Stiamo finendo la gomma naturale

A causa del cambiamento climatico, del crollo dei prezzi e di una malattia dell’albero da cui la ricaviamo, e servono quindi delle alternative

Namtit, Myanmar (China Photos/Getty Images)
Namtit, Myanmar (China Photos/Getty Images)

Poche altre materie prime compongono così tanti oggetti di uso comune quanto la gomma naturale. La distribuzione capillare di questo materiale in tutto il mondo – se ne producono circa 20 milioni di tonnellate all’anno – è tale da rendere pressoché impossibile per chiunque trovarsi in un luogo in cui non vi sia, anche soltanto in minima parte, almeno un oggetto in gomma. È presente – in percentuali variabili – in pneumatici, suole di scarpe, cancelleria, elastici, guaine isolanti per i cavi, guarnizioni di motori e di elettrodomestici, protesi, guanti usa e getta, profilattici, palloni e palline da sport e molto altro.

La gomma naturale (o caucciù) si ricava da un liquido vischioso – il lattice – estratto da alcune piante tropicali, la più nota e importante delle quali è la Hevea brasiliensis, ossia l’albero della gomma propriamente detto. Da qualche anno, a causa di una combinazione di tre fattori – una grave infestazione degli alberi, il cambiamento climatico e il crollo dei prezzi del mercato – la produzione non riesce più a far fronte alla domanda globale.

Questa crisi ha spinto la ricerca verso lo sviluppo di materiali simili alla gomma naturale e, nel frattempo, incrementato la produzione di gomma sintetica, che ha però a sua volta un impatto ambientale. Le particolari proprietà chimiche e fisiche del caucciù rendono inoltre difficile individuare fonti e processi alternativi da cui ottenere un materiale che sia equivalente per elasticità, impermeabilità e resistenza.

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L’albero della gomma
La produzione di gomma naturale deriva dall’estrazione, lavorazione ed essiccazione delle secrezioni delle piante di varie famiglie, principalmente le Euforbiacee, a cui appartiene la Hevea brasiliensis. È a questo albero di origini tropicali che si fa generalmente riferimento quando si parla di albero della gomma. Cresce fino a trenta metri circa e può vivere fino a quarant’anni, continuando a fornire gomma greggia per quasi tutto il tempo. Per ricavarla occorre praticare delle incisioni longitudinali sul tronco, formando degli “scivoli” che permettono al lattice di colare verso un contenitore legato intorno al fusto, all’altezza dell’interruzione dell’intaglio.

albero della gomma

Rayong, Thailandia (Paula Bronstein /Getty Images)

È necessario seguire una serie di accorgimenti per impedire che un’incisione maldestra possa ostacolare la corretta crescita dell’albero. Una volta raccolto, il lattice viene fatto reagire con una sostanza che ne accelera la coagulazione, e poi trasformato in fogli che vengono messi ad essiccare prima di essere compattati e destinati all’industria per successive lavorazioni.

albero della gomma

Una lavoratrice nel villaggio di Hatikhuli, vicino Guwahati, in India, il 7 marzo 2014 (AP Photo/Anupam Nath)

Conosciuta e importata in Europa dal Sud America fin dal Settecento, per lungo tempo la gomma naturale fu ritenuta un materiale estremamente versatile ma ancora non adatto a tutti gli usi per cui è noto oggi. A cambiare completamente la sua storia industriale fu un processo, la vulcanizzazione, inventato nella prima metà dell’Ottocento dallo statunitense Charles Goodyear. Una serie di reazioni chimiche ottenute trattando la gomma ad alte temperature con lo zolfo permetteva di conferire al materiale finale una resistenza maggiore.


La successiva invenzione della gomma sintetica nei primi anni del Novecento, ricavata dalla polimerizzazione di derivati del petrolio, permise di combinare varie mescole di gomma, sia naturale che sintetica. Fu così possibile ottenere materiali ancora più resistenti agli agenti atmosferici e alle alte temperature di quanto lo fossero quelli ottenuti tramite semplice vulcanizzazione della gomma naturale. E da quel momento, in seguito all’invenzione del battistrada e alla massiva produzione di pneumatici, la produzione di gomma si legò stabilmente all’industria automobilistica. Ma anche a quella aerospaziale, considerando che l’elasticità e l’aderenza della gomma naturale – la principale materia di cui sono fatti gli pneumatici degli aeroplani – la rendono ideale per resistere alle forze di attrito in fase di atterraggio.

Si calcola che l’industria degli pneumatici assorba oggi, da sola, il 76 per cento di tutta la produzione mondiale di gomma naturale.

Le malattie delle piante
Originario del bacino del Rio delle Amazzoni, l’albero della gomma è oggi quasi esclusivamente coltivato in piantagioni estese nel sud-est asiatico (Thailandia, Indonesia, Malesia, Cina e Myanmar) e in alcuni paesi dell’Africa occidentale. Fin dagli anni Trenta, dopo oltre un secolo di memorabili sfruttamenti intensivi di questa risorsa, la coltivazione della Hevea brasiliensis in Sud America e in America Latina è impedita da una catastrofica malattia vegetale causata da un parassita (Pseudocercospora ulei) che ostacola la crescita delle piante.

Sebbene la malattia sia al momento assente nelle piantagioni in Asia e in Africa, si ritiene che l’infestazione sia destinata a espandersi anche in quelle aree: è soltanto questione di tempo. A rendere ulteriormente impellente il problema dell’approvvigionamento della materia prima, anche in chiave futura, contribuisce il fatto che l’85 per cento della fornitura mondiale di gomma naturale derivi da quelle poche piantagioni coltivate in limitate aree del mondo.

albero della gomma

Guwahati, India (AP Photo/Anupam Nath)

Il cambiamento climatico e una serie di altre malattie delle piante, a parte quella sudamericana, mettono peraltro già a rischio le coltivazioni esistenti. Prolungati e anomali periodi di siccità e gravi alluvioni in Thailandia, per esempio, hanno favorito in anni recenti la diffusione di agenti patogeni in alcune regioni in cui la coltivazione dell’albero della gomma era in crescita.

L’abbassamento del prezzo
L’attuale stato di incertezza economica per milioni di agricoltori è attestato indirettamente dalla diffusa tendenza a convertire le piantagioni di Hevea in più redditizie piantagioni di palma da olio da destinare all’industria alimentare, dei cosmetici e dei biocarburanti (sono piantagioni a loro volta responsabili, in generale, di preoccupanti deforestazioni e riduzioni della biodiversità). In teoria, a fronte di una domanda crescente e di una scarsità dell’offerta, dovrebbe essere più redditizia la coltivazione dell’albero della gomma, per gli agricoltori. Ma non è questo il caso.

Il prezzo della gomma non ha niente a che vedere con i costi di produzione, spiega un articolo su BBC Future, perché quel prezzo è fissato dallo Shanghai Futures Exchange (SHFE), un ente cinese fondato negli anni Novanta e gestito dalla commissione che si occupa di regolare il mercato azionario (China Securities Regulatory Commission). È una borsa in cui il valore della gomma – insieme a quello dell’oro, dell’alluminio e del carburante – è oggetto di continue speculazioni, spesso totalmente slegate dalla realtà nelle piantagioni.

gomma naturale

Songkla, Thailandia (Chumsak Kanoknan/Getty Images)

Negli ultimi anni il prezzo della gomma per tonnellata, che può anche triplicare da un mese all’altro, si è mantenuto su valori piuttosto bassi. Per cercare di incrementare i profitti gli agricoltori sono quindi indotti a sfruttare eccessivamente gli alberi, incidendo il tronco più a fondo e con maggiore frequenza. E questo espone gli alberi a un progressivo indebolimento e una maggiore vulnerabilità rispetto alle malattie. «La palma da olio e la gomma naturale hanno la stessa rendita economica a parità di terra coltivata, ma l’input di lavoro è più alto per la gomma», ha spiegato Eleanor Warren-Thomas, ricercatrice dell’Università di Bangor, in Galles, che si è occupata delle biodinamiche della piantagione dell’albero della gomma.

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L’insieme di questi fattori ha portato a un punto in cui l’offerta globale non riesce più a stare dietro alla domanda. Secondo una previsione fatta alla fine del 2019 dall’International Tripartite Rubber Council (ITRC), un comitato che include i maggiori produttori mondiali di gomma, nel 2020 la produzione sarebbe diminuita del 7 per cento. La domanda globale si è poi inizialmente ridotta di colpo, a causa della pandemia, prima di una netta ripresa determinata principalmente dal gran numero di auto nuove acquistate dai cittadini cinesi, più riluttanti a utilizzare i trasporti pubblici dopo il primo lockdown.

albero della gomma

Rayong, Thailandia (Paula Bronstein /Getty Images)

Dinamiche simili sono attese anche in altri paesi del mondo, ma il previsto calo nell’offerta globale di gomma naturale potrebbe presto creare gravi carenze nell’inventario dei produttori di pneumatici. Ed è un problema, al netto di quelli strutturali e difficili da risolvere, al momento aggravato in molti casi da restrizioni contro la pandemia ancora vigenti.

Le possibili soluzioni
Una delle soluzioni intuitivamente più scontate alla crisi della gomma, per quanto parziale e provvisoria, potrebbe essere quella di piantare più alberi. Ma occorre tenere conto che servirebbero almeno sei, sette anni prima che siano maturi abbastanza da permettere di raccogliere e sfruttare il lattice. E comunque, non diversamente da quanto avviene per la palma da olio, sarebbe una scelta problematica per la biodiversità perché implicherebbe in molti casi una massiccia deforestazione.

Un’altra strada percorribile è quella di migliorare il raccolto dalle piantagioni esistenti. È possibile incrementare la produzione di gomma greggia, per esempio, stimolando gli alberi a produrre più linfa. Esistono delle sostanze adatte, come l’etephon, utilizzate già da tempo in altre coltivazioni come regolatori della crescita vegetale (fitormoni). Una quantità eccessiva rischia però di uccidere le piante, e per questa ragione gli agricoltori non sono molto inclini a farne uso.

albero della gomma

Rayong, Thailandia (Paula Bronstein /Getty Images)

Le strategie più promettenti sono quelle che implicano la coltivazione di specie diverse dalla Hevea, ha raccontato a BBC Katrina Cornish, docente di biomateriali emergenti alla Ohio State University, un’università impegnata in un programma di ricerca di alternative alla gomma naturale.

Una delle piante oggetto di studi recenti è il tarassaco russo (Taraxacum kok-saghyz), un fiore originario in verità del Kazakhstan e infatti noto anche come dente di leone kazako. Coltivazioni sperimentali in Russia e negli Stati Uniti furono condotte già durante la Seconda guerra mondiale, quando il rischio di prolungate interruzioni degli approvvigionamenti dall’Asia indusse molti paesi a cercare fonti alternative per la fornitura di gomma.

La differenza di produzione a parità di terra coltivata, rispetto ai sistemi convenzionali, è significativa: con il tarassaco si ottiene circa un decimo della produzione di gomma da coltivazioni di Hevea. Ma sono in fase di studio procedure e tecniche per avviare coltivazioni verticali che permetterebbero di incrementare le rendite. Il vantaggio è che il processo è completamente diverso – prevede l’estrazione e la spremitura delle radici essiccate – e il raccolto è pronto in tre mesi. Produce inoltre grandi quantità di semi, che possono rapidamente e facilmente essere ripiantati.

tarassaco

Le radici del dente di leone kazako (Stefan Sauer/dpa)

Un’altra pianta oggetto di studi e attenzioni recenti è il guayule (Parthenium argentatum), di cui Eni ha avviato una coltivazione sperimentale in Sicilia e di cui già esistono in Arizona piantagioni destinate alla produzione di gomma, con un minore impatto ambientale. È un arbusto legnoso originario dei deserti al confine tra Stati Uniti e Messico, ed è da tempo utilizzato per la produzione di un lattice alternativo che non provoca le allergie note al lattice della gomma. Occorrono in genere due anni prima di poter ottenere il primo raccolto, ma da quel momento in poi la pianta può essere tagliata potando i rami superiori e spostata in altre coltivazioni per ottenere raccolti annuali.

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Con la crescita dei mercati delle automobili nei paesi in via di sviluppo, sostiene Cornish, la domanda mondiale di gomma naturale continuerà a crescere. Molti dei principali acquirenti di gomma, ossia i produttori di pneumatici Bridgestone, Continental e Goodyear, hanno sottoscritto un accordo (Global Platform for Sustainable Natural Rubber) che vieta di comprare gomma coltivata in aree oggetto di deforestazioni recenti.

Altre multinazionali attive nella catena di approvvigionamento e fornitura si stanno inoltre impegnando per promuovere l’introduzione di un prezzo minimo per la gomma, condizione che – come nel caso dei programmi di commercio equo e solidale per caffè e cacao – dovrebbe garantire il sostentamento dei piccoli proprietari nei paesi in via di sviluppo.