Come stanno scrivendo il Recovery Plan
Il governo Draghi vuole migliorare il testo precedente accentrando il lavoro sul ministero dell'Economia, ma i tempi sono stretti
di Eugenio Cau
Tra le numerose questioni di cui si deve occupare il governo di Mario Draghi, insediato da circa un mese, due priorità sono probabilmente sopra tutte le altre: la riformulazione della strategia italiana per contenere la pandemia e la scrittura del cosiddetto Recovery Plan, cioè il piano dettagliato di misure che l’Italia deve presentare alla Commissione Europea per consentire il trasferimento di centinaia di miliardi di euro stanziati nell’ambito del progetto Next Generation EU, noto come Recovery Fund.
Questi miliardi saranno fondamentali per il rilancio dell’economia dell’Italia e di tutta l’Unione Europea, e il piano che delinea come il governo intenda allocare i fondi e quali saranno le principali voci di spesa è uno dei documenti principali dell’operazione. Incidentalmente, questo piano è anche la motivazione formale della nascita del governo Draghi: Italia Viva decise di ritirare il suo sostegno a Giuseppe Conte, facendo cadere il governo, sostenendo che il Recovery Plan presentato nel gennaio scorso fosse inadeguato.
Il nome formale del Recovery Plan è Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR, d’ora in poi lo chiameremo così) e il governo ha poco tempo per formularlo: il limite massimo imposto dalla Commissione Europea ai paesi membri per la consegna dei piani è il 30 di aprile, tra meno di un mese e mezzo. Siamo in ritardo: diversi paesi membri, anche se ovviamente non tutti, hanno già consegnato il loro piano.
Il governo Draghi si trova in una situazione particolare, perché si è insediato poche settimane dopo la presentazione della bozza di PNRR fatta dal suo predecessore, che però aveva numerosi problemi e aveva ricevuto un’accoglienza contrastata. Senza il tempo per riscrivere materialmente tutto il piano, il nuovo governo ha accentrato la struttura che si occupa della sua redazione, per rendere il processo più efficiente, e sta lavorando per migliorare le fasi di realizzazione e di gestione dei progetti.
Cos’è il PNRR, brevemente
Il PNRR è il documento che il governo italiano deve presentare alla Commissione Europea per dettagliare il modo in cui intende spendere i soldi del Recovery Fund, che per l’Italia ammontano a poco meno di 200 miliardi di euro (ci torniamo). La stesura di questo documento è fondamentale per ottenere i fondi: a livello formale, la loro erogazione dipende dalla valutazione che la Commissione farà del piano, anche se ovviamente c’è un fattore politico da tenere in considerazione: è improbabile che un paese sia escluso dal Next Generation EU, anche se il suo piano fosse disastroso.
Nello specifico, il PNRR è un elenco di progetti (all’interno del documento si chiamano “schede progetto”) in cui il governo spiega nel dettaglio per quali investimenti produttivi o in quali incentivi intende dividere i fondi europei. Per ogni progetto sono descritti tempi di spesa e realizzazione (il “cronoprogramma”), i vari passaggi della realizzazione del progetto (le “milestone”, cioè le pietre miliari), gli obiettivi da raggiungere (i “target”) e quali enti dello stato se ne occuperanno (ministeri, aziende pubbliche, enti locali e così via).
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Il PNRR di Conte
Il governo guidato da Giuseppe Conte aveva già preparato un PNRR, o quanto meno una bozza di piano, all’inizio del 2021, e a metà gennaio l’aveva inviato alla Commissione Europea, mentre già in Italia si cominciava a parlare di crisi di governo.
La stesura di quel piano era stata molto complicata: verso la fine del 2020, fu deciso che il completamento e, in seguito, la realizzazione del Recovery Plan sarebbero stati coordinati dal Comitato interministeriale per gli affari europei, guidato dal ministro per gli Affari europei Enzo Amendola assieme al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.
Ai singoli ministeri fu chiesto di identificare i possibili progetti da realizzare con i fondi europei e, come ha detto una fonte governativa al Post, «svuotarono i cassetti»: ne inviarono oltre 500, da valutare e da vagliare. Alla fine, quando la bozza di PNRR fu inviata alla Commissione per una prima revisione, il responso fu solo in parte positivo: il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, per esempio, disse che c’era una «base molto buona» ma che era necessario «rafforzarla». Anche diverse organizzazioni di categoria, come per esempio Confindustria, considerarono il piano insufficiente.
Italia Viva inoltre espresse forti critiche sulla struttura che avrebbe poi dovuto occuparsi della governance e dell’attuazione del piano, critiche che poi diventarono una delle motivazioni ufficiali del ritiro del sostegno al governo Conte.
Il PNRR di Draghi
Con la caduta del governo Conte, il rafforzamento del piano è diventato una delle priorità dichiarate del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi. Il 17 febbraio, durante il suo insediamento davanti al Senato, dedicò una lunga parte del suo discorso al PNRR. Esordì dicendo che il governo precedente aveva «già svolto una grande mole di lavoro», ma poi elencò tutta una serie di punti in cui il piano avrebbe dovuto essere «rafforzato» e migliorato. «Non basterà elencare progetti che si vogliono completare nei prossimi anni. Dovremo dire dove vogliamo arrivare nel 2026 e a cosa puntiamo per il 2030 e il 2050», aveva aggiunto.
Subito dopo il suo insediamento, il nuovo ministro dell’Economia Daniele Franco ha nominato Carmine Di Nuzzo, ispettore capo della Ragioneria generale dello stato, per guidare un gruppo di lavoro che dovrà coordinare tutta l’opera di redazione, sistemazione e riscrittura del PNRR. Di Nuzzo ha a sua disposizione una squadra piuttosto ampia di persone, compreso un gruppo di economisti provenienti dalla Banca d’Italia.
La gestione del piano è stata centralizzata in maniera consistente: il ministero dell’Economia (MEF), con il suo gruppo di lavoro, si è preso il ruolo di coordinamento di tutto il PNRR, e la collaborazione più serrata avviene soltanto con pochi ministri selezionati, tra cui spicca Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica.
Dal punto di vista dei contenuti, per ora le differenze tra il piano di Conte e quello di Draghi non sembrano molto marcate, anche a causa del poco tempo a disposizione. Da qualche giorno circola una bozza di PNRR che il governo Draghi ha consegnato al Parlamento, di quasi 500 pagine. Come ha però spiegato in audizione il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini, è ancora la bozza del governo precedente, con pochissimi ritocchi, usata per avere una base comune di lavoro.
Questo significa che, anche a causa del poco tempo a disposizione, difficilmente ci saranno rivoluzioni nella scelta dei progetti. Probabilmente alcuni saranno accorpati e altri depennati, poiché uno degli obiettivi principali del gruppo di lavoro dentro al MEF è razionalizzare le coperture economiche degli investimenti. Il nuovo piano dovrebbe essere quanto meno più dettagliato e preciso: uno dei problemi principali del PNRR del governo precedente era la sua vaghezza su tutta una serie di aspetti (dal cronoprogramma alle coperture) che dovrebbero essere ricalcolati ed esplicitati.
Inoltre il nuovo piano si concentrerà molto sulla governance, cioè sulla gestione dell’esecuzione dei progetti. Franco ha detto che sarà creata una struttura di monitoraggio permanente in ogni ministero, che farà capo a una struttura centrale presso il MEF (forse lo stesso gruppo di lavoro che ora è guidato da Di Nunzio).
I soldi
Dei circa 750 miliardi di euro del Next Generation EU, all’Italia a oggi spettano 191,5 miliardi di euro, ha detto qualche giorno fa il ministro Franco in un’audizione davanti alle Commissioni congiunte di Affari costituzionali e Lavoro di Camera e Senato (queste sono le sovvenzioni del fondo principale, il Recovery and Resilience Facility, a cui vanno aggiunti circa 14 miliardi di fondi che fanno sempre parte del Next Generation EU, come il React-EU, ma hanno destinazioni più specifiche). È un po’ meno rispetto a quanto previsto a dicembre del 2020, quando il governo italiano parlò di 196,5 miliardi. Secondo Franco, i miliardi mancanti dipendono dal fatto che l’attribuzione della risorse avviene sulla base del reddito nazionale lordo: e siccome quello dell’Italia è calato nel 2020 più della media degli altri, è calata anche la quantità di risorse attribuite.
Questi 191,5 miliardi saranno dati all’Italia per poco più di un terzo come sussidi (in pratica, aiuti economici che non devono essere restituiti) e per poco meno di due terzi come prestiti. Non verranno erogati tutti subito, ma in maniera scaglionata, secondo tempi prestabiliti.
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I progetti
Nelle varie bozze di PNRR circolate finora la quantità di progetti è ovviamente molto ampia, e si passa da grandi obiettivi strategici enunciati in maniera molto generale, che dovranno essere specificati nel tempo, ad altri più piccoli e puntuali.
Le parti più ampie e generiche riguardano tra le altre cose due dei temi che la Commissione europea considera cruciali (ci torniamo), cioè la transizione ecologica e la digitalizzazione. Sulla transizione ecologica è difficile trovare in poco tempo progetti precisi, e quindi molte voci di spesa riguardano incentivi e promesse di investimento legate per esempio a forme di energia verde come l’idrogeno, oppure al miglioramento dell’efficienza di edifici pubblici e privati. Lo stesso vale per la digitalizzazione, dove le promesse di investimento sono tendenzialmente piuttosto generiche, per esempio sulle reti 5G, sebbene ci siano diversi progetti specifici come la creazione di un sistema cloud nazionale.
Uno degli obiettivi principali della squadra del MEF è proprio quello di rendere più concreti e puntuali questi obiettivi.
Altri settori di investimento consentono invece di progettare piani più specifici, in parte perché rispondono a esigenze già esistenti. I miglioramenti e le nuove costruzioni nella rete autostradale e ferroviaria, per esempio, fin dalle prime bozze erano descritti in maniera estremamente dettagliata, tratta per tratta (come l’alta velocità Bari-Napoli). Lo stesso vale per il turismo: nelle bozze si trovano elencati molti progetti per la costruzione di piste ciclabili turistiche o progetti di riqualificazione di borghi e centri storici. Ovviamente tutti questi progetti sono per ora ipotetici, e dovranno essere confermati nel piano definitivo.
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I tempi
Sappiamo che ciascun paese membro dovrà consegnare il proprio PNRR entro il 30 aprile. In teoria, questa data è il limite ultimo, ma in realtà ancora una volta bisogna tenere conto dell’opportunità politica. Oltre all’Italia, diversi paesi si sono ridotti all’ultimo nella stesura del loro piano, ed è improbabile che l’Unione decida di tagliarli fuori se faranno ritardo. Fonti sentite dal Post prevedono, anche se ovviamente si tratta di un’ipotesi non confermata, che nelle prossime settimane la Commissione Europea potrebbe concedere una proroga alla consegna dei piani.
Questo però significherebbe allungare tutto il processo di valutazione, e da ultimo l’erogazione dei fondi. Dopo la consegna dei piani, infatti, la Commissione si prenderà otto settimane per la valutazione, poi tutto passerà al Consiglio dell’UE, che si prenderà altre quattro settimane per emettere la decisione finale. Se tutto va secondo i piani, dunque, l’approvazione dovrebbe arrivare alla fine di luglio, e i fondi a seguire. Non arriveranno tutti assieme. Nella prima fase i paesi potranno ottenere prefinanziamenti del valore del 13 per cento dell’importo complessivo.
La Commissione ha predisposto anche dei tempi di spesa: i fondi ricevuti dovranno essere impegnati al 70 per cento entro il 2022 e al 100 per cento entro il 2023. Inoltre, i progetti dovranno essere conclusi entro il 2026. Significa che, per esempio, se l’Italia intende usare una porzione dei fondi per costruire un nuovo ponte sul Po dovrà aver già chiuso tutti i contratti per la costruzione entro il 2023 (ma meglio nel 2022), e aver completato il ponte entro il 2026.
L’erogazione dei fondi è scaglionata nel tempo anche perché l’Unione Europea vuole controllare che siano usati in maniera appropriata: ogni sei mesi ci sarà un riesame dei progetti, dal quale dipenderà l’erogazione di nuovi fondi. La Commissione ha stabilito criteri ben precisi per la valutazione.
Le richieste dell’Unione Europea
Oltre a un’azione di monitoraggio continuo, la Commissione europea ha imposto anche numerosi vincoli che determinano l’erogazione dei fondi: la decisione comune di fare debito per garantire aiuti e sostegni economici ai paesi membri è stata politicamente molto sofferta, e soprattutto i paesi del nord Europa, al momento dell’accordo, chiesero che fosse fatto tutto il possibile per fare in modo che i fondi del Next Generation EU andassero in riforme e progetti di crescita e non, per esempio, in altri provvedimenti come la riduzione delle tasse.
Anzitutto, le linee guida della Commissione determinano grossomodo come i fondi dovranno essere allocati nei vari progetti. In particolar modo, almeno il 37 per cento delle previsioni di spesa di ciascun piano dovrà sostenere la transizione ecologica, e almeno il 20 per cento la trasformazione digitale.
La Commissione, inoltre, ha individuato una serie di riforme strutturali che ciascun paese dovrebbe mettere in atto: quelle dell’Italia dovrebbero essere la riforma complessiva del sistema giudiziario, la riforma del fisco e quella della pubblica amministrazione. Delle prime due, per ora, non si sa molto, e i lavori sono agli inizi.
Della terza invece si sta occupando il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, che ha annunciato la pubblicazione a breve di un decreto (un «decretone»», ha detto) che sarà presentato assieme al PNRR e dovrebbe rendere operativa la riforma. Per ora Brunetta ha parlato soprattutto dell’assunzione di figure tecniche (ha già annunciato concorsi per 2.800 persone da assumere al Sud) che sarebbero necessarie per la messa in atto del PNRR.