In India c’è un dibattito sui jeans strappati indossati dalle donne
Iniziato da alcune frasi molto contestate di un importante politico, che hanno fatto riparlare di società patriarcale e misoginia
La scorsa settimana in India sui social network è circolato molto l’hashtag #RippedJeans, spesso accompagnato da foto in cui donne indossavano jeans strappati all’altezza delle ginocchia, di quelli che vanno di moda da diversi anni. L’hashtag è stato un gesto di risposta verso un importante politico indiano che aveva denigrato una donna perché indossava jeans strappati e aveva accostato al suo abbigliamento una mancanza di valori, ma non solo. Tra i critici si è aperto un dibattito su come la società patriarcale indiana cerchi di controllare il modo in cui si vestono le donne, riconducendo almeno in parte al loro abbigliamento la responsabilità per eventuali violenze sessuali subite.
La storia era iniziata qualche giorno fa, quando durante un recente viaggio in aereo il nuovo primo ministro dello stato dell’Uttarakhand, Tirath Singh Rawat, aveva incontrato una giovane donna che viaggiava coi suoi due figli e «indossava stivali e jeans strappati sulle ginocchia». In una successiva conferenza sui diritti dei bambini, Rawat, che è membro del partito conservatore del primo ministro indiano Narendra Modi (il BJP), si era chiesto retoricamente che tipo di valori potesse insegnare la donna ai suoi figli. Aveva poi detto che questo abbigliamento era sia un sintomo che una conseguenza della depravazione morale nella società indiana, e che mentre in India la gente indossa i jeans strappati «avvicinandosi alla nudità», all’estero le persone «si coprono adeguatamente e praticano lo yoga».
Le parole di Rawat hanno fatto discutere parecchio.
Il Partito del Congresso, di opposizione, ha chiesto a Rawat di chiedere scusa a tutte le donne indiane. Molte donne hanno pubblicato foto in cui indossavano jeans strappati o pantaloni corti con gli hashtag #RippedJeans o #RippedJeansTwitter. Un alto funzionario della polizia indiana, Dipanshu Kabra, ha scritto su Twitter: «Sono sempre meglio i jeans strappati che una mentalità lacerata», condividendo le immagini di una donna che getta immondizia in strada e di uomini che orinano contro un muro.
La leader del Partito del Congresso, Priyanka Gandhi Vadra, ha condiviso alcune foto di Modi e di altri membri del governo che indossavano calzoni corti, commentando: «Oddio, si vedono le loro ginocchia!».
Oh my God!!! Their knees are showing 😱😱😱 #RippedJeansTwitter pic.twitter.com/wWqDuccZkq
— Priyanka Gandhi Vadra (@priyankagandhi) March 18, 2021
Venerdì Rawat si è scusato per i suoi commenti e ha detto di essere stato frainteso. A ogni modo, le critiche nei suoi confronti hanno sollevato una questione già discussa in passato, ovvero il modo in cui in India si parla delle donne e della loro sicurezza.
Non era infatti la prima volta che in India importanti funzionari o personaggi pubblici criticavano le donne per il loro abbigliamento oppure davano loro indicazioni sui comportamenti da adottare.
Nel 2014 il noto cantante indiano K.J. Yesudas disse che indossare jeans era «contro la cultura indiana» e provocava comportamenti «indesiderati». Nel 2016 l’allora ministro della Cultura, Mahesh Sharma, fece distribuire negli aeroporti una lista di raccomandazioni da dare alle turiste, per avvisarle di non indossare gonne o vestiti corti e di non andare in giro da sole nelle città piccole di notte «per la loro sicurezza».
Negli ultimi dieci anni i capi dei governi locali di decine di cittadine indiane hanno vietato alle ragazze di indossare i jeans e usare i telefoni cellulari. Ancora la scorsa settimana, il consiglio di un paesino dell’Uttar Pradesh ha vietato alle ragazze di indossare jeans e gonne, sottolineando che sia le ragazze che indossano questi indumenti sia i ragazzi che indossano pantaloni corti verranno «boicottati dalla società».
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Questi episodi, hanno sostenuto molti critici, dimostrano come il sistema patriarcale in India sia ancora molto radicato, e come continui a cercare di imporre limiti all’abbigliamento delle donne, soprattutto nelle aree rurali. Allo stesso tempo, il modo di vestire viene collegato allo stupro e alle violenze sessuali e pertanto sposta la responsabilità delle violenze sulla donna che le subisce.
La responsabile della commissione per le donne di Dehli, Swati Maliwal, ha criticato Rawat sia per quello che ha detto che per il modo in cui lo ha fatto, poiché aveva ammesso di aver scrutato la donna sull’aereo «da testa a piedi». Maliwal ha condiviso su Twitter una sua foto in pantaloncini e commentato che gli stupri «non avvengono perché le donne indossano abiti corti, ma perché uomini come Tirath Singh Rawat diffondono la misoginia e non fanno il loro dovere».
In India il denim (la parola che indica il tessuto che siamo abituati a chiamare jeans) iniziò a essere popolare negli anni Ottanta e oggi è al centro di un mercato che vale circa 3 miliardi e mezzo di euro all’anno ed è in grande crescita. Secondo lo stilista indiano Anand Bhushan, nel paese c’è un «rapporto di amore e odio» coi jeans strappati. Questi jeans sono comunemente indossati dai giovani come anche dalle celebrità di Bollywood, ovvero il cinema indiano, ma se per i ragazzi il jeans strappato è una questione di moda, per i loro genitori e nonni è a volte una scelta «incomprensibile».
Bhushan ha detto che i critici del jeans strappato non hanno nessuna nuova tesi e anzi continuano a «proporre il solito trito dibattito» sul fatto che non faccia parte della loro cultura e che venga dall’Occidente. Secondo Bhushan «è avvilente vedere come questi uomini del patriarcato si nascondano dietro al velo della tradizione per opprimere le donne cercando di controllare il loro abbigliamento».