La Danimarca vuole cambiare la demografia delle periferie
Il governo propone di ridurre la presenza di persone «non occidentali» in quelli che attualmente definisce «ghetti»
Il governo della Danimarca ha presentato una proposta di legge per limitare la presenza di persone «non occidentali» in alcune particolari zone periferiche e disagiate delle città, che definisce “ghetti”. La proposta è stata presentata dal ministro dell’Interno, il socialdemocratico Kaare Dybvad Bek, e si inserisce in una più ampia serie di iniziative prese dal governo negli ultimi anni per la gestione di queste aree. La proposta di Bek è però diversa rispetto alle precedenti misure adottate: si basa sull’idea di allontanarsi dal concetto di “ghetto” che aveva caratterizzato le politiche del governo finora, e prevede che nel giro di 10 anni in queste aree i residenti “non occidentali” non siano oltre il 30 per cento del totale.
Nonostante la proposta del governo sia diversa rispetto alle misure passate, l’obiettivo rimane lo stesso: limitare il rischio di creare quelle che il governo danese sostiene siano “società parallele” religiose e culturali, in contrasto con quella danese tradizionale. Il governo non ha ancora fissato una data per la discussione della proposta di legge in parlamento, che però ha buone possibilità di essere approvata.
Nonostante sia considerato un paese progressista, la Danimarca ha una delle politiche più aggressive dell’Unione Europea nei confronti dell’immigrazione e una delle più dure in termini di integrazione, o più precisamente “assimilazione”. Su questo tema, il governo di centrosinistra, che è al potere dal 2019, ha continuato quello che la precedente amministrazione di centrodestra aveva cominciato. Secondo le statistiche ufficiali, in Danimarca quasi 360mila persone sono immigrati di provenienza non occidentale o loro discendenti, su una popolazione totale di 5,8 milioni di abitanti: poco più del 6 per cento.
Già dal 2018 infatti nel paese erano entrate in vigore leggi per regolare la vita delle persone non occidentali che vivevano nei cosiddetti “ghetti”, termine con cui la legislazione danese chiama i quartieri in grave difficoltà economica e sociale, e dove i reati sono puniti con pene maggiori rispetto alle altre zone del paese.
Per la legge danese, un “ghetto” è una zona con più di mille abitanti, in cui più della metà dei residenti sia di origine non occidentale, e in cui sussistano almeno 2 di 4 criteri molto definiti. Il primo è che più del 40 per cento dei residenti sia disoccupato; il secondo è che più del 60 per cento delle persone tra i 39 e i 50 anni non abbia fatto le superiori; il terzo è che la percentuale di crimini sia almeno il triplo della media nazionale; il quarto è che i residenti guadagnino meno del 45 per cento della media regionale. Sulla base di queste condizioni, in Danimarca 15 quartieri sono “ghetti”, e altri 25 sono considerati “a rischio” di diventarlo. Ogni anno l’elenco viene aggiornato.
Una delle leggi approvate nel 2018 prevedeva che i bambini dei “ghetti” a partire da un anno di età venissero separati dalle loro famiglie per almeno 25 ore a settimana, per ricevere un’istruzione obbligatoria in “valori danesi”. Un’altra aveva avviato la drastica riduzione di offerte di alloggi a canoni calmierati, che era portata avanti da alcune associazioni no profit e di cui beneficiavano quasi solo gli stranieri non occidentali. Le Nazioni Unite avevano espresso più volte preoccupazione per l’atteggiamento della Danimarca nei confronti di quella parte di popolazione di origine non occidentale.