Una canzone di Paolo Conte
Sul diffuso compiacimento del sentirsi trascurata, incompresa, abbandonata minoranza
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Siccome alla fine dell’anno saranno 25 anni dal secondo disco dei Counting Crows, Adam Duritz ha fatto A long december allo show televisivo di Jimmy Kimmel. Che è la loro canzone più bella di tutte, alla fine.
C’è il trailer di una docuserie sui Madness.
E il 21 maggio esce un disco nuovo dei Lambchop: ma una canzone c’è già, prelibata.
Sotto le stelle del jazz
C’erano diverse canzoni di Paolo Conte più esotiche di questa che mi tentavano, ma poi ho concluso che alcuni suoi versi memorabili e geniali non potevano essere sacrificati, e una canzone di stelle va bene per una newsletter di musica notturna.
Certi capivano il jazz
L’argenteria spariva
Non si meraviglino quei miei vecchi amici intellettuali di sinistra che hanno passato le loro esistenze a celebrare Paolo Conte come un dio, ma credo che nei radar di chi è nato dagli anni Novanta in poi Paolo Conte abbia la stessa frequenza di Bruckner, e quindi recupererò la voce da Playlist.
Paolo Conte ha sempre avuto una faccia matura e seria, un carattere riservato, e un vocione profondo. A nessuno veniva in mente che potesse fare il cantante nella frivola musica leggera italiana degli anni Sessanta. Quindi si limitava a scriverle, le canzoni: “Azzurro” per Celentano, “Insieme a te non ci sto più” per la Caselli, “Onda su onda” per Lauzi, “Messico e nuvole” per Jannacci. Poi, negli anni Settanta venne fuori che si poteva fare il “cantautore”, e darsi un tono da intellettuale: e lui era perfetto e unico. E unico e perfetto è poi rimasto, sottraendosi sempre con eleganza a ogni piedistallo.
Pochi capivano il jazz
Troppe cravatte sbagliate
Anche il titolo, di Sotto le stelle del jazz, è rimasto immortale, e usato e abusato per mille festival estivi e altre occasioni. Non è un pezzo “jazz”, o non proprio, ma un pezzo di compiacimento del sentirsi trascurata, incompresa, abbandonata minoranza: che a Conte capitava (Genova per noi, Onda su onda), così come è sempre capitato a certi miei amici intellettuali di sinistra, e ancora lì sono.
Nel tempo fatto di attimi
E settimane enigmistiche
E poi c’è questa storia, di cui mi scrisse la prima volta un lettore del mio blog, quindici anni fa.
Caro Sofri,
secondo me, in “Sotto le stelle del jazz” di Paolo Conte la frase “non si capisce il motivo” non è preceduta dalla congiunzione “e” e non va intesa nel senso che non si comprende la ragione per cui le donne odiavano il jazz. Per me è scritta tra virgolette: è una frase pronunciata dalle donne. Le donne odiavano il jazz perché, secondo loro, non si capiva il motivo, cioé la frase musicale, la melodia. Le donne odiavano il jazz: “non si capisce il motivo!”.
Poi magari non è così, però così è più divertente e più ve- lenosamente maschilista.
Un cordiale saluto
Francesco Caprioli
(ricevuta il 21 dicembre 2006)
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