Raggiungeremo mai l’immunità di gregge?
Anche con un massiccio ricorso alla vaccinazione, difficilmente riusciremo a far sparire la COVID-19, racconta Nature
Con oltre 400 milioni di dosi di vaccini contro il coronavirus somministrate nel mondo, epidemiologi e virologi iniziano a fare qualche nuova valutazione sulla cosiddetta “immunità di gregge”, ma le loro previsioni non sono molto incoraggianti. Considerate le caratteristiche del virus e l’andamento delle campagne vaccinali, sembra sempre più improbabile che si possa raggiungere in tempi brevi una diffusa immunizzazione della popolazione, con la conseguente fine della pandemia.
Come spiegano già da tempo gli esperti, la COVID-19 diventerà una malattia endemica, cioè sempre presente tra la popolazione come avviene già con l’influenza. Ciò renderà gestibile la malattia, grazie ai vaccini e ai ricorrenti contagi che rafforzeranno la memoria immunitaria, ma nel breve-medio periodo dovremo probabilmente affrontare una fase in cui non potremo contare sull’immunità di gregge, con maggiori rischi di nuove ondate.
Il sito della rivista scientifica Nature ha consultato numerosi esperti sul tema, identificando cinque motivi per i quali è «probabilmente impossibile» che si sviluppi un’immunità di gregge che faccia svanire la COVID-19. Come tutte le previsioni sulla pandemia, è opportuno ricordarsi che ci sono ancora diverse cose che non sappiamo sulla diffusione del coronavirus e la capacità dei vaccini di limitarla, e che a oggi la vaccinazione rimane la risorsa più importante per tenere sotto controllo la pandemia.
1. Vaccini e trasmissione
Il punto principale dell’immunità di gregge deriva dal fatto che anche se una persona diventa infetta non potrà contagiarne molte altre, perché tra la popolazione ci sono pochi individui ancora suscettibili grazie al fatto di avere sviluppato un’immunità, derivante da un precedente contagio o da una vaccinazione, che impedisce l’ulteriore diffusione di ciò che causa la malattia.
A oggi sappiamo che i vaccini contro il coronavirus autorizzati impediscono che si sviluppino le forme più gravi di COVID-19, ma non è invece chiaro quanto impediscano di essere contagiati. I dati sul vaccino di Pfizer-BioNTech provenienti da Israele, tra i paesi che hanno vaccinato più di tutti, sembrano offrire qualche primo dato incoraggiante sulla riduzione dei nuovi contagi, ma occorrerà ancora del tempo prima di avere un quadro preciso.
La capacità di un vaccino di bloccare la trasmissione deve essere comunque piuttosto alta per ottenere un’immunità di gregge. Ciò non significa che debba raggiungere il 100 per cento: secondo diversi ricercatori una capacità del 70 per cento potrebbe essere sufficiente, anche se non garantirebbe di fermare completamente le catene dei contagi.
2. Disparità nelle vaccinazioni
In circa tre mesi di campagne vaccinali è diventato sempre più evidente che ci sono enormi differenze nelle modalità e nei risultati ottenuti a seconda dei paesi, e talvolta di singole aree geografiche. In linea teorica, una vaccinazione massiccia e coordinata in tutto il pianeta potrebbe far sparire per sempre la COVID-19, ma un risultato di questo tipo appare impossibile da raggiungere.
Israele è stato utilizzato come esempio virtuoso, perché in pochi mesi è riuscito a vaccinare (con due dosi) metà della propria popolazione. Lo ha potuto fare grazie a un’organizzazione molto attenta della campagna vaccinale e alla disponibilità di grandi quantità di dosi del vaccino, fornite da Pfizer-BioNTech in seguito a un accordo con il governo israeliano per la condivisione di più informazioni sanitarie rispetto a quelle solitamente condivise dai paesi con le aziende farmaceutiche.
Nell’ultimo periodo si è però assistito a un rallentamento della vaccinazione in Israele, a causa di alcune difficoltà nel convincere i più giovani e gli ebrei ultraortodossi a vaccinarsi. Il raggiungimento della soglia del 60-70 per cento di vaccinati per avere l’immunità di gregge appare ora più difficile, anche se raggiungibile in un paese relativamente piccolo, con una popolazione di poco meno di 9 milioni di persone.
Israele ha però intorno paesi come Libano, Siria, Egitto e Giordania che hanno vaccinato meno dell’1 per cento dei loro abitanti. In vista di una possibile riapertura di alcuni collegamenti internazionali, l’arrivo di persone non vaccinate e potenzialmente contagiose da altri paesi potrebbe complicare gli obiettivi molto ambiziosi posti dal governo israeliano per fermare la pandemia.
Più in generale, i vaccini sono stati finora distribuiti privilegiando le somministrazioni per gli anziani e gli individui a rischio, una scelta sensata visto che la vaccinazione protegge dalla malattia, ma che contribuisce a rendere molto varia e disomogenea la diffusione del vaccino. Le autorità di controllo hanno inoltre autorizzato le somministrazioni a partire dai 16-18 anni (a seconda del tipo di vaccino), lasciando per ora scoperte le fasce più giovani della popolazione.
3. Varianti
Negli ultimi mesi sono emerse alcune varianti potenzialmente più contagiose e in grado di offrire una maggiore resistenza ai vaccini. Più il coronavirus rimane in circolazione, più aumentano i rischi che se ne formino di nuove e difficili da tenere sotto controllo.
Uno studio da poco condotto in Brasile, e pubblicato sulla rivista scientifica Science, ha ipotizzato che il rallentamento marcato dei nuovi contagi tra maggio e ottobre 2020 nella città di Manaus fosse riconducibile agli effetti dell’immunità di gregge. In primavera c’era stata una marcata incidenza del coronavirus, al punto da far stimare che almeno il 60 per cento della popolazione lo avesse contratto, una percentuale sufficiente per l’immunità di gregge (secondo alcuni ricercatori il dato era sovrastimato).
A gennaio a Manaus si è però verificata una nuova ondata di contagi, dovuta alla variante P.1 del coronavirus, contro la quale la precedente esposizione della popolazione non si è rivelata sufficiente. Nonostante ci fosse un alto livello di immunità acquisita in primavera, la nuova variante è riuscita a farsi strada e a causare un alto numero di contagi a quanto pare anche tra chi aveva già contratto in passato il coronavirus, ma le verifiche sono ancora in corso.
Più in generale, possono esserci condizioni in cui un virus continua a circolare perché la quantità di popolazione immunizzata non è ancora sufficiente per avere l’immunità di gregge. In queste circostanze, potrebbero diffondersi varianti del virus in grado di eludere le difese che aveva sviluppato il nostro organismo grazie alla malattia o al vaccino. Per questo è importante che ci siano sistemi di controllo per identificare rapidamente nuove varianti e intervenire per tenerle sotto controllo. Al tempo stesso è importante che ci siano capacità per aggiornare velocemente i vaccini, in modo che possano rivelarsi efficaci anche contro diverse versioni del coronavirus.
4. Durata dell’immunità
Non sappiamo ancora quanto duri l’immunità acquisita per via naturale dopo essere stati contagiati o tramite vaccinazione. Sulla base delle conoscenze derivanti dallo studio degli altri coronavirus che interessano gli esseri umani, i ricercatori ritengono che l’immunità dall’attuale coronavirus svanisca nel corso del tempo. Ciò significa che potrebbero esserci finestre temporali piuttosto ristrette nelle quali si raggiunge un’immunità di gregge, a patto di procedere con la vaccinazione del maggior numero di persone possibili per tutelare chi non è ancora entrato in contatto con il coronavirus.
La durata dell’immunità indotta dai vaccini non è ancora nota perché si è iniziato a vaccinare da poco. Secondo gli esperti potrebbe essere necessario ricorrere a periodici richiami del vaccino, che in compenso offrirebbero la possibilità di ricevere dosi diverse dalle precedenti e in grado di tenere sotto controllo le nuove varianti emerse. In questo senso, la vaccinazione contro la COVID-19 potrebbe diventare simile a quella contro l’influenza stagionale, che richiede ogni anno una nuova somministrazione proprio perché le caratteristiche dei virus influenzali cambiano e si perde parzialmente l’immunità nel corso del tempo.
5. Comportamenti
Chi si occupa di realizzare modelli e fare previsioni invita a ricordare che molte assunzioni sull’immunità di gregge sono state svolte basandosi sulla situazione attuale, dove nella maggior parte dei paesi sono in vigore restrizioni, si pratica il distanziamento fisico e si indossano le mascherine. Un conto è fare valutazioni in un contesto in cui i rischi di contagio vengono ridotti sensibilmente, un altro in circostanze in cui si torna a una vita “normale”.
Per comprendere meglio effetti e interazioni tra comportamenti e immunità, Nature prende a esempio l’ultima stagione influenzale, che si è rivelata molto più contenuta rispetto agli scorsi anni. È opinione condivisa che l’influenza tra fine 2020 e inizio 2021 sia stata meno problematica del solito grazie agli effetti delle mascherine e del distanziamento fisico, che si sono aggiunti all’immunizzazione naturale tra la popolazione già esposta in passato al virus influenzale (seppure questo muti di frequente) e grazie alle vaccinazioni.
In mancanza delle mascherine e delle altre restrizioni, avremmo probabilmente avuto una normale stagione influenzale. Ciò è indicativo di come i comportamenti influiscano sulle epidemie, ma dimostra anche che si dovrebbero immunizzare molte più persone per ottenere lo stesso risultato con la COVID-19 se si smettesse di praticare il distanziamento fisico e di indossare dispositivi di protezione.
Appare quindi improbabile che si possa raggiungere facilmente un’immunità di gregge solamente attraverso la vaccinazione. I vaccini difficilmente potranno fermare la diffusione del coronavirus, ma questo non significa che siano poco importanti. Come sta diventando evidente man mano che procedono le somministrazioni, i vaccini riducono fortemente il rischio di sviluppare sintomi gravi della malattia, tali da rendere necessari ricoveri in ospedali con il conseguente rischio di mettere sotto forte stress i sistemi sanitari. La COVID-19 continuerà a esserci, ma iniziamo ad avere gli strumenti per fare in modo che faccia il minor numero possibile di danni.