L’hotel dove vissero Grace Kelly e Joan Didion
Storia e storie del Barbizon, il leggendario albergo per sole donne di New York, che ospitò tante aspiranti artiste, modelle e scrittrici
C’era un luogo a New York dove in passato si incrociavano le vite di attrici, modelle, scrittrici e artiste o aspiranti tali, tra cui Rita Hayworth, Grace Kelly, Sylvia Plath e Joan Didion. È il Barbizon Hotel, un albergo residenziale e rinomato per sole donne che, tra gli anni Venti e Settanta del Novecento, fu «il posto dove andavano le ragazze che arrivavano da tutto il paese per dare una possibilità ai loro sogni», come lo ha descritto la storica Paulina Bren in un libro pubblicato di recente.
Il Barbizon non era né il primo né l’unico albergo residenziale per sole donne di New York, ma era sicuramente il più famoso, tanto da diventare una specie di istituzione, in particolare tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta.
Fu costruito nel 1927, in un periodo di prosperità e grandi aspettative per il futuro, come mostrano l’imponente architettura neogotica da 23 piani e l’ambiente moderno delle sale; era anche un momento di grandi cambiamenti per le donne americane, che nel 1920 avevano ottenuto il diritto di voto e cominciavano a essere più indipendenti.
Molte ragazze lasciavano le città più piccole in cui erano cresciute per emanciparsi dalla famiglia e avere nuove opportunità di carriera, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale: alcune frequentavano l’università, altre lavoravano come segretarie negli uffici dei grattacieli, quasi tutte erano attirate dall’atmosfera cosmopolita della città e cercavano divertimento, fama o un marito. Bren racconta che al Barbizon queste ragazze di belle speranze trovavano un posto rispettabile dove sentirsi protette e allo stesso tempo diventare persone diverse.
Il Barbizon si trovava a Manhattan, all’incrocio di Lexington Avenue con la 63ma strada est, a sud del ricco quartiere dell’Upper East Side e a pochi isolati da Central Park. Aveva in totale 686 stanze: affittarne una negli anni Cinquanta costava 12 dollari alla settimana (in proporzione, oggi, circa 130 dollari, più o meno 11o euro), mentre per 3 dollari in più se ne poteva affittare una col bagno privato. All’interno dell’albergo c’erano una piscina, una palestra, una biblioteca, una caffetteria e altri servizi ancora: parrucchiere, lavanderia, farmacia e negozi di calze e cappelli. Le ospiti avevano accesso al terrazzo sul tetto del palazzo e nel pomeriggio potevano bere il tè gratuitamente.
Dal momento che ci abitavano prevalentemente giovani donne bianche, l’hotel era soprannominato “the Dollhouse”, la casa delle bambole. L’ambiente era controllato ma informale, bisognava rispettare un coprifuoco e le ragazze dovevano indossare un abbigliamento decoroso. Per entrare bisognava superare una selezione, come ha raccontato il New Yorker: il Barbizon richiedeva alle ragazze una lettera di referenze e per trent’anni una delle persone che gestivano l’albergo, Mae Sibley, selezionò le candidate ammettendo solo «il giusto tipo di ragazza».
Secondo Bren le restrizioni servivano principalmente a tranquillizzare i genitori, ma finirono per far sentire le giovani donne, spesso al loro primo incontro con New York, parte di una sorority, cioè una delle confraternite universitarie per ragazze.
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Agli uomini non era consentito alloggiare nell’hotel: potevano solo entrare nella lobby, il cui piano mezzanino era stato soprannominato “lovers’ lane” (vicolo degli innamorati) perché era lì che il venerdì e il sabato sera le coppie si davano la buonanotte. Si racconta anche che il celebre scrittore J.D. Salinger – l’autore del Giovane Holden – si appostasse nella lobby per provare a rimorchiare qualche ragazza.
Durante il proibizionismo e il periodo della Grande Depressione, negli anni Venti e Trenta, le donne che lavoravano erano viste come «antipatriottiche» perché secondo la morale comune dovevano farlo solo gli uomini. L’opinione si ribaltò completamente durante la Seconda guerra mondiale, quando gli uomini erano al fronte e le donne nelle fabbriche, poi le donne che lavoravano tornarono a essere guardate con circospezione nel periodo del boom economico, all’inizio della Guerra fredda, quando le ragazze che non aspiravano alla vita familiare erano viste come «sospette».
Questo era il contesto in cui, negli anni Cinquanta e Sessanta, il Barbizon divenne un luogo che garantiva e promuoveva il desiderio di indipendenza delle ragazze. Lo faceva anche attraverso accordi con le accademie e le agenzie di moda che pullulavano grazie all’esplosione del mercato pubblicitario. Nell’albergo c’erano anche stanze riservate ai club delle studentesse che frequentavano le università prevalentemente femminili del nord-est degli Stati Uniti, come il famoso e prestigioso Vassar College, dove Bren attualmente insegna.
Al Barbizon alloggiavano anche le ragazze che svolgevano i tirocini estivi alla rivista femminile Mademoiselle, fondata nel 1935 e letta dalle adolescenti come dalle donne in carriera. Tra le ragazze che scrivevano per Mademoiselle e vivevano al Barbizon, soprannominate “The Millies”, ci furono anche le poi celebri scrittrici Joan Didion e Sylvia Plath.
Nel racconto “Bei tempi addio”, pubblicato in Italia nella raccolta Verso Betlemme, Didion racconta il suo arrivo a New York – e al Barbizon – dicendo di aver subito capito che «non sarebbe stata più la stessa cosa, mai più. In effetti non lo fu, mai più».
Nel romanzo semi-autobiografico La campana di vetro, invece, Plath non descrive il Barbizon con entusiasmo. La protagonista della storia, Esther Greenwood, è una ragazza che come lei lavorava per una rivista femminile e che come lei si sentiva ingabbiata nell’albergo in cui alloggiava e che finì per gettare tutti i suoi vestiti dal tetto: lo aveva fatto anche Plath circa dieci anni prima di scrivere il romanzo, dopo una crisi depressiva.
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Bren ha raccontato che al Barbizon non vivevano soltanto ragazze, ma anche donne adulte che erano state sistematicamente discriminate per qualche ragione, che volevano vivere in modo indipendente o che avevano avuto problemi economici e non potevano permettersi una casa. Una delle ospiti più celebri dell’hotel fu Molly Brown, una donna dell’alta società che era sopravvissuta all’affondamento del Titanic; nel 1909 Brown si era separata dal marito milionario e nel 1922, dopo la sua morte, si era trasferita nell’albergo. Nel 1932 morì proprio nella sua stanza al Barbizon Hotel.
Dalla fine degli anni Sessanta cominciò il lento declino dell’albergo. Sempre meno donne volevano vivere in hotel residenziali femminili o condividere il bagno con altre persone, mentre erano aumentati molto gli appartamenti di lusso. Si stavano affermando anche i movimenti femministi che chiedevano più diritti, maggiore indipendenza e meno oppressione per le donne, che non avevano bisogno di vivere relegate e protette.
Il 14 febbraio del 1981, nel giorno di San Valentino, il Barbizon fu aperto ai primi ospiti uomini: l’evento venne pubblicizzato con una lotteria promozionale per sorteggiare il primo scapolo e la prima coppia eterosessuale che avrebbero trascorso la notte nell’albergo. Negli anni successivi la reputazione dell’hotel peggiorò anche in seguito ad alcuni scandali legati al mondo della prostituzione e il Barbizon fu venduto e comprato varie volte.
Nel 2002, dopo una imponente ristrutturazione, il Barbizon cambiò il nome in Melrose Hotel e nel 2005 l’albergo fu chiuso e sostituito da appartamenti di lusso, che costano anche diversi milioni di dollari. Nel complesso, conosciuto come Barbizon 63, fino al 2006 hanno vissuto 14 donne che pagavano un affitto calmierato in base agli accordi precedenti con l’hotel. Secondo Bren, il Barbizon è stato distrutto dalla stessa forza che lo aveva reso celebre: la ricerca di libertà delle donne.