Un flebile tremolio potrebbe scuotere le leggi della fisica
Un nuovo esperimento sui muoni suggerisce che ci siano particelle o forze della natura che ancora non conosciamo
di Emanuele Menietti – @emenietti
Nel 2013 lungo le strade degli Stati Uniti migliaia di persone assistettero a qualcosa di piuttosto insolito: il passaggio di un enorme magnete dal diametro di 15 metri, in viaggio da Brookhaven (Long Island) a Chicago (Illinois). Quel grande e ingombrante anello sarebbe servito per compiere esperimenti nell’infinitamente piccolo e, secondo i primi risultati, potrebbe essere la nostra porta d’accesso a un mondo nuovo e inesplorato, nel quale esistono tipi di particelle mai osservate prima e forse una nuova forza della natura, oltre alle quattro che già conosciamo.
Il magnete ora fa parte del Fermilab (Fermi National Accelerator Laboratory), uno dei più importanti laboratori per lo studio della fisica delle particelle elementari, poco distante da Chicago e intitolato al famoso fisico italiano Enrico Fermi. Il suo utilizzo ha di recente permesso di analizzare un particolare tipo di particelle chiamate “muoni”, che sembrano comportarsi diversamente rispetto a quanto previsto nel Modello standard, la teoria che negli anni i fisici hanno elaborato per descrivere l’esistenza delle particelle e il loro comportamento.
I risultati sono ancora preliminari, ma giudicati promettenti. Se si confermasse che i muoni non si comportano nella pratica come previsto dalla teoria significherebbe che il Modello standard si è perso per strada qualcosa, mancando di prevedere per esempio l’esistenza di altre particelle rispetto alle 17 che già conosciamo o la presenza di un’ulteriore forza fondamentale a noi ancora ignota. Se siete confusi e vi gira la testa, niente paura: partiamo dall’inizio.
Leptoni, quark e bosoni
La materia è costituita da molecole che a loro volta sono formate da atomi, che a loro volta sono costituiti da particelle elementari. Queste a loro volta si dividono in due gruppi – leptoni e quark – e costituiscono tutto ciò che vediamo intorno in questo momento compresi noi stessi. Poi ci sono i bosoni, un poco più complicati, che hanno a che fare con le forze, ciò che fa funzionare il gioco più grande di tutti: l’Universo.
A oggi, i fisici hanno identificato quattro forze fondamentali – interazione gravitazionale, interazione elettromagnetica, interazione debole e interazione forte – che dicono alle particelle cosa possono e non possono fare. Stabiliscono per esempio che le particelle prive di massa si possono spostare alla velocità della luce, o che le masse si attraggono. I bosoni si trovano tra le particelle e le informano sulle regole del gioco, un po’ come se fossero gli arbitri.
Modello standard
Nel corso dei decenni, i fisici hanno fatto calcoli e teorie su tutto questo, realizzando una sorta di manuale delle istruzioni che prova a descrivere l’esistenza di tutto (o quasi): il Modello standard. Altri loro colleghi, più affezionati alla pratica che alla teoria, si sono messi a fare esperimenti e misurazioni per controllare che il Modello reggesse anche nella realtà e per capire se potesse essere messo in crisi.
Finora il manuale ha retto piuttosto bene, ma sono emerse comunque alcune differenze tra ciò che ci si aspetta dalla teoria e ciò che si riscontra nella pratica, che suggeriscono l’eventuale presenza di altri pezzi del rompicapo ad oggi ignoti. L’esperimento del Fermilab sembra andare in questo senso.
Muoni
Tra i sei tipi di leptoni, i più famosi e a noi familiari sono gli elettroni, importanti per esempio per determinare le proprietà chimiche degli atomi. Tra i loro parenti stretti ci sono i muoni, la cui massa è però circa 200 volte quella degli elettroni.
Come i loro parenti più smilzi, anche i muoni in alcune circostanze si comportano come se avessero al loro interno una minuscola calamita con un polo negativo e uno positivo. Quando si trovano in un campo magnetico molto forte, l’orientamento della loro calamita si modifica e ciò influisce sul modo in cui si muovono (“precessione”), circostanza descritta da un numero che i fisici chiamano “fattore-g”, e che può essere calcolato teoricamente o misurato nella pratica con grande precisione.
Per farlo, i muoni vengono convogliati all’interno di un grande magnete (come quello che otto anni fa scorrazzava per gli Stati Uniti) e viene poi misurato il modo in cui oscillano nel campo magnetico. Ciò avviene mentre i muoni interagiscono con particelle più piccole che compaiono e scompaiono molto velocemente.
Questi incontri influiscono sul fattore-g e comportano quindi che i muoni risultino più o meno magnetici a seconda dei casi, un po’ come avviene quando appendiamo un foglietto al frigorifero con un magnete e poi aggiungiamo altri foglietti, facendo aumentare lo spessore e riducendo la tenuta della calamita.
Le variazioni sono infinitesimali e sono comunque previste dalle equazioni del Modello standard, che si basano sulle particelle e sulle forze che conosciamo. A parità di dati iniziali, la misurazione nella pratica con il magnete dovrebbe quindi corrispondere a ciò che si ottiene applicando la teoria e facendo i calcoli. Se i due risultati non corrispondono – e l’esperimento è stato eseguito correttamente – significa che alla teoria manca qualcosa, come particelle o forze non ancora note.
Una grande calamita
Nel 1998 un gruppo di ricercatori a Brookhaven decise di mettere alla prova il Modello standard, per vedere se ci fossero discrepanze. Ne derivarono l’esperimento “Muon g-2” con l’impiego di un grande magnete (Alternating Gradient Synchrotron) per far correre i muoni facendogli raggiungere quasi la velocità della luce.
Nel 2001 i ricercatori ottennero un risultato che li sorprese: il muone era un poco più magnetico di quanto previsto dal Modello standard. La differenza era ben al di sotto del margine oltre il quale si potesse sostenere di avere fatto una nuova scoperta, ma segnalava comunque che ci fosse qualcosa da approfondire.
Mantenere un esperimento di simili dimensioni era però piuttosto costoso e il gruppo di Brookhaven non aveva risorse a sufficienza per ripeterlo.
Nel frattempo presso il Fermilab stava montando un certo interesse per i muoni, occasione colta al volo da uno dei responsabili del “Muon g-2” che propose di riaprire l’esperimento per condurre una misurazione più accurata. La proposta fu accolta e si decise il trasloco del grande magnete: nel 2013 fu caricato su una nave che scese lungo la costa Est degli Stati Uniti e circumnavigò la Florida per far poi proseguire il viaggio al prezioso carico lungo il fiume Mississippi e infine via terra fino a Chicago.
Il magnete fu poi installato al Fermilab e dotato di nuovi sensori e sistemi per misurare con maggiore accuratezza il comportamento dei muoni. Mentre ferveva l’attività nel laboratorio, nel 2020 un gruppo di 170 fisici raggiunse un accordo intorno a un valore più accurato del fattore-g, basato su oltre tre anni di incontri e complicati calcoli effettuati utilizzando il Modello standard. I teorici avevano detto la loro, seppure sia emerso di recente qualche dubbio sul calcolo, ora toccava agli sperimentali, i pratici.
Esperimento
I lavori di messa a punto presso il Fermilab richiesero circa quattro anni di lavoro, ma già nel primo anno di piena attività del sistema (nel 2018) i ricercatori riuscirono a ottenere più dati di quanti ne fossero stati fino ad allora raccolti da tutti gli altri esperimenti su muoni e fattore-g.
Una sterminata quantità di dati, che comprendeva i movimenti di circa 8 miliardi di muoni, è stata poi verificata, analizzata e studiata da oltre 200 scienziati appartenenti a 35 diverse istituzioni di ricerca in giro per il mondo.
Le nuove misurazioni hanno confermato l’esistenza di una discrepanza rispetto alla previsione del Modello standard, comparabile con quella rilevata nel 2001 (seppure oggi l’esperimento abbia un maggior grado di precisione).
Secondo la teoria, il fattore-g del muone dovrebbe essere
2,00233183620
mentre il dato sperimentale indica
2,00233184122.
La discrepanza è più evidente nel grafico qui sotto, che mostra a sinistra la previsione del Modello standard (il pallino verde, con una banda che esprime il margine di incertezza), e a destra il risultato del Fermilab da poco comunicato (in rosso) e quello ottenuto in precedenza a Brookhaven (in blu).
Come ha spiegato Chris Polly – che ha dedicato buona parte della propria carriera all’esperimento “Muon g-2” – riferendosi alla parte vuota nel mezzo del grafico: «Possiamo dire con una certa convinzione che debba esserci qualcosa che contribuisce a quello spazio bianco. Quali mostri potrebbero nascondersi lì dentro?».
Come il Modello standard può sbagliare se non comprende alcune particelle o forze che ci sono ignote, così un esperimento può sbagliare se viene condotto compiendo qualche errore, soprattutto di misurazione. I ricercatori ritengono però che tale probabilità sia di 1 su 40mila. Il risultato è però ancora al di sotto della soglia per essere considerato pienamente affidabile, e per questo serviranno nuove analisi.
Lo studio dei dati della seconda e della terza riproduzione dell’esperimento sono già in corso, mentre al Fermilab si sta conducendo una quarta replica della sperimentazione e una quinta è già in programmazione.
Tra un paio di anni, la combinazione dei risultati consentirà di avere elementi più affidabili per stabilire se ci stia sfuggendo qualcosa, e se il manuale delle istruzioni su come funziona l’Universo vada in parte riscritto, per la gioia di molti fisici teorici.