Stati Uniti e Iran negozieranno un ritorno all’accordo sul nucleare iraniano
Non ci saranno colloqui diretti, ma l'impegno a provarci è già qualcosa soprattutto dopo gli anni della presidenza Trump
Stati Uniti e Iran si sono accordati per iniziare dei negoziati indiretti che potrebbero portare i due paesi a rispettare nuovamente l’accordo sul nucleare iraniano, firmato nel 2015 e definito «storico» da molti analisti. L’accordo aveva di fatto smesso di funzionare nel 2018, dopo la decisione di Donald Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’intesa; da allora, progressivamente, anche l’Iran aveva iniziato a violare il trattato, in maniera sempre più significativa.
I negoziati, che inizieranno a Vienna la prossima settimana, saranno il primo importante passo dell’amministrazione di Joe Biden verso un miglioramento dei rapporti con l’Iran, paese con cui Trump aveva mantenuto per quattro anni un rapporto di estrema ostilità.
L’accordo sul nucleare che americani e iraniani tenteranno di ripristinare prevedeva, in sintesi, il rallentamento del programma nucleare militare iraniano in cambio della rimozione di alcune delle sanzioni internazionali imposte contro l’Iran. Finora eventuali nuovi negoziati si erano incagliati su chi avrebbe dovuto fare il primo passo: l’Iran diceva che non avrebbe parlato finché gli Stati Uniti non avessero rimosso le sanzioni reintrodotte da Trump, gli Stati Uniti sostenevano che dovesse essere l’Iran a cominciare, interrompendo le violazioni del trattato. La questione del primo passo non è ancora stata risolta, in un certo senso.
I negoziati che inizieranno a Vienna non saranno diretti: i due paesi si parleranno tramite intermediari, che cercheranno di stabilire una “road map” sui passi successivi da fare. L’uso degli intermediari è un sistema piuttosto frequente in situazioni di questo tipo: serve per lo più ai governi per non mostrarsi deboli nei confronti del proprio interlocutore e di fronte ai propri elettori, e ad evitare di legittimare completamente la controparte soprattutto quando i rapporti bilaterali sono molto tesi. I negoziati, comunque, coinvolgeranno anche gli altri paesi che avevano firmato l’accordo del 2015, tra cui Germania, Francia e Regno Unito.
La squadra di negoziatori statunitensi ha detto che tenterà di trovare un accordo con l’Iran anche oltre il nucleare, includendo discussioni sul programma missilistico iraniano e sull’appoggio del governo di Teheran a gruppi radicali di altri paesi in Medio Oriente, come per esempio il libanese Hezbollah. L’esclusione di questi due punti dall’accordo del 2015 era stata oggetto per molto tempo delle critiche dei Repubblicani e degli analisti più conservatori, che avevano sostenuto che grazie alla rimozione delle sanzioni l’Iran avrebbe potuto arricchirsi e potenziare altre attività altrettanto pericolose per gli alleati degli Stati Uniti: per esempio quella di sviluppo missilistico e il finanziamento a gruppi radicali.
I colloqui di Vienna potrebbero non portare a niente, ma sono il primo passo concreto da anni di Stati Uniti e Iran per provare a ripristinare l’accordo sul nucleare, che da tempo aveva perso efficacia nonostante i tentativi dei paesi europei di tenerlo in piedi. Sono anche la dimostrazione della volontà di Joe Biden di allontanarsi dalle politiche di Trump riguardo all’Iran.
Biden, infatti, aveva già detto più volte che la politica della “massima pressione” di Trump, cioè l’idea che l’imposizione di moltissime sanzioni avrebbe spinto l’Iran ad accettare un nuovo trattato sul nucleare più favorevole agli Stati Uniti, non aveva funzionato. L’avere accettato di parlare con gli iraniani, seppur indirettamente, conferma che la politica statunitense verso l’Iran potrebbe tornare a essere più simile a quella avviata durante la presidenza di Barack Obama, e molto distante da quella intrapresa negli ultimi quattro anni da Trump.
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