Con la pandemia nascono molti meno bambini
Lo mostrano i numeri sui nati a dicembre, i primi concepiti da quando è cominciata: soltanto alcuni paesi fanno eccezione
A un anno dall’inizio della pandemia si iniziano ad avere i primi dati sul suo impatto sulle nascite, calate nettamente quasi ovunque. Dicembre 2020 è stato infatti il primo mese considerabile per questo tipo di valutazione, visto che i nati nei mesi precedenti – salvo quelli prematuri – erano stati concepiti prima dell’arrivo del coronavirus. L’Italia è uno dei paesi europei più colpiti dal calo delle nascite, insieme a Belgio, Francia e Spagna.
Un rapporto dell’ISTAT di febbraio mostra come il numero di bambini nati in Italia tra gennaio e agosto (quindi concepiti prima del coronavirus, nel periodo che va da aprile a novembre 2019) fosse già in calo del 2,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. Non si hanno ancora i dati definitivi sulle nascite di novembre e di dicembre del 2020, ma l’ISTAT li dispone per 15 città italiane in cui vivono 6 milioni di persone, che nel 2019 erano state responsabili del 10,6 per cento di tutti i nuovi nati.
In queste città, nel 2020 i nati sono stati in media il 5,2 per cento in meno rispetto al 2019: nei primi dieci mesi sono calati del 3,25 per cento, a novembre dell’8,21 per cento. Ma a dicembre, come si è detto il primo mese in cui sono nati bambini concepiti durante la pandemia, il calo è stato drasticamente maggiore: del 21,6 per cento.
Considerando tutti i dodici mesi del 2020, l’unica città tra quelle considerate ad aver registrato un aumento di nati è Foggia, con quasi il 2 per cento in più, mentre quella con il calo maggiore è Bari, al -16 per cento; Milano si avvicina al -5 per cento, Napoli supera il -6 per cento.
Applicando l’andamento in queste 15 città a tutto il paese, i nuovi nati in Italia nel 2020 sarebbero compresi tra un minimo di 398mila e un massimo di 402mila: si tratta di un calo notevole, considerato che dai tempi dell’unità d’Italia non si era mai scesi sotto ai 400mila nati. Contemporaneamente nel 2020 i morti sono stati 746mila, un numero superato solo nel 1920 e poi durante la Seconda guerra mondiale, tra il 1942 e il 1944. La differenza tra i morti e i nati vivi sarebbe quindi superiore alle 300mila unità: era accaduto soltanto nel 1918 quando l’influenza spagnola aveva causato circa la metà degli 1,3 milioni di decessi di quell’anno.
Secondo il rapporto dell’ISTAT è plausibile che il calo dei concepimenti proseguirà nel 2021: i dati relativi a dicembre suggeriscono infatti che nel 2021, quando cioè nascerà la maggior parte dei bambini concepiti durante la pandemia, la tendenza in calo delle nascite possa risultare assai più netta e che quindi sarà difficile tornare a superare in tempi brevi la soglia dei 400mila nati.
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Secondo l’ISTAT – oltre alla crisi economica, al timore di contrarre il virus e all’incertezza per il futuro – hanno avuto un ruolo anche il calo delle migrazioni, che nei primi otto mesi del 2020 è stato del 17,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019, e quello dei matrimoni, in parte rimandati a causa delle restrizioni per contenere il contagio. Da gennaio a ottobre, stando a dati ancora provvisori, ci sono stati circa 85mila matrimoni contro i 170 mila dei primi dieci mesi del 2019: il 50,3 per cento in meno. Considerando solo i matrimoni religiosi, il calo è stato del 69,6 per cento. Il fenomeno riguarda soprattutto il Sud Italia, dove nei primi dieci mesi del 2020 i matrimoni si sono ridotti a un quarto rispetto ai primi dieci mesi del 2019.
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L’Italia non è l’unico paese industrializzato in una situazione simile. L’istituto di statistica francese è stato tra i primi a diffondere dati sui nati di gennaio 2021: sono stati 53.900, il 13 per cento in meno rispetto al gennaio 2020. A dicembre le nascite sono diminuite del 7 per cento rispetto al dicembre dell’anno prima, portando il numero dei nati del 2020 a 735mila: il più basso dai tempi della Seconda guerra mondiale. La Francia è il paese con il tasso di natalità più alto dell’Unione Europea ed era dagli Settanta, in seguito a un periodo di grande aumento di nascite, che non si vedeva un crollo simile. In Spagna, secondo l’istituto di statistica nazionale, a dicembre 2020 e a gennaio 2021 le nascite sono diminuite del 20 per cento rispetto agli stessi mesi del 2019 e del 2020. I nati a dicembre sono stati 23.266, il numero più basso dal 1941, quando il paese iniziò a tenerne conto.
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Il problema è sentito anche in Cina, il paese più popoloso al mondo già alle prese con un calo delle nascite dal 2016, nonostante l’abolizione nel 2015 della politica del figlio unico. Ora le coppie cinesi possono avere due figli ma molte hanno deciso di rimandarne il concepimento per preoccupazioni legate alla crisi economica e per il timore di contrarre il virus durante le visite mediche della gravidanza. La Cina non ha ancora pubblicato i dati sulla popolazione del 2020 ma molti governi locali sostengono che il calo di nascite abbia percentuali a doppia cifra rispetto al 2019.
Lo stesso si è visto negli Stati Uniti. Secondo uno studio condotto tra aprile e maggio dall’istituto di ricerca Guttmacher, il 40 per cento delle donne americane intervistate che avevano intenzione di avere un figlio nel 2020 ha rimandato la gravidanza a causa della pandemia. La Brookings Institution, un centro di ricerca con sede a Washington, aveva previsto che a dicembre sarebbero nati 300.000 bambini in meno rispetto al 2019.
Anche in Giappone nel dicembre 2020 il numero di nascite era calato del 9,3 per cento rispetto al dicembre 2019. È il paese con la popolazione più vecchia al mondo e per contrastare questa tendenza da gennaio il governo stanzia aiuti economici per i trattamenti di fertilità. Il nuovo primo ministro Yoshihide Suga ha anche promesso che verrano coperti dal sistema sanitario nazionale entro il 2022.
Non tutti i paesi industrializzati hanno assistito a un crollo delle nascite. Il Nord Europa per esempio è stato meno colpito dalla pandemia, perlomeno nei primi mesi, rispetto a Italia, Francia e Spagna e forse per questo le persone, meno spaventate, hanno continuato a fare figli. Mentre a gennaio la Svezia ha registrato un calo delle nascite del 6,4 per cento rispetto al gennaio 2019, i Paesi Bassi e la Finlandia hanno invertito la tendenza con un leggero aumento.
Inoltre, uno studio condotto in Italia su 1.482 persone tra i 18 e i 46 anni ha mostrato l’esistenza di una minoranza che ha deciso di fare un figlio durante il lockdown. Prima del coronavirus il 18 per cento degli intervistati aveva intenzione di concepirne uno ma con l’arrivo della pandemia il 37 per cento di loro ha abbandonato l’idea. Per contro, 140 persone delle 1.214 che non pianificavano un figlio hanno iniziato a cercarlo grazie a una maggiore disponibilità di tempo libero e con il partner, per il desiderio di un cambiamento e di un evento positivo a cui guardare.
In alcuni paesi, come le Filippine, si è invece assistito a un aumento delle nascite in seguito alla pandemia. Durante il lockdown infatti molte donne dei paesi meno industrializzati e delle zone rurali non hanno avuto accesso alla contraccezione, agli aborti e alle visite mediche, con il conseguente aumento di gravidanze non desiderate: questo potrebbe causare aborti non sicuri e un aumento della mortalità delle madri e dei neonati. Secondo l’Ipas Development Foundation, che si occupa di contraccezione e aborto in India e nei paesi in via di sviluppo del Sudest asiatico, circa 1,85 milioni di donne non hanno potuto abortire tra marzo e maggio 2020. Secondo le Nazioni Unite 47 milioni di donne in 114 paesi in via di sviluppo non hanno avuto accesso ai contraccettivi durante le misure di lockdown, cosa che porterà alla nascita di 116 milioni di bambini non cercati. Negli Stati Uniti le gravidanze non desiderate saranno 3,3 milioni.
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Da sempre eventi traumatici come le pandemie, le guerre e le crisi economiche causano il crollo delle nascite. Spesso è un fenomeno temporaneo seguito da una rapida ripresa, ma quando le difficoltà e le incertezze si protraggono molte nascite non vengono solo rimandate, ma cancellate. Per esempio non c’è stata alcuna ripresa dopo la crisi economica del 2008 negli Stati Uniti: nel 2007 il tasso di natalità aveva toccato il massimo da decenni, poi nel 2008 era diminuito e da allora la tendenza è rimasta la stessa.
L’influenza spagnola del 1918, che uccise 50 milioni di persone in tutto il mondo, portò a un calo delle nascite nel 1919 ma a una forte crescita nel 1920, soprattutto in Europa, dove i sopravvissuti si stavano sposando in fretta e stavano facendo figli anche per colmare le perdite e guarire dai traumi della guerra e dell’epidemia.
La rivista accademica Frontiers ha comparato le fluttuazioni mensili delle nascite durante alcune epidemie: la SARS a Hong Kong nel 2002, quella causata dal virus Zika in Brasile nel 2015 e l’ebola in Africa occidentale nel 2016. In tutti i tre casi dopo 8-12 mesi dall’inizio dell’epidemia si verificò un calo delle nascite, seguito da un aumento negli otto mesi successivi. L’andamento delle nascite vedrebbe quindi un calo nel primo anno di epidemia, seguito da una ripresa. Va ricordato che ogni caso è a sé e varia in base alla durata dell’epidemia e al paese interessato, dove il tasso di natalità può essere influenzato da diverse ragioni.