Bolsonaro non è mai stato così in difficoltà
Le dimissioni di tre importanti capi militari sono un evento senza precedenti nella storia brasiliana: c'entra soprattutto la pandemia
Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro sta affrontando la più grande crisi politica dall’inizio della sua presidenza. Martedì i tre più importanti capi militari del paese – i comandanti dell’Esercito, dell’Aeronautica militare e della Marina – hanno dato le dimissioni a causa dei molti disaccordi sulla politica sanitaria di Bolsonaro e sul ruolo attuale delle forze armate in Brasile: un evento senza precedenti nella storia brasiliana. Solo un giorno prima si era dimesso il ministro della Difesa, Fernando Azevedo e Silva, insieme ad altri 5 ministri costretti a dimettersi o direttamente sostituiti.
I cambi nel governo di Bolsonaro sono stati visti dai media nazionali come un tentativo di rafforzamento del potere e riduzione delle critiche interne. Secondo alcuni osservatori, mostrerebbero però anche i timori del presidente in vista delle elezioni presidenziali del 2022. Gran parte dell’opinione pubblica ritiene Bolsonaro il principale responsabile della gestione disastrosa della pandemia, che nelle ultime settimane ha portato il sistema sanitario brasiliano praticamente al collasso. Alle elezioni del 2022 una sua rielezione è tutt’altro che scontata, soprattutto se, come sembra ormai quasi certo, potrà ricandidarsi Lula, ex presidente dal 2003 al 2011 e principale leader della sinistra brasiliana.
I contrasti con i capi delle forze armate sono iniziati per gli stessi motivi. Negli ultimi tempi Bolsonaro aveva cercato in diverse occasioni l’appoggio delle forze armate, soprattutto per risolvere i contrasti che erano sorti con i governatori degli stati che avevano imposto lockdown o altre misure restrittive per contenere il coronavirus. Aveva detto più volte ai suoi sostenitori che il «suo esercito» non avrebbe mai costretto le persone a stare in casa, cosa più volte smentita dal comandante delle forze armate, il generale Edson Leal Pujol.
Martedì il ministero della Difesa si è limitato a comunicare che i tre comandanti sarebbero stati sostituiti, ma è stato fin da subito abbastanza chiaro che fossero stati loro a deciderlo. La decisione era arrivata dopo le dimissioni dell’ormai ex ministro della Difesa, che lasciando l’incarico aveva detto di aver «preservato le forze armate come istituzioni statali»: un modo per ribadire il suo tentativo di tenere i generali fuori dalla politica. Già in passato l’ex ministro aveva fatto dichiarazioni simili.
Bolsonaro, che si era presentato alle elezioni del 2018 come indipendente, ha idee politiche di estrema destra e in diverse occasioni ha elogiato la dittatura militare che governò il Brasile dal 1964 al 1985. Anche per questo, e per la sua precedente carriera nell’esercito, fin dall’inizio della sua presidenza Bolsonaro ha nominato molti militari ed ex militari in posizioni di potere.
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Sotto le pressioni di gran parte dell’opinione pubblica del paese, inclusi importanti esponenti del mondo della finanza, nelle ultime settimane Bolsonaro ha progressivamente cambiato alcune sue posizioni sulla pandemia, di cui per mesi aveva minimizzato i rischi adottando un approccio molto criticato. Più che sull’importanza delle restrizioni, comunque, Bolsonaro si è mostrato aperto verso i vaccini, dicendo che il 2021 sarebbe stato «l’anno della vaccinazione dei brasiliani» e che presto il paese sarebbe tornato alla normalità.
È in questo senso che va letta la rimozione il 15 marzo del precedente ministro della Salute, Eduardo Pazuello – anche lui un generale dell’esercito – e la nomina del cardiologo Marcelo Queiroga, il quarto ministro della Salute dall’inizio della pandemia.
Intanto la situazione sanitaria in Brasile continua a peggiorare. Mercoledì 31 marzo è stato registrato il numero più alto di morti in un solo giorno dall’inizio dell’emergenza, 3.869, ma è già da diversi giorni che i morti giornalieri superano i 3mila e che il picco viene ogni volta superato. Quasi tutti gli stati del paese (25 su 26) hanno meno del 20 per cento dei posti liberi in terapia intensiva. Dal marzo dell’anno scorso, i morti registrati per COVID-19 sono stati più di 320mila.
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