marzo più caldo del solito ed è un esempio dei rischi per l’agricoltura europea collegati al cambiamento climatico.
Ciò che succede durante una gelata è che l’acqua contenuta all’interno dei tessuti delle piante si solidifica, deidratando le cellule e creando delle lesioni dovute all’aumento di volume (il ghiaccio ne occupa di più dell’acqua liquida). Anche se le gelate ci sono sempre state, l’aumento delle temperature medie causato dal cambiamento climatico le ha rese potenzialmente più dannose per le coltivazioni.
«Il problema non è la gelata ma l’effetto che ha sulle piante a seconda della fase fenologica in cui si trovano» spiega Francesca Ventura, docente di Agrometeorologia ed ecologia agraria dell’Università di Bologna. «Se è pieno inverno, non ci sono gemme, deve essere davvero estrema per fare danni. Se invece ci sono organi sensibili al freddo come i fiori o i frutticini, può causare un danno irreversibile per quella stagione. Sono le tempistiche che non funzionano più: le piante hanno un loro contatore fisiologico interno legato alle condizioni meteorologiche, fioriscono quando percepiscono l’arrivo della primavera. Ora fa caldo prima che in passato, le piante fioriscono prima». Ed è per questo che sono più vulnerabili alle gelate tardive, quelle che avvengono all’inizio della primavera.
«Cinquant’anni fa un evento meteorologico analogo a quello della settimana scorsa magari avrebbe fatto meno danni», aggiunge Marco Bindi, agroclimatologo e professore di Agronomia e coltivazioni erbacee dell’Università di Firenze. «Le piante che non sono ancora in fase di fioritura sono più resistenti e all’epoca la vegetazione riprendeva più tardi».
Riassumendo: il riscaldamento globale causa una fioritura precoce delle piante, rispetto a quanto avveniva qualche decennio fa, e questo le rende più vulnerabili alle gelate.
Le gelate della settimana scorsa hanno colpito in particolare le coltivazioni di alberi da frutto come gli albicocchi, i peschi, i susini, le viti, i kiwi, i meli e i ciliegi. Ci sono stati danni anche alle coltivazioni di barbabietola e mais, a quelle di certi tipi di piante ornamentali (dalle photinie e dagli allori della Toscana ai tulipani della provincia di Foggia) e di ortaggi; per questi ultimi il danno è minore dato che si tratta di piante che fruttificano più volte nel corso dell’anno, a differenza degli alberi da frutto.
Per proteggere gli alberi da frutto, gli agricoltori possono usare alcune tecniche di difesa che sono sempre più diffuse, dato che i rischi legati alle gelate tardive e al loro aumento per via del cambiamento climatico sono ben noti. Quella più tradizionale, inventata nei vigneti francesi, è l’accensione di falò notturni, stufette a pellet o candele per contrastare la diminuzione delle temperature. Un’operazione che si è vista la settimana scorsa nei vigneti della provincia di Cuneo, ad esempio, dove si trova la zona delle Langhe molto rinomata per la produzione vinicola, e in provincia di Padova e in Trentino, a protezione dei ciliegi.
Una tecnica con effetti altrettanto scenografici ma più sofisticata è quella dei sistemi “antibrina soprachioma”, a cui si devono le fotografie di meleti e ciliegi “ghiacciati” che sono state pubblicate sui giornali negli ultimi giorni. In pratica, si usano gli impianti di irrigazione per bagnare le piante: quando la temperatura scende sotto lo zero, sulle loro superfici si crea un sottile strato di ghiaccio. «Fa da isolante», spiega Marco Bindi: «Il ghiaccio ha una bassissima conduzione termica, la pianta all’interno viene mantenuta a una temperatura vicina allo 0, e non è sottoposta alle temperature inferiori che si registrano all’esterno».
La settimana scorsa questa tecnica è stata usata in Trentino-Alto Adige, in alcune zone dell’Emilia-Romagna e della Lombardia. Jacopo Fontaneto di Coldiretti ha detto all’agenzia di stampa AFP che grazie ai sistemi antibrina in Valtellina sono state salvate cinquemila tonnellate di mele.
Per funzionare, il metodo antibrina per irrigazione deve essere usato con attenzione: «È importante non irrigare troppo, lo strato di ghiaccio non deve essere tanto pesante da determinare la rottura dei rami» dice Bindi. È inoltre necessario un sistema di allerta meteorologica che avvisi per tempo gli agricoltori del rischio di gelate: in alcune zone dell’Emilia-Romagna ad esempio l’ARPA locale gestisce un servizio di previsione gelate tardive, attivo da marzo aprile in cinque zone della regione dove la coltivazione di alberi da frutto ha grande importanza. In Trentino-Alto Adige gli agricoltori vengono avvisati del rischio di gelate dai bollettini di Meteotrentino, e durante le due notti di gelo della settimana scorsa sono stati informati dell’andamento delle temperature con oltre 41mila sms inviati dalle 40 stazioni meteo della Fondazione Edmund Mach, dotate di sensori antibrina. Gli allarmi vengono dati in base alla coltura di interesse (melo o ciliegio) e si attivano a soglie diverse di temperatura in base alla fase fenologica delle piante.
Il metodo antibrina, anche quando bene applicato, può non bastare a evitare del tutto i danni, in particolare se le temperature sono molto basse, durano a lungo e sono accompagnate a una bassa umidità.
Uno studio pubblicato lo scorso anno sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences dice che tra il 1959 e il 2017 la frequenza delle gelate tardive è aumentata in varie parti d’Europa, Nord e Centro Italia compresi. Sono tra gli eventi meteorologici estremi la cui maggiore frequenza si può ricondurre al cambiamento climatico causato dalle attività umane.
«Sono più di 30 anni che mi occupo di quest’argomento e la sensibilità è aumentata in modo esponenziale» racconta Bindi: «Un tempo si pensava al cambiamento climatico come a qualcosa che riguardava le generazioni future, ora si è capito che ci riguarda direttamente e anche l’agricoltura si sta attrezzando». Le tecniche contro le gelate sono un esempio delle strategie di adattamento che gli agricoltori stanno adottando per ridurre i danni.
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Le gelate però sono solo uno dei problemi del cambiamento climatico sull’agricoltura. «Le precipitazioni sono distribuite in modo peggiore nel corso dell’anno, il marzo appena passato è stato uno dei più siccitosi degli ultimi anni» spiega ad esempio Francesca Ventura. «Poi c’è la riduzione della disponibilità di acqua dove un tempo non c’erano carenze idriche e l’aumento delle temperature che rende le colture più precoci». Ci sono anche alcuni lati «positivi», aggiunge Ventura, come la possibilità di coltivare specie nuove come i frutti tropicali in alcune regioni del Sud, specialmente la Sicilia.
Per tutti i problemi si possono cercare soluzioni basate sugli studi degli agronomi, e che vanno dal miglioramento genetico delle piante ai modi per sfruttare l’acqua piovana in maniera più efficiente, dal cambiare il momento dell’anno in cui si seminano certe colture allo scegliere varietà che maturano prima, e quindi hanno bisogno di meno acqua nei periodi dell’anno più secchi. Nel caso delle viti, una strategia sempre più adottata è quella di spostare i vigneti a quote più alte, anche in zone dove venti o trent’anni fa di viti non se ne coltivavano molte.
In tutto ciò «l’agricoltura è uno dei settori che può contribuire maggiormente alla riduzione delle emissioni di gas serra» responsabili del cambiamento climatico, spiega Bindi. In Italia gli agricoltori hanno ormai cominciato ad adottare le strategie di adattamento al cambiamento, il passaggio successivo sarà passare alle strategie di mitigazione, quelle appunto necessarie a ridurre l’impatto ambientale delle pratiche agricole. Alcuni esempi: evitare di fare lavorazioni del terreno molto profonde, che fanno arrivare nell’atmosfera una maggiore quantità di composti del carbonio e dell’azoto, che sono gas serra, e dosare l’utilizzo dei fertilizzanti (a loro volta fonti di gas serra) con le tecniche dell’agricoltura di precisione, che consistono nell’ottimizzarne l’uso scegliendo il momento, la quantità e il punto più adatto in cui distribuirli sulle piante.
Queste strategie, secondo Bindi, sono più difficili da diffondere tra gli agricoltori, dato che non hanno effetti diretti e immediati come le strategie di adattamento, ma sono altrettanto importanti.