I certificati verdi digitali salveranno il turismo?
La Commissione Europea ha presentato il progetto per favorire i viaggi dei vaccinati e guariti dalla COVID-19, ma c'è qualche dubbio
La Commissione Europea sta proseguendo lo sviluppo di un “certificato verde digitale” che, nelle intenzioni dei suoi promotori, dovrebbe rendere più semplici i viaggi tra i paesi dell’Unione Europea durante la pandemia da coronavirus. Mercoledì, la Commissione ha diffuso una prima proposta sui principî alla base del nuovo sistema, ma c’è ancora molto scetticismo sulla possibilità di sviluppare una soluzione condivisa e soprattutto funzionale in tempo per la prossima estate.
L’impiego di certificati e “passaporti di immunità” è discusso da tempo e in numerose aree del mondo con idee di base piuttosto simili: dare la possibilità a chi si è vaccinato o è risultato di recente negativo a un test sul coronavirus o ha acquisito naturalmente l’immunità di dimostrare la propria condizione, e di conseguenza di potersi spostare con maggiore facilità essendo un minor rischio per gli altri.
Le certificazioni sono soprattutto viste come una possibile soluzione per tutelare almeno in parte il settore del turismo, messo in crisi dalla pandemia, ma ci sono dubbi sulla loro effettiva utilità considerato che non ci sono ancora elementi chiari sulla durata dell’immunità al coronavirus (i primi dati, anche su quella offerta tramite i vaccini, sono comunque incoraggianti).
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I capi di governo dell’Unione Europea avevano discusso l’istituzione del certificato verde alla fine dello scorso febbraio: i leader dei paesi europei meridionali, la cui economia dipende molto dal turismo, si erano dichiarati favorevoli, mentre era emerso qualche scetticismo da parte degli stati membri dell’Europa settentrionale. Il confronto si era concluso con la decisione di proseguire il progetto e mercoledì la Commissione ha presentato una prima proposta, con qualche dettaglio in più.
Il progetto prevede di emettere un certificato verde digitale per attestare tre diverse condizioni: l’avvenuta vaccinazione o un recente risultato negativo ai test per il coronavirus o la guarigione dalla COVID-19. Ogni certificato potrà essere digitale o cartaceo, dotato di un QR code per poterne fare una scansione e verificarne l’autenticità. L’emissione dei certificati sarà a carico dei singoli stati membri, che potranno scegliere le modalità di distribuzione in modo centralizzato, oppure affidare il compito ai centri dove si effettuano le vaccinazioni e i test per rilevare l’eventuale positività al coronavirus o agli operatori sanitari che verificano la guarigione dalla COVID-19.
Ogni organismo autorizzato a produrre certificati disporrà di una propria chiave digitale, cioè di un sistema che consenta di ridurre i rischi di contraffazione. Il registro delle chiavi digitali sarà mantenuto da ogni paese e la verifica, a livello europeo, non prevederà l’impiego di un sistema centralizzato. Questa soluzione dovrebbe garantire la tutela della privacy, considerato che i certificati avranno informazioni delicate come quelle sulla salute.
Il certificato conterrà comunque il minor numero possibile di dati: nome e cognome, data di nascita, giorno di rilascio, un codice identificativo univoco e informazioni sulla vaccinazione o l’esito di un test recente o sulla guarigione. I controlli nei paesi di destinazione serviranno esclusivamente per verificare l’autenticità del certificato, mentre non potranno essere conservate le informazioni personali. Queste ultime saranno mantenute solamente dal paese di origine nel quale è stato emesso il certificato.
La proposta formulata dalla Commissione dovrà essere valutata e poi eventualmente approvata dal Parlamento Europeo e dai singoli stati membri. Mentre proseguirà il processo di approvazione, che non dovrebbe incorrere in particolari ostacoli, la Commissione ha raccomandato ai governi dell’Unione di attivarsi per gestire i sistemi di emissione e di verifica dei certificati.
La Commissione si è inoltre impegnata a definire e sviluppare l’infrastruttura informatica per la gestione dei certificati entro l’estate. Per allora gli stati membri dovranno disporre eventuali modifiche ai loro sistemi per la gestione dei dati sanitari, in modo da renderli compatibili con la nuova soluzione.
Il progetto è piuttosto ambizioso e ci sono forti dubbi che possa essere pronto e pienamente funzionante per l’estate, considerato che rimangono poco più di tre mesi. I paesi del Nord Europa mantengono inoltre un certo scetticismo, visto che comunque ogni stato membro sarà libero di imporre o meno proprie limitazioni ai viaggi, mentre come era avvenuto a fine febbraio i paesi del Sud Europa chiedono che il piano sia portato avanti velocemente e senza perdite di tempo.
La Commissione vorrebbe evitare uno scenario in cui ogni paese decide per conto proprio, in mancanza di regole e sistemi comuni. Alcuni paesi, come l’Austria, hanno però mostrato una certa impazienza e sollevato la possibilità di agire in autonomia nello sviluppo dei certificati.
Non tutti sono inoltre convinti che comprendere nell’emissione dei certificati i guariti o i negativi ai test sia una buona idea. L’avvenuta vaccinazione è più semplice e immediata da certificare, rispetto per esempio a una guarigione, e renderebbe più rapida e chiara l’emissione dei certificati e la loro verifica. Altri ritengono che una soluzione di questo tipo sia discriminatoria nei confronti di chi sarà ancora in attesa di ricevere il vaccino, o di chi non potrà essere sottoposto alla vaccinazione a causa di altri problemi di salute.
A questi dubbi si aggiungono poi le incertezze sulla capacità dei vaccini di rendere meno contagiosi, e quindi di contribuire a ridurre la diffusione del coronavirus. I vaccini finora autorizzati hanno mostrato di avere un’alta efficacia nel proteggere contro le forme gravi di COVID-19, che rendono necessari ricoveri in ospedale e più alto il rischio di morire a causa della malattia, mentre sono ancora in corso le verifiche per comprendere se rendano meno contagiosi. Nei paesi dove si è vaccinato più velocemente, come Israele, stanno emergendo dati incoraggianti in tal senso, ma saranno necessari ulteriori approfondimenti per avere risposte affidabili.
Resta inoltre da capire quanto duri l’immunità acquisita tramite il vaccino oppure naturalmente, dopo avere contratto il coronavirus. Per questo diversi osservatori ritengono che i tempi non siano ancora maturi per certificati e passaporti di immunità, visto che gli studi sulla durata della protezione sono ancora in corso.
I funzionari della Commissione pensano che questi problemi potrebbero essere comunque superati, visto che il sistema proposto prevede una certa flessibilità e la possibilità di essere aggiornato, man mano che saranno disponibili nuove evidenze scientifiche. Le pressioni da parte del settore del turismo sono del resto molto alte e, con tempi così stretti, c’è il timore che si possa perdere un’opportunità per offrire qualche garanzia in più sui viaggi nell’Unione Europea.