La moschea di Strasburgo è un problema
È finanziata dal consiglio comunale ma il governo francese è contrario: c'entra il coinvolgimento di una associazione legata alla Turchia
Da giorni in Francia si discute del progetto di ampliamento della moschea Eyyub Sultan di Strasburgo, che il consiglio comunale ha deciso di finanziare con 2,5 milioni di euro. Nella costruzione della moschea è coinvolta la Confederazione islamica Millî Görüş, considerata molto vicina al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. La federazione si è rifiutata di firmare la Carta dei principi per l’Islam di Francia, testo proposto da Emmanuel Macron per stabilire una formale riaffermazione dei principi della Repubblica e quindi una piena compatibilità dell’Islam con i valori dell’ordinamento francese.
Sulla questione del finanziamento sono intervenuti il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, la sindaca di Strasburgo Jeanne Barseghian e indirettamente anche il presidente francese. La discussione non ha solo a che fare con la moschea, ma anche con il disegno di legge contro il cosiddetto «separatismo religioso», che è in corso di approvazione, e con i complicati rapporti degli ultimi mesi tra Francia e Turchia.
Eyyub Sultan
La moschea Eyyub Sultan di Strasburgo esiste già: è stata fondata nel 1996, nel quartiere Meinau, a sud della città. Il progetto finito al centro della discussione – che Le Monde ha definito «gigantesco» – ne prevede un ampliamento che costerà 32 milioni di euro: 25,6 milioni solo per la moschea e il resto per la creazione di un centro di ricerca, di un museo, di un piccolo centro commerciale e di un ristorante. Il permesso di costruzione era stato concesso già nel 2013, i lavori erano iniziati, erano stati interrotti nel 2017 e sono ripresi alla fine del 2020. A oggi, sono state costruite otto delle trenta cupole previste per la copertura del nuovo edificio.
La moschea Eyyub Sultan è gestita dalla Confederazione islamica Millî Görüş (CIMG), fondata negli anni Sessanta e presente soprattutto in Germania. Conta 150mila aderenti e in Europa gestisce circa 600 moschee, di cui 71 in Francia. Lo scorso gennaio, con l’elezione di un suo esponente a segretario generale, la CIMG era riuscita a ottenere un posto di rilievo nel Consiglio francese per il culto musulmano (CFCM) che rappresenta i musulmani di Francia e le varie associazioni a cui fanno riferimento.
La Confederazione islamica Millî Görüş difende posizioni particolarmente conservatrici ed è accusata di essere controllata dal governo turco, responsabile a sua volta – secondo quanto dichiarano alcuni critici, compreso il presidente Macron – di volersi “infiltrare” nella comunità musulmana europea. Jean Marcou, professore a Sciences-Po Grenoble ed esperto di Turchia contemporanea, ha spiegato a Le Parisien che Millî Görüş difende posizioni tradizionaliste e patriarcali: «Sono molto conservatori. Ad esempio, per loro la donna musulmana può esercitare solo determinate professioni […] Hanno lo stesso progetto dei Fratelli Musulmani: rendere politico l’Islam». Dal 2014, ha spiegato Jean Marcou, i cittadini turchi che vivono all’estero possono votare alle elezioni nel loro paese: «Questo permette a Erdoğan di consolidare la propria base. Vedere una simile associazione, quasi al servizio di una potenza straniera, guadagnare slancio sul suolo francese è preoccupante. Lo stato dovrebbe occuparsene».
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La Confederazione Millî Görüş, così come il Comitato di coordinamento dei musulmani turchi in Francia (CCMTF), non ha firmato la Carta dei principi per l’Islam della Francia.
Macron e l’Islam
La Carta dei principi per l’Islam della Francia era stata annunciata da Macron dopo un celebre discorso tenuto nell’ottobre del 2020, durante il quale il presidente francese aveva affrontato la questione della riorganizzazione delle istituzioni dell’Islam nel paese, per modificarne le strutture in modo da contrastare la diffusione delle sue versioni più radicali e violente e soprattutto combatterne il separatismo, cioè la tendenza a creare comunità indipendenti dall’entità statale alla quale appartengono.
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La Carta, approvata lo scorso novembre, riafferma la compatibilità della fede musulmana con i principi della Repubblica, inclusa la laicità e «l’attaccamento dei musulmani in Francia alla loro piena cittadinanza». Stabilisce «il rifiuto della strumentalizzazione dell’Islam per fini politici» e obbliga tutti i musulmani a «iscrivere la loro esperienza nel quadro delle leggi della Repubblica che garantiscono unità e coesione». Infine, afferma la «pari dignità umana da cui derivano l’uguaglianza uomo-donna, la libertà di coscienza e di religione, l’attaccamento alla ragione e al libero arbitrio» e il conseguente «rifiuto di ogni forma di discriminazione o odio verso l’altro».
Alcuni componenti del Consiglio francese per il culto musulmano si sono però opposti al documento che, secondo loro, non è stato il risultato di una consultazione preliminare e condivisa. Negli ultimi giorni, un funzionario della CMIG, Eyup Sahin, ha ribadito che la sua Confederazione si è rifiutata di firmare la Carta perché non le era stato permesso di partecipare pienamente alla sua elaborazione.
Nei mesi scorsi, dopo aver promosso la Carta, Macron aveva anche annunciato l’imposizione di controlli e misure restrittive per contenere l’Islam radicale, aveva ordinato una serie di perquisizioni nelle sedi di associazioni islamiche e scuole religiose, la chiusura di una moschea e lo scioglimento di Cheikh Yassine – un’associazione vicina al gruppo radicale palestinese Hamas.
Aveva annunciato anche un nuovo progetto di legge contro il “separatismo religioso”, poi rinominato “a sostegno dei principî della Repubblica”, che è stato approvato all’Assemblea Nazionale lo scorso febbraio, ma non ancora al Senato. Il progetto di legge prevede un maggiore controllo da parte dello stato sulle organizzazioni religiose e i luoghi di culto, anche sui finanziamenti esteri e sulle donazioni superiori a una certa cifra.
Per tutte queste iniziative, Macron è stato accusato in diversi paesi di fare propaganda anti-islamica e di diffondere odio verso i musulmani. Lo scorso anno ci sono state manifestazioni di protesta e critiche particolarmente dure da parte del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. La questione religiosa non è comunque la sola ragione per cui ultimamente i rapporti tra Francia e Turchia sono molto tesi: oltre all’intervento militare della Turchia in Siria, che è stato condannato dalla Francia, un altro grande motivo di scontro è la guerra in Libia.
La scorsa settimana, in un’intervista su France 5, Macron è tornato a esprimere posizioni molto critiche contro la Turchia, parlando del rischio di «ingerenze» in vista delle elezioni presidenziali francesi del 2022.
I finanziamenti
Lunedì 22 marzo, il consiglio comunale di Strasburgo – guidato dal luglio 2020 dalla sindaca Jeanne Barseghian del partito verde e di sinistra Europe Ecologie-Les Verts – ha approvato una sovvenzione pubblica da 2,5 milioni di euro per la costruzione della moschea Eyyub Sultan.
Subito dopo, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha denunciato la decisione scrivendo su Twitter: «La sindaca verde di Strasburgo finanzia una moschea sostenuta da una federazione che si è rifiutata di firmare la carta dei principi dell’Islam di Francia e che difende un islam politico». Il giorno dopo, «di fronte alla gravità delle decisioni» del comune, Darmanin ha chiesto alla prefetta Josiane Chevalier del Basso Reno, il dipartimento dove si trova Strasburgo, di sottoporre la delibera comunale al giudice amministrativo.
La maggior parte dei culti praticati in Francia è regolata da una legge del 1905 che determina la separazione tra Chiesa e Stato e che, tra le altre cose, vieta allo stato di finanziare i luoghi di culto. Le regioni storiche di Alsazia (dove si trova Strasburgo) e Mosella fanno però eccezione perché erano sotto il dominio tedesco quando venne approvata la legge del 1905. In queste regioni vale il Concordato dell’Alsazia-Mosella del 1802, che riconosce e organizza i culti cattolico, luterano, riformato ed ebreo e che consente allo Stato di pagare i ministri di questi culti. Il Concordato non è stato abrogato dalla legge del 1905. L’Islam non è una delle quattro religioni riconosciute da questo speciale regime ma, per ragioni di equità, una delibera del consiglio comunale di Strasburgo ha deciso nel 1999 di adottare la stessa regola per tutti i culti. Da allora, il 10 per cento del costo totale per la costruzione degli edifici religiosi può essere finanziato pubblicamente.
Martedì scorso, durante una conferenza stampa, la sindaca di Strasburgo Jeanne Barseghian ha difeso la decisione della sua amministrazione chiedendo se il governo abbia intenzione di mettere in discussione il Concordato: «Se è così, deve dirlo chiaramente». La sindaca ha ribadito la sua fiducia nella CMIG e, riguardo ai sospetti di separatismo o alla messa in discussione dei valori della Repubblica, ha chiesto: «Se il ministero dell’Interno ha qualcosa da condividere con noi, lo faccia». E ancora: «Se questa associazione presenta simili rischi, perché il governo non l’ha mai sciolta?».
Eyyub Sahin, presidente della moschea Eyyub Sultan, ha a sua volta dichiarato: «Trovo difficile capire questo accanimento in Francia. Quando si parla di finanziamenti esteri, le cose sono sbagliate. Qui si tratta di finanziamenti locali e anche questo è controverso». Ha anche aggiunto che non ci sono problemi di trasparenza dal punto di vista finanziario e che la CIMG «aderisce perfettamente al rispetto della nostra Costituzione e delle leggi della nostra Repubblica».
Il ministro dell’Interno Darmanin incontrerà nei prossimi giorni il presidente del Consiglio francese della fede musulmana (CFCM) per cercare di trovare un accordo.