La povertà energetica in Italia
L'8,8% delle famiglie non può permettersi un servizio di riscaldamento soddisfacente, e la transizione energetica può peggiorare le cose
L’impossibilità di accedere ai servizi energetici di base o non potersi permettere un sistema di riscaldamento (e raffrescamento) soddisfacente per il proprio benessere è un fenomeno che viene chiamato “povertà energetica”, ed è molto diffuso sia in Italia che in altri paesi dell’Unione Europea. E secondo gli enti e le istituzioni che se ne occupano, è un problema che nei prossimi anni potrebbe ulteriormente peggiorare: sia a causa dell’impatto che sta avendo la pandemia da coronavirus sulla capacità di spesa degli italiani, sia perché si prevede che le politiche di transizione energetica per la riduzione dei consumi e dell’impatto ambientale dell’energia ne faranno alzare i prezzi.
L’Osservatorio europeo sulla povertà energetica ha stimato che nei paesi dell’Unione Europea circa 50 milioni di famiglie siano in condizioni di povertà energetica: concretamente, vuol dire che non possono permettersi di riscaldare la casa d’inverno o di rinfrescarla d’estate in maniera adeguata, o ancora che spendono più del 10 per cento del loro reddito per pagare i servizi energetici. Secondo i dati resi noti poche settimane fa dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), in base agli studi dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (OIPE), più di 2,3 milioni di famiglie italiane vivrebbero in povertà energetica, circa l’8,8 per cento del totale nazionale.
La condizione di povertà energetica è determinata da una combinazione di molti fattori collegati tra loro, come il basso reddito, gli alti costi energetici e le strutture abitative non efficienti, per esempio con impianti obsoleti. Ci sono però molte altre variabili, che sono state approfondite e descritte nel secondo rapporto sulla povertà energetica in Italia, pubblicato di recente dall’OIPE.
L’OIPE ha svolto un’analisi di 140 edifici tipo distribuiti su tutto il territorio italiano, classificati per zona climatica, periodo di costruzione e tipologia di abitazione (monofamiliare, villetta a schiera, condominio di dimensioni medie o grande condominio). I ricercatori hanno poi tenuto conto di diversi altri parametri, come la dimensione delle unità abitative e il numero, l’età e il sesso dei componenti del nucleo familiare.
In generale, le regioni più interessate dalla povertà energetica nel nostro paese sono quelle del Sud Italia, in particolare Molise, Campania, Calabria, Basilicata e Sicilia. In queste regioni la frequenza del fenomeno supera il 24 per cento: in parte dipende dal clima, e in parte può essere collegata alla situazione economica delle famiglie, come suggeriscono anche gli indici di povertà dell’Istat.
Secondo lo studio di OIPE, l’indice di povertà energetica è più elevato nelle aree scarsamente popolate (14,4 per cento) rispetto a quelle densamente popolate (5,2 per cento) e nei nuclei familiari in cui i capifamiglia hanno bassi titoli di studio, nazionalità extra-UE o tipologie di reddito diverse dal lavoro dipendente. I nuclei familiari più esposti al fenomeno sono quelli con 5 o più componenti e quelli col capofamiglia – inteso come la persona intestataria della scheda anagrafica familiare – sotto ai 35 anni e le donne soffrono una condizione di maggiore vulnerabilità rispetto agli uomini nella maggior parte delle famiglie considerate.
Il 41,6 per cento delle famiglie italiane che vive in condizione di povertà energetica abita in meno di 70 metri quadri.
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Come evidenzia il Rapporto annuale sull’efficienza energetica di ENEA dell’anno 2020, relativo al periodo dal 2014 al 2018, la percentuale delle famiglie in povertà energetica è stata in costante crescita, con un aumento dello 0,1 per cento circa all’anno, ovvero circa 40mila famiglie. Secondo un’indagine realizzata dall’Istituto di ricerche Demopolis, nei primi tre mesi del 2020 tre cittadini italiani su dieci hanno avuto problemi nel pagare le bollette e quasi lo stesso numero ha detto di essere poco soddisfatto o insoddisfatto del livello di riscaldamento della loro casa. Parlando dei sistemi di raffrescamento della loro casa nei mesi estivi, il 35 per cento degli intervistati ha detto di trovarli del tutto inadeguati.
D’altra parte, nonostante nel 2020 ci sia stato un calo dei consumi e dei prezzi dell’energia per ragioni legate alla pandemia, secondo quanto si legge nel primo rapporto sulla povertà energetica in Italia di OIPE (del 2019), tra il 2007 e il 2017 i prezzi dell’elettricità sono aumentati del 35 per cento e quelli per il gas del 23 per cento: nello stesso periodo l’incidenza della spesa energetica sul bilancio delle famiglie è aumentata dal 4,7 per cento al 5,1 per cento.
A questa tendenza, secondo l’OIPE, bisogna anche aggiungere che la pandemia da coronavirus ha avuto un grosso impatto sull’impoverimento della popolazione e che allo stesso tempo nei prossimi anni si prevede un ulteriore peggioramento della situazione. In primo luogo, perché le conseguenze dei cambiamenti climatici influenzeranno sempre di più la domanda di energia, per esempio facendo aumentare la domanda di raffrescamento in estate, ha spiegato l’OIPE; secondariamente, perché con le politiche di transizione energetica verso fonti di energia meno inquinanti si prevede che i prezzi dell’energia aumenteranno: attualmente i combustibili fossili, le fonti di energia da cui derivano le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale, sono il modo più economico per produrre elettricità e riscaldare.
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Nel dicembre del 2020 l’Unione Europea ha presentato a nome degli stati membri un piano che prevede l’obiettivo aggiornato e rafforzato di ridurre almeno del 55 per cento le emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Il programma è strettamente collegato all’accordo sul clima di Parigi del 2015, che ha l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature sotto ai 2 gradi e di arrivare a emissioni nette pari a zero entro il 2050.
L’Italia ha recepito le direttive dell’Unione Europea attraverso il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC), che prevede investimenti per circa 1.200 miliardi di euro indirizzati alla riduzione dei consumi di energia primaria del 43 per cento entro il 2030. Buona parte di questi investimenti riguarda il settore residenziale e prevede tra le altre cose interventi per valorizzare la «sostenibilità ambientale, sociale ed economica» della transizione energetica.
Un portavoce di ENEA ha spiegato che il fenomeno della povertà energetica è difficile da descrivere in maniera precisa perché manca un approccio standard per misurarlo, e quindi i dati ottenuti dalle ricerche sono indicativi, ma potrebbero essere ulteriormente approfonditi. Quest’ambiguità è il motivo per cui attualmente il contrasto alla povertà energetica avviene principalmente attraverso misure legate al sostegno economico delle famiglie in generale, o all’efficientamento energetico degli immobili, e non a interventi più specifici. Per individuarli e proporli al governo e agli enti centrali bisognerebbe circoscrivere ancora meglio il fenomeno e conoscere meglio chi riguarda.
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Secondo l’OIPE le politiche di contrasto alla povertà energetica possono essere classificate in politiche di “protezione” e di “promozione”. Da un lato, si può continuare a intervenire con contributi economici per sostenere le famiglie più vulnerabili o attraverso politiche che aiutino a migliorare l’efficienza energetica degli immobili: come il “Superbonus 110%”, che è stato istituito nell’ambito del Decreto Rilancio lo scorso anno e prevede un’agevolazione fiscale per interventi come l’installazione di pannelli fotovoltaici o pompe di calore. Dall’altro, si dovrebbe lavorare ancora di più su campagne informative che valorizzino i comportamenti virtuosi, facendo capire che è importante scegliere elettrodomestici ad alta efficienza, accendere gli impianti di riscaldamento e raffrescamento per poche ore al giorno oppure usare sistemi alternativi per difendersi dal freddo (per esempio usando un maglione o una coperta in più).
Secondo l’OIPE, con interventi di bassa intensità, come la semplice sostituzione degli infissi o l’isolamento termico a cappotto, oppure la sostituzione dell’impianto di climatizzazione o della caldaia, si potrebbe ridurre l’indice di povertà energetica del 15 per cento. Con interventi di media intensità che permettano di migliorare ulteriormente la classe energetica dell’edificio, per esempio sostituendo sia gli infissi sia gli impianti di climatizzazione, l’indice si potrebbe ridurre del 30 per cento. Con interventi ad alta intensità, che riguardino sia il miglioramento dell’efficienza energetica dell’immobile sia l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, si potrebbe ridurre la povertà energetica del 45 per cento.
Un’altra soluzione che potrebbe risultare molto efficace, sempre secondo l’OIPE, riguarda la ristrutturazione degli edifici residenziali pubblici, le cosiddette case popolari, che spesso non sono efficienti dal punto di vista energetico e in Italia sono oltre 900mila. Considerando che per il 58 per cento gli inquilini di tali edifici sono famiglie a basso reddito, il loro rinnovamento permetterebbe sia di aumentare l’efficienza energetica degli immobili, sia di alleviare il tasso di povertà energetica, e allo stesso tempo di ridurre il potenziale tasso di morosità degli inquilini, migliorando anche il loro benessere.