Il famoso e non rarissimo “Gronchi rosa”
Sessant'anni fa uscì un francobollo noto anche tra i non appassionati, che rischiò di causare un incidente diplomatico tra Italia e Perù
Lunedì 3 aprile 1961 era Pasquetta e probabilmente molti italiani avevano caricato le loro Fiat 500, 600 e 1100 (i modelli all’epoca più diffusi) per andare in gita fuori città, un’abitudine che stava diventando sempre più frequente proprio in quegli anni. Quella mattina perciò non furono in molti a presentarsi negli uffici postali per ritirare i tre nuovi francobolli appena usciti, tutti dedicati alla visita dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi in Sud America.
I francobolli uscirono tre giorni prima della partenza del presidente. Ritraevano tutti un planisfero con l’aeroplano presidenziale sopra l’oceano, ma ciascuno era di un colore diverso e aveva in evidenza i confini dei paesi che Gronchi avrebbe visitato: verde per l’Uruguay, blu per l’Argentina e rosa per il Perù. I valori dei francobolli, rispettivamente, erano di 185, 170 e 205 lire, cioè il costo della spedizione di un aerogramma (le lettere spedite tramite posta aerea) in quei paesi dall’Italia.
Poco dopo l’uscita dei francobolli, però, arrivò una comunicazione dall’ambasciata peruviana a Roma per il ministero degli Esteri italiano: era stato commesso un «gravissimo errore». I confini del Perù nel francobollo dedicato, quello rosa, erano sbagliati. Consapevoli del fatto che c’era il rischio di un pericoloso incidente diplomatico, specie a ridosso di una visita ufficiale, i funzionari ministeriali informarono immediatamente il ministero delle Poste. La notte stessa del 3 aprile il ministro Lorenzo Spallino diramò in tutta fretta un telegramma alle direzioni provinciali per far sospendere la vendita del francobollo rosa.
– Leggi anche: Come è nato lo stemma della Repubblica
Già il 4 aprile il francobollo diventò introvabile. Tuttavia, nel breve lasso di tempo in cui era rimasto valido era già stato applicato su più di 10mila aerogrammi, destinati a volare verso il Sud America insieme a Gronchi. Per rimediare, il Poligrafico dello Stato creò il più velocemente possibile un nuovo francobollo con i confini del Perù corretti, stavolta di colore grigio, con cui si “ricoprirono” le migliaia di lettere che avevano già quello rosa. Fu probabilmente l’unica occasione in cui le Poste usarono e validarono dei francobolli per i quali nessuno aveva pagato nulla.
La versione più raccontata della genesi dell’errore è quella secondo cui Roberto Mura, il disegnatore a cui furono commissionati i disegni dei francobolli, si servì di un atlante De Agostini del 1939 per delineare i confini dei tre paesi. Il vecchio atlante era obsoleto, perché due anni dopo la sua uscita c’era stata una guerra tra Perù ed Ecuador che aveva modificato i confini tra i due paesi.
Nonostante la tempestività dei ministeri, i collezionisti si accorsero presto dell’anomalia. A due giorni dall’uscita, il valore di quello che diventò poi famoso come “Gronchi rosa” era già salito a 10mila lire. L’associazione italiana dei commercianti filatelici chiese di rimettere in circolazione il francobollo solamente per i collezionisti e non per l’uso postale, cosa che ne avrebbe calmierato il prezzo, ma la richiesta non venne accolta. Tutti gli esemplari invenduti – quasi un milione di unità – vennero raccolti dal ministero delle Poste e mandati al macero nel luglio 1961.
Il “Gronchi rosa” è l’unico francobollo invalidato dall’amministrazione pubblica italiana e l’unico ricoperto dalle Poste italiane, motivi per i quali è ancora oggi forse il più famoso anche tra i non appassionati di filatelia, cioè il collezionismo di francobolli. Di fatto, il mito del “Gronchi rosa” nacque per l’intervento dello Stato, che ne impedì a tutti i costi la circolazione. Anche se è particolarmente noto, però, il “Gronchi rosa” non è tra i più preziosi, né tra i più rari: togliendo quelli ricoperti, nel poco tempo che fu valido se ne vendettero circa 69mila esemplari. Il suo valore oscilla tra i 500 e i 2mila euro, a seconda di una serie di aspetti che vanno dallo stato di conservazione alla “centratura”, cioè la posizione della figura del francobollo all’interno del riquadro dentellato.
La fama del “Gronchi rosa”, negli anni, è diventata tale da oscurare persino quella di Gronchi stesso, che non è tra i presidenti della Repubblica che hanno lasciato un grosso segno nella memoria collettiva. Nonostante avesse una personalità volitiva e un carattere talvolta sopra le righe, Gronchi viene ricordato poco principalmente perché fu capo dello Stato in un periodo in cui l’esposizione mediatica dei politici era quasi nulla rispetto a oggi. Quando iniziò il settennato di Gronchi, nel 1955, non era stata neanche inventata Tribuna politica, la prima trasmissione televisiva della storia italiana in cui erano invitati a parlare i politici, a cui comunque i presidenti della Repubblica non partecipavano.
L’elezione di Gronchi fu inaspettata e avvenne a discapito dell’allora presidente del Senato Cesare Merzagora, candidato ufficiale della Democrazia Cristiana. Buona parte del partito, però, non era convinta della scelta e una corrente minoritaria si accordò per votare Gronchi, democristiano anche lui, insieme agli altri partiti. Gronchi fu eletto al quarto scrutinio con una maggioranza larghissima che andava dal Movimento Sociale Italiano (MSI, partito neofascista) al Partito Comunista. Dopo la sua elezione, in un colloquio con Indro Montanelli, Gronchi disse:
Sono contento del modo in cui questa investitura è venuta, voglio dire dalla quasi unanimità che mi rende indipendente da ogni partito e fazione. Tolga dai seicentocinquantotto suffragi che mi sono piovuti addosso quelli della destra: risulto eletto ugualmente con largo margine. Ne tolga quelli delle sinistre e le conseguenze non cambiano. Ciò mi consentirà di essere il capo dello Stato davvero e non il fiduciario di una parte.
In effetti i costituzionalisti, nell’esaminare l’evoluzione del ruolo del presidente della Repubblica, citano spesso Gronchi come uno dei primi a discostarsi dalla figura del “presidente notaio” e a ricercare maggiore autonomia. Sul piano politico non è esagerato definire Gronchi un presidente interventista: si esprimeva sulle questioni più disparate e spesso esercitava pressioni, dirette o indirette, per indirizzare l’azione dei governi secondo il suo volere. Per fare solo un esempio, una volta scrisse una lettera a Fanfani in cui accennava all’opportunità di «limitare il numero dei sottosegretari», che secondo Gronchi erano troppi.
Sui libri di storia, uno degli episodi più citati che riguardano Gronchi è la nomina del governo Tambroni. Fernando Tambroni era un democristiano di cui Gronchi si fidava ciecamente, e che nel marzo del 1960 sembrava l’uomo giusto per poter guidare un governo di transizione che portasse poi a una prima apertura verso i socialisti, che erano rimasti esclusi dalle coalizioni di governo formate fino a quel momento. Ottenuto l’incarico, però, Tambroni cambiò radicalmente indirizzo e alla Camera pronunciò un discorso dai toni chiaramente orientati a destra, con cui sembrava che volesse rivolgersi direttamente al paese scavalcando il Parlamento. Il governo Tambroni ottenne la fiducia anche grazie ai voti dell’MSI.
Gronchi fin dal suo insediamento stava lavorando per l’inclusione dei socialisti nella maggioranza di governo, e faceva parte della corrente di sinistra della DC. Quindi è probabile che Gronchi avesse dato chiari ordini a Tambroni, il quale poi cambiò rotta. Non sono mai stati chiariti i contorni di questa vicenda, ma dopo soli quattro mesi, a causa di gravi scontri e manifestazioni in tutta Italia – che provocarono nove morti e decine di feriti – il governo Tambroni fu costretto a dimettersi.
Gronchi non uscì bene dalla vicenda. Secondo Gianfranco Merli, che fu portavoce del Quirinale in quegli anni, il governo Tambroni segnò «l’ultima declinante parte di un settennato cominciato tra grandi speranze». Gronchi morì il 17 ottobre 1978, ma la notizia della sua morte non ebbe grande spazio sui giornali a causa dell’elezione di Karol Wojtyla, avvenuta il giorno prima. Che si sappia, Gronchi non disse mai nulla sul francobollo che prendeva il suo nome.
– Leggi anche: Il democristiano meno democristiano di tutti