La crisi dei microchip è sempre più grave
Non ce ne sono abbastanza per produrre tutti gli apparecchi che ci servono, e dopo il settore delle automobili è stato colpito anche quello degli elettrodomestici
Dalla fine del 2020 una gravissima carenza di microchip ha colpito molti settori industriali: la domanda supera di molto la capacità produttiva mondiale e le fabbriche che fanno ampio uso di processori hanno dovuto ridurre i turni o perfino chiudere temporaneamente. Cominciata nell’industria automobilistica, questa carenza si è diffusa negli ultimi mesi ad altri settori produttivi, e secondo alcuni analisti potrebbe danneggiare la ripresa dalla crisi dell’ultimo anno, provocata dalla pandemia.
La crisi ha motivazioni in parte economiche e in parte politiche. È partita dal settore automobilistico e ha provocato gravi danni: soltanto negli Stati Uniti si stima che quest’anno saranno prodotte 450 mila automobili in meno, con una perdita economica di 15 miliardi di dollari. Alcune stime sono anche più alte, e si parla di una perdita di oltre 600 mila vetture.
Il problema è che la carenza di microchip si sta espandendo ad altri settori: è una delle ragioni per cui alcune delle console per videogiochi di ultima generazione sono quasi impossibili da trovare. Inoltre, come ha scritto Reuters, negli ultimi mesi c’è stato un aumento dei costi per i produttori di smartphone ed è diventato difficile soddisfare la domanda anche di elettrodomestici comuni come frigoriferi e forni a microonde.
Questo non significa che non si troveranno più smartphone e frigoriferi nei negozi di elettronica: tuttavia, almeno in alcuni paesi e per alcune marche, potrebbero esserci tempi di consegna un po’ più lunghi, e la presentazione di alcuni nuovi prodotti potrebbe essere rimandata — in alcuni casi è già successo. Non è escluso — anche se per ora non si è verificato e gli analisti lo ritengono improbabile — che le difficoltà e le lentezze di produzione si ripercuotano sui consumatori con un aumento dei prezzi.
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I microchip (o semplicemente chip) sono componenti fondamentali in moltissimi prodotti, non soltanto di elettronica: anche se spesso si pensa soprattutto a quelli presenti nei computer e negli smartphone, i chip sono ormai essenziali per qualsiasi apparecchio che abbia almeno una parte elettronica. In un’automobile, per esempio, ce ne sono decine, e servono a gestire i finestrini elettrici, il computer di bordo, il sistema di intrattenimento, gli airbag, i sensori di parcheggio, e così via: si tratta di microchip meno sofisticati di quelli che si trovano in uno smartphone, ma pur sempre importanti.
I microchip sono diventati sempre più importanti anche per apparecchi apparentemente meno sofisticati, come appunto gli elettrodomestici, che negli ultimi anni hanno aggiunto nuovi sensori, collegamenti a internet e altre funzioni “smart”.
La carenza è cominciata lo scorso dicembre e ha varie ragioni: la pandemia da coronavirus ha provocato un rallentamento della produzione e un affaticamento delle catene di approvvigionamento globali: significa che è diventato più difficile radunare tutti i componenti necessari per la produzione, lavorarli e poi spedire il prodotto finito; sempre a causa della pandemia, è aumentata la domanda di apparecchi elettronici, e dunque di microchip: a gennaio le vendite di microchip sono aumentate del 13,2 per cento rispetto a un anno prima, ed è probabile che parte della domanda sia comunque andata inevasa.
Inoltre, la guerra commerciale tra l’ex amministrazione statunitense di Donald Trump e il governo cinese ha bloccato i commerci di diverse aziende e ne ha spinte altre (soprattutto la cinese Huawei) ad accaparrare l’anno scorso quanti più microchip possibili prima di finire vittima di sanzioni e divieti. Ci sono stati poi alcuni problemi legati alle circostanze, come un incendio che nell’ottobre del 2020 ha distrutto una fabbrica di microchip in Giappone e la tempesta di neve che ha colpito il Texas quest’anno bloccando per diverse settimane due fabbriche nello stato americano.
Il settore automobilistico è stato colpito per primo e rimane tuttora quello più danneggiato: i microchip usati sulle automobili sono meno sofisticati e costosi di quelli usati su apparecchi come smartphone e computer, e inoltre l’industria lavora con margini più ristretti ed è disposta a pagare meno per i componenti; per questo, quando i microchip hanno cominciato a scarseggiare, le case automobilistiche sono state le prime a essere penalizzate. Il tutto è stato peggiorato anche dal fatto che, per ragioni di efficienza, le fabbriche di automobili conservano pochissimo inventario, e ordinano i componenti a seconda di come va la produzione.
La maggior parte delle case automobilistiche è stata costretta negli ultimi mesi a chiudere per periodi più o meno lunghi numerose fabbriche perché mancavano i microchip. Le cose sarebbero dovute migliorare in primavera, ma per ora i problemi rimangono: soltanto questa settimana Ford ha annunciato che, a partire dal 5 aprile, chiuderà per diverse settimane sei fabbriche negli Stati Uniti a causa della carenza di microchip. Tra i modelli colpiti da queste misure c’è anche l’F-150, un grosso pickup che è il modello di automobile più venduto in assoluto nel paese, e la cui produzione potrebbe calare considerevolmente quest’anno.
Il settore dei videogiochi è stato un altro colpito presto: Sony e Microsoft, che producono rispettivamente PlayStation e Xbox, hanno messo sul mercato le loro console di ultima generazione alla fine del 2020, ma a mesi di distanza ancora non riescono a soddisfare l’enorme domanda, in parte per la carenza di microchip. Stesso problema per Nvidia e AMD, che producono schede grafiche per i computer.
Di recente la carenza di microchip ha cominciato a colpire altri settori produttivi, fino ad arrivare agli elettrodomestici. Il presidente di Whirpool in Cina, per esempio, ha detto a Reuters che a marzo l’azienda — che è statunitense e produce diversi tipi di elettrodomestici — è riuscita a soddisfare soltanto il 90 per cento della domanda, perché mancano i microchip necessari. Robam, un marchio cinese poco noto in Occidente ma piuttosto diffuso in Asia, ha dovuto ritardare la messa in commercio di nuovi prodotti. Lo stesso vale per altre aziende.
Anche Foxconn, la più grande fabbrica al mondo di smartphone, tablet e altri apparecchi tecnologici, che produce per conto di Apple, Samsung, Microsoft, ha fatto sapere che quest’anno la produzione potrebbe ridursi anche del 10 per cento, a causa della carenza di microchip. Questo mostra come la crisi si stia estendendo: soltanto a febbraio, l’amministratore delegato dell’azienda aveva detto di non essere preoccupato, perché la crisi avrebbe avuto un impatto «limitato» sul suo settore. Poche settimane dopo ha dovuto ricredersi.
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I governi stanno cercando di trovare soluzioni: il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, per esempio, alla fine di febbraio ha firmato un ordine esecutivo che prevede un investimento di 37 miliardi di dollari nel settore dei microchip e una revisione completa della catena delle forniture, da fare entro 100 giorni, per trovare e risolvere le eventuali inefficienze. L’Unione Europea ha promesso nuovi investimenti, mentre in Cina l’industria dei microchip è sussidiata e sostenuta già da anni, anche per questioni di indipendenza tecnologica.
Anche le aziende produttrici si sono mosse: Intel ha annunciato un investimento di 20 miliardi di dollari, destinato ad aumentare, per la realizzazione di nuove fabbriche produttive negli Stati Uniti e in Europa; TSMC, l’azienda taiwanese che è di gran lunga il più grande produttore di microchip al mondo, ha annunciato un investimento da 100 miliardi di dollari in tre anni per aumentare la sua capacità produttiva.
Nessuna di queste soluzioni è però attuabile a breve: la costruzione di una fabbrica di produzione di microchip richiede non soltanto investimenti ingenti ma anche molto tempo, ed espandere la produzione di fabbriche già esistenti è difficile, perché la produzione dei microchip, soprattutto di quelli più sofisticati, è estremamente complessa e richiede enormi infrastrutture e un know-how notevole.
Il forte accentramento della produzione, anzi, è uno dei problemi principali che hanno portato alla carenza di chip: le fabbriche nel mondo sono molto poche, e quelle in grado di produrre i microchip più sofisticati sono soltanto due: TSMC a Taiwan e Samsung in Corea del Sud.