Le nuove regole dell’Unione Europea per bloccare le esportazioni di vaccini
Saranno molto più stringenti di quelle approvate finora, e fanno preoccupare parecchio il Regno Unito
La Commissione Europea ha presentato nuove regole per limitare l’esportazione di vaccini per il coronavirus all’estero, per fare fronte alle lentezze della campagna vaccinale europea e ribilanciare l’attuale squilibrio nelle esportazioni tra l’Unione e vari paesi, in particolar modo il Regno Unito. Le nuove limitazioni, che entrano in vigore fin da subito e dovrebbero durare per sei settimane, sono molto più stringenti del «meccanismo di trasparenza» approvato a fine gennaio, che finora è stato usato una volta soltanto, dall’Italia.
Il nuovo meccanismo introduce i criteri di «reciprocità» e «proporzionalità», che ampliano molto la possibilità dei paesi membri di bloccare le esportazioni. In pratica, sarà possibile bloccare l’invio di vaccini o di componenti per la produzione di vaccini verso paesi che non esportano i loro nell’Unione Europea («reciprocità») e verso i paesi le cui campagne vaccinali sono molto più avanti di quella nell’Unione («proporzionalità»).
Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione che ha presentato le nuove regole, ha ricordato che l’Unione Europea è l’unico membro dell’OCSE che continua a esportare vaccini verso paesi che hanno una propria capacità di produzione, alcuni dei quali hanno una situazione epidemiologica meno grave.
Secondo i due nuovi criteri di reciprocità e proporzionalità, i paesi membri, a cui spetta comunque la decisione dei blocchi, potrebbero fermare singole esportazioni verso il Regno Unito, Israele e gli Stati Uniti: tutti e tre hanno campagne vaccinali di successo e hanno di fatto bloccato l’esportazione dei vaccini prodotti internamente.
Se Israele e Stati Uniti non sarebbero particolarmente coinvolti (il primo perché la sua campagna vaccinale è molto avanti, il secondo perché finora ha importato una quantità minima di dosi dall’Unione, e inoltre esporta componenti essenziali per la produzione dei vaccini), il Regno Unito risulterebbe colpito duramente: dei 43 milioni di vaccini prodotti nell’Unione Europea e finora esportati, circa 10,9 milioni sono finiti nel Regno Unito. Se le esportazioni fossero bloccate, la campagna vaccinale britannica potrebbe essere seriamente danneggiata.
Inoltre, il vecchio meccanismo di controllo delle esportazioni aveva alcune eccezioni che sono state eliminate: i paesi cosiddetti «di vicinato» (che comprendono i Balcani, il Nord Africa, parte dell’Europa dell’Est, Israele e la Palestina, tra gli altri), che prima erano esclusi dai controlli, adesso ne saranno sottoposti. Rimangono esenti i paesi a basso e medio reddito che partecipano a COVAX, l’iniziativa dell’Organizzazione mondiale della sanità per rifornire di vaccini i paesi più poveri.
La necessità di aggiornare i criteri per il controllo delle esportazioni nasce anche dall’inefficacia del meccanismo precedente che, come ha notato Dombrovskis, ha consentito l’approvazione di 380 richieste d’esportazione su 381 presentate. L’unico paese a negare una richiesta di esportazione è stata l’Italia, che a inizio marzo ha bloccato una consegna di 250 mila dosi del vaccino di AstraZeneca all’Australia. Dombrovskis ha comunque insistito sul fatto che i nuovi criteri non costituiscono un blocco delle esportazioni, e proprio il fatto che praticamente tutte le richieste fatte finora siano state approvate dovrebbe essere inteso come un segnale di buona volontà da parte dell’Unione.
Il nuovo meccanismo di controllo delle esportazioni preoccupa soprattutto il Regno Unito. Negli ultimi giorni Boris Johnson, il primo ministro britannico, ha usato toni concilianti nei confronti dell’Unione Europea, e secondo i media locali potrebbe consentire la condivisione di alcuni milioni di dosi di vaccino di Astrazeneca prodotte nella fabbrica dell’azienda Halix a Leida, nei Paesi Bassi, per garantire il principio di reciprocità ed evitare blocchi. La fabbrica di Halix dovrebbe cominciare la produzione di vaccini nei prossimi giorni, e dovrebbe produrre dosi sia per il Regno Unito sia per l’Unione Europea.
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Johnson ha fatto notare inoltre che nel Regno Unito si producono alcuni componenti essenziali per la realizzazione dei vaccini, che potrebbero finire coinvolti in una disputa commerciale, e martedì ha detto di aver avuto segnali incoraggianti dai leader europei sulla possibilità di negoziare un accordo ed evitare un blocco totale.
All’interno dell’Unione Europea, i controlli più stringenti sulle esportazioni dei vaccini sono sostenuti soprattutto da Italia e Francia. La Germania è invece più cauta: martedì la cancelliera Angela Merkel ha detto che bisogna essere «molto cauti» quando si parla di blocco delle esportazioni, perché il rischio di mettere in crisi tutta la catena di forniture è ampio. La soluzione migliore, secondo Merkel, è quella di trovare un accordo con il Regno Unito.
Diversi altri paesi temono un’espansione troppo generalizzata dei controlli sulle esportazioni: alcuni temono di inimicarsi Pfizer, che dopo un periodo di difficoltà iniziale adesso è al passo con le consegne. Rimangono inoltre presenti i problemi legati all’instaurazione di eventuali controlli doganali tra Irlanda e Irlanda del Nord.