Il coronavirus ha stravolto il mondo della cultura
Le chiusure hanno causato enormi perdite di fatturato e di posti di lavoro, in un settore più difficile di altri da aiutare
di Vincenzo Lao
Il 2020 è stato un anno difficile per il mondo della cultura. Le misure di contenimento del virus e di distanziamento fisico hanno avuto un forte impatto sull’intero settore. Concerti rimandati, cinema e teatri chiusi sono soltanto gli aspetti più noti di una crisi che ha portato a una contrazione nel 2020 di circa il 31% nel volume di affari dell’economia culturale e creativa nei paesi europei. Questo dato colloca il settore tra i più colpiti in Europa. Al netto dei devastanti effetti economici nel breve periodo, l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha sottolineato quanto questa crisi si rifletterà anche sul medio-lungo periodo. Il settore sarà in maniera inevitabile influenzato negativamente dal calo del turismo internazionale e nazionale, dal calo del potere d’acquisto e dalla probabile riduzione dei finanziamenti pubblici e privati per l’arte e la cultura, soprattutto a livello locale.
La società di consulenza Ernst & Young, su commissione del Gruppo Europeo delle Società di Autori e Compositori (GESAC), ha realizzato uno studio sullo stato delle industrie culturali e creative (ICC) in Europa. Da questo lavoro si evince il pesante crollo dell’intero settore nel corso del 2020. Si tratta infatti di un settore che dal 2013 al 2019 aveva vissuto una continua crescita, che aveva portato nei paesi UE e nel Regno Unito ad un volume di affari totale pari a 643 miliardi di euro nel 2019, in termini di fatturato circa il 4,4% del PIL UE. Il tutto con un impiego di circa 7,6 milioni di persone. A causa dell’impatto del coronavirus, nel 2020 lo stesso volume di affari si è ridotto di circa 200 miliardi di euro, passando a 444 miliardi. Tutti i settori creativi e culturali sono stati colpiti da questa crisi, ma i maggiori cali sono stati registrati per gli spettacoli teatrali dal vivo (-90%) e per quelli musicali (-76%). L’OCSE stima una percentuale di posti di lavoro a rischio tra lo 0,8% e il 5,5% nell’intera area con effetti che potrebbero essere più forti in Italia, dove il settore della cultura è particolarmente sviluppato.
Secondo dati del 2019 del rapporto “Io Sono Cultura”, in Italia le imprese del sistema culturale erano oltre 291mila, circa il 5% di tutte le imprese registrate nel paese, e impiegavano 1,55 milioni di persone, con un giro di affari pari a 96 miliardi di euro. L’Italia è il primo Paese europeo per quota di imprese culturali sul totale: il 14,5% delle imprese culturali europee è italiano, davanti a Francia (13,4%), Germania (10,5%), Spagna (10,2%) e Regno Unito (8,2%).
Federculture, associazione che rappresenta le più importanti realtà culturali del Paese, ha pubblicato nel novembre 2020 il suo sedicesimo rapporto annuale. Nel rapporto è stato evidenziato che, a causa del coronavirus, il 90% delle imprese culturali associate ha dovuto bloccare totalmente o parzialmente le proprie attività. Inoltre, nel questionario proposto tra maggio e giugno 2020 da Federculture alla propria base associativa il 70% degli intervistati, rappresentanti un campione significativo del mondo della cultura in Italia, ha stimato una perdita superiore al 40% del bilancio, il 13% addirittura superiore al 60%.
Per limitare i danni di una situazione complessa, diverse realtà si sono comunque attrezzate, offrendo contenuti on-line in sostituzione degli eventi dal vivo. L’intero settore ha potuto sfruttare a suo favore le tecnologie di realtà virtuale e aumentata e la digitalizzazione, soprattutto nel periodo del lockdown, dove la domanda di contenuti culturali era particolarmente alta.
Una ricerca condotta da Ipsos e sostenuta da Intesa Sanpaolo ha tentato di tratteggiare come siano cambiate le abitudini degli italiani in tema di consumi culturali durante la pandemia. Forzati a non poter usufruire degli eventi dal vivo, le persone intervistate si sono dimostrate sin da subito disorientate (86% del campione), per poi via via aprirsi ai servizi on-line, fino alla “normalizzazione” degli stessi. Questa nuova modalità di fruire degli eventi ha comunque permesso di allargare la platea, avvicinando nuove persone al mondo della cultura. Il digitale è stato vissuto come un’opportunità, per aver reso più semplice l’accesso ai contenuti culturali, non essendo più necessario spostarsi per assistere ad un evento e potendolo seguire mentre si fanno altre cose.
La crisi ha colpito fortemente i lavoratori del settore culturale. Da un lato molte strutture, come i musei, hanno risposto alla crisi riducendo il personale. Questo taglio si è tradotto sia in una riduzione del numero di lavoratori a tempo indeterminato che in una riduzione delle collaborazioni con personale con contratti freelance. Nel quarto trimestre del 2020, l’Istat ha stimato un calo del 12,8% nel numero di posizioni lavorative nel settore culturale, rispetto allo stesso trimestre del 2019. Si tratta unicamente di dati riferiti al lavoro dipendente. Non si dispone di dati ufficiali sui lavoratori freelance, ma il contesto strutturale del settore lascia immaginare che il dato si ampli in maniera importante su questa fascia di lavoratori, quelli di solito che vivono in condizioni di maggior precarietà: secondo i dati Eurostat, in Italia la quota di lavoratori autonomi nel settore della cultura è pari al 46% del totale, contro una media degli altri paesi dell’UE del 32%.
Queste peculiarità del settore della cultura sono da tenere fortemente in considerazione quando si parla di aiuti da parte dei governi. In Italia il governo, con il DPCM di marzo 2020, aveva previsto la sospensione di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale. L’attività dei musei è poi ripresa il 18 maggio, mentre dal 15 giugno sono stati consentiti gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi all’aperto. L’arrivo della seconda ondata ha tuttavia portato a nuove chiusure, e da allora l’unica attività ad aver riaperto nelle zone “gialle” è quella di mostre e musei, mentre teatri e cinema restano tuttora chiusi.
Il ministro della Cultura Franceschini ha dichiarato che nel corso del 2020 sono stati stanziati dal governo circa 9 miliardi di euro per il sostegno ai settori di cultura e turismo. Tra i provvedimenti c’è stata anche una serie di ammortizzatori sociali nuovi per questi settori, come la cassa integrazione e le indennità speciali per i lavoratori intermittenti e stagionali, passate da 600 a 1.000 euro. Altri provvedimenti saranno oggetto dei prossimi decreti per limitare l’effetto del coronavirus sull’intero comparto. Al fianco delle misure del governo, diverse sono state le iniziative di sostegno da parte dei privati. Tra queste, per esempio, il progetto Scena Unita, nato da un’idea di Fedez e gestito da CESVI, organizzazione umanitaria italiana laica e indipendente, ha raccolto in breve 2 milioni di euro da destinare ai lavoratori del mondo dello spettacolo.
Pur non essendo mancati gli aiuti, diverse sono state le proteste in tutta Italia da parte dei lavoratori del settore, che chiedevano maggiori aiuti e chiarezza di prospettive. Le specificità del settore, infatti, avevano reso in parte inefficaci le iniziative del governo, specialmente considerando che le misure di sostegno all’occupazione e al reddito sono difficilmente accessibili per i lavoratori autonomi.
Il 9 luglio, dopo la fine della prima ondata e la sospensione delle restrizioni più rigide, durante l’Audizione della Commissione Cultura al Senato, il segretario della CGIL Maurizio Landini aveva posto l’attenzione proprio sul tema della condizione precaria in cui operano un gran numero di lavoratori e lavoratrici del settore e reputando ancora non sufficienti gli interventi del governo in merito. Nel discorso aveva sottolineato che tutti i lavoratori devono poter contare sulla copertura di un ammortizzatore per la crisi in costanza di rapporti di lavoro e su uno strumento di tutela in caso di cessazione dell’attività.
Per quanto riguarda le prospettive future, Carlo Fontana, Presidente dell’AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – ha lanciato nel mese di gennaio 2021 una campagna di sottoscrizione per ricevere dal Governo risposte certe in merito alla riapertura dei luoghi di spettacolo. Poco dopo la metà di febbraio sono stati invece gli assessori alla Cultura di diversi capoluoghi d’Italia a fare un appello per la riapertura di tutti i luoghi della cultura. Come ha sottolineato l’assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Del Corno, l’idea è quella di avere un protocollo unico per il Paese che consenta la graduale ma definitiva ripresa delle attività, a prescindere dalle zone di rischio.
Questo appello però non sembra al momento essere stato ascoltato. L’incertezza è ancora tanta e la riapertura dei teatri in zona gialla dal 27 marzo, Giornata Mondiale del Teatro, annunciata dal ministro Franceschini, è stata di fatto resa impossibile dall’evoluzione della pandemia, che ha costretto il governo a nuove restrizioni. Franceschini ha sottolineato come questa crisi abbia fatto comprendere l’importanza della cultura in Italia. La sfida per il prossimo futuro sarà attuare delle misure idonee ad evitare il ridimensionamento dei settori culturali e creativi: un fenomeno che avrebbe un serio impatto negativo sulle città e sulle regioni in termini di posti di lavoro e di reddito, di livelli di innovazione, di benessere dei cittadini e di vivacità e diversità delle comunità.
Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus e il mondo della cultura sono un progetto del corso di giornalismo 2020/2021 del Post alla scuola Belleville, pensato e completato dagli studenti del corso.