Le elezioni israeliane non hanno risolto lo stallo politico
Nessuna coalizione ha i numeri per governare, e qualcuno parla già della possibilità delle quinte elezioni in due anni
Martedì si sono tenute le elezioni parlamentari in Israele, le quarte in circa due anni, e a spoglio quasi ultimato appare evidente che il voto non abbia risolto lo stallo politico in cui il paese si trova da tempo. Nonostante il partito di destra del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu sia risultato di gran lunga il più votato, nessuna coalizione politica dispone di una maggioranza per governare, e a meno di sorprese nell’ultima fase dello spoglio – mancano ancora i voti inviati per posta – per formare un nuovo governo saranno necessarie nuove e complesse trattative.
In Israele è in vigore fin dalla sua fondazione una legge elettorale rigidamente proporzionale che favorisce da sempre i piccoli partiti che rappresentano particolari etnie o blocchi sociali, e quindi la formazione di ampie coalizioni e maggioranze. La coalizione di destra che ha governato per la maggior parte dei 12 anni di mandato di Netanyahu al momento si ferma a 59 seggi della Knesset, il Parlamento israeliano, sui 61 necessari per dare la fiducia a un governo (e nei 59 seggi sono compresi quelli di Yamina, un partito di destra che per ora ha escluso di governare con Netanyahu).
I partiti che non appartengono alla coalizione di destra controllano 61 seggi, quindi teoricamente il numero minimo per governare insieme, ma fra di loro ci sono partiti molto diversi che hanno già escluso ogni forma di collaborazione: per esempio la destra nazionalista di Israele, Casa Nostra, guidata dall’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, e la Lista Comune, il cartello elettorale dei partiti di centrosinistra che rappresentano gli arabo-israeliani.
Qualsiasi governo che si dovesse reggere su 61 seggi su 120, comunque, a ogni singola votazione sarebbe appeso all’assenso di tutti i componenti della maggioranza, cosa che lo renderebbe molto fragile. «Sembra chiaro che gli israeliani sono esattamente spaccati a metà riguardo la principale questione che divide la politica israeliana, cioè Netanyahu stesso», ha detto a Reuters Yohanan Plesner, capo dell’Israel Democracy Institute, secondo cui dopo il voto di ieri sembra probabile un quinto giro di elezioni: «Ci attendiamo che il periodo di incertezza, stallo e paralisi ci accompagni anche nel futuro immediato».
Qualcosa potrebbe muoversi, in un senso o nell’altro, con lo spoglio dei circa 450mila voti che provengono dagli ospedali, dalle basi militari e dai seggi per i disabili. Secondo Haaretz dovrebbero essere conteggiati entro venerdì, e in caso di grosse variazioni col voto a livello nazionale possono spostare un paio di seggi. Per la coalizione di destra ottenere due seggi in più significherebbe probabilmente riuscire a formare un governo.
Nonostante manchino ancora i risultati definitivi, si può comunque dire qualche cosa.
La prima è che Netanyahu è rimasto il capo indiscusso della coalizione di destra. Un risultato del Likud inferiore ai 30 seggi e un contestuale aumento di voti per un partito come Yamina o Nuova Speranza avrebbero probabilmente messo in dubbio la posizione del primo ministro uscente: ma nessuna di queste cose è accaduta.
«È un successo importante per Netanyahu», ha scritto sul Times of Israel l’analista politico Haviv Rettig Gur: significa che né Bennett né Sa’ar [i leader di Yamina e Nuova Speranza] possono presentarsi come dei leader capaci di sostituirlo nella carica di primo ministro. Netanyahu è riuscito a neutralizzare la più immediata minaccia alla sua leadership con una campagna disciplinata e mirata», in cui ha spesso invitato gli elettori di destra a riconoscere i suoi successi in ambiti molto diversi, da quello internazionale a quello interno.
Non ha sfondato, invece, il partito centrista Yesh Atid, guidato dall’ex giornalista televisivo Yair Lapid: e anzi ha deluso le aspettative, dato che si è fermato a 17 seggi nonostante i sondaggi gliene assegnassero più di 20. Per Lapid sarà difficile anche presentarsi come il capo dell’opposizione, viste le caratteristiche degli altri principali partiti: si è separato qualche mese fa dai centristi di Blu e Bianco, di cui faceva parte, mentre i Laburisti e Meretz sono su posizioni molto più a sinistra di Yesh Atid.
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L’altra notizia è stato il buon risultato della sinistra: i Laburisti della nuova leader Merav Michaeli sono passati in pochi mesi da percentuali irrisorie nei sondaggi ad ottenere 7 seggi, e anche Meretz, lo storico partito laico e di sinistra, è riuscito a entrare in Parlamento e controllerà probabilmente 5 seggi. In tutto, quindi, la sinistra controllerà il 10 per cento dei seggi del futuro Parlamento: tanto è bastato ad Haaretz per annunciare «la resurrezione della sinistra israeliana».
Dal lato opposto dell’arco politico, invece, l’estrema destra religiosa ha aumentato nuovamente i suoi consensi, sfiorando i 30 seggi. A questo giro entrerà in Parlamento anche Tkuma, un partito che discende dal movimento kahanista, un’organizzazione para-fascista e anti-araba cui dal 1988 è vietato partecipare alle elezioni. Tkuma siederà invece nella coalizione di destra, e in caso di un nuovo mandato a Netanyahu avrà quasi sicuramente dei ruoli di governo.
Un’ultima variabile che potrebbe influire sui calcoli dei prossimi giorni è rappresentata dalla Lista Araba Unita, un partito di arabi-israeliani di ispirazione religiosa che nei mesi scorsi si è separato dalla Lista Comune. Un po’ a sorpresa Lista Araba Unita ha superato la soglia di sbarramento del 3,25 per cento dei voti e il suo leader Mansour Abbas ha lasciato intuire che potrebbe eventualmente sostenere un governo guidato da Netanyahu in cambio di miglioramenti concreti per le condizioni di vita degli arabi-israeliani.
Finora nella storia della politica israeliana non è mai accaduto che un partito di arabi-israliani sia entrato nella maggioranza di governo.