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  • Mercoledì 17 marzo 2021

Il gesto per chiedere sostegno quando si subisce violenza

Si chiama "Signal For Help", è semplice, sicuro e silenzioso, ma richiede che chi lo interpreta sappia bene cosa fare e non fare

Quando i vari paesi del mondo cominciarono a introdurre le restrizioni per contenere il coronavirus, una fondazione canadese femminista che lavora contro la violenza domestica e di genere propose “Signal For Help”, un gesto della mano per segnalare in modo silenzioso un abuso e chiedere aiuto, anche in presenza dell’aggressore. Con le ulteriori chiusure decise nei mesi successivi, poi, “Signal For Help” si diffuse, iniziando a essere riconosciuto come un segnale internazionale anche grazie all’opera di divulgazione e spiegazione di molti movimenti, associazioni e giornali. C’è però una cosa fondamentale da tener presente: per affrontare la violenza sulle donne ci vuole sempre competenza. E non si può improvvisare.

I dati confermano che le restrizioni per contenere il coronavirus ebbero delle conseguenze sulla violenza domestica. Essere costrette a restare a casa e a condividere costantemente lo spazio con i propri aggressori creò circostanze tali da compromettere ulteriormente l’incolumità delle donne, rendendo anche più difficile chiedere aiuto: non solo perché con l’isolamento nelle case erano venute a mancare le relazioni sociali, cioè un fattore protettivo contro la violenza domestica, ma anche perché la costante presenza del partner rendeva impossibile per le vittime parlare liberamente al telefono.

A partire da questa consapevolezza, ad aprile del 2020 Canadian Women’s Foundation lanciò “Signal For Help”, un gesto che può aiutare le persone a comunicare silenziosamente che hanno bisogno di supporto. Il gesto consiste nel piegare verso il palmo della mano il pollice tenendo le altre quattro dita in alto e poi chiuderle a pugno.


Il segnale di aiuto non fa riferimento a parole, lettere o concetti della lingua dei segni e, spiega Canadian Women’s Foundation, i membri delle comunità di non udenti sono stati consultati prima del lancio della campagna stessa.

Esistono altri codici di auto-mutuo-aiuto contro la violenza domestica. Nel Regno Unito e in altri paesi è stato messo in atto un sistema contro le molestie nei bar: per segnalare un pericolo al personale, basta chiedere se Angela è presente (la campagna si chiama “Ask For Angela”); negli Stati Uniti è stato condiviso un codice simile. In Francia, dal 2015, è possibile disegnare un punto nero sul palmo della mano, mentre in Belgio e in Spagna, durante la pandemia, è stato creato un codice per chiedere sostegno in farmacia: basta chiedere una “mascherina 19” (in spagnolo “mascarilla 19”, in francese “masque 19”). “Signal For Help” ha però un vantaggio rispetto a questi ultimi due metodi: non lascia segni e non fa scattare automaticamente un protocollo.

– Leggi anche: Le app contro la violenza sulle donne

Canadian Women’s Foundation, così come i movimenti che stanno diffondendo il segnale che hanno esperienza di violenza di genere, sottolineano infatti l’importanza di capire le procedure che possono essere più efficaci e più utili per dare effettivamente un aiuto e proteggere la persona che quell’aiuto l’ha chiesto.

È importante, ad esempio, se non si hanno relazioni con la persona da cui si è ricevuto il segnale, chiamare i centri antiviolenza o i movimenti che si occupano di violenza di genere, per capire qual è il comportamento da assumere, quali le cose che si possono o non si possono fare, e quali sono le modalità che si possono attuare per entrare in contatto con la donna, senza esporla ad ulteriori situazioni di pericolo o di isolamento.

Per quanto riguarda l’Italia qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, attivo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno e accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri al 112 o la polizia al 113.

Se si hanno relazioni con le persone che chiedono aiuto, precisa Canadian Women’s Foundation, va innanzitutto capito di che cosa hanno bisogno e che cosa vogliono che si faccia. Un buon metodo è ad esempio contattarle e fare domande alle quali queste persone possano rispondere semplicemente con un “sì” o con un “no”, per ridurre il rischio nel caso qualcuno stia ascoltando. Per esempio: “Vuoi che chiami per te il centro antiviolenza?” e non “Che cosa vuoi che faccia?”. È anche possibile usare un’altra forma di comunicazione attraverso messaggi, chat social, e così via, ma cercando sempre di fare domande generiche per stabilire un contatto e ridurre il rischio nel caso in cui qualcuno monitori o controlli i vari dispositivi o account della persona coinvolta. Per esempio: “Come state?” “Mi contatti quando hai un momento?”.

In generale, come spiegano i movimenti femministi, non è possibile sostituirsi alla persona che subisce violenza per denunciare: deve essere la persona coinvolta a decidere se e come muoversi. Ed è fondamentale rispettarne i tempi, e non porsi in maniera giudicante o impositiva: qui alcuni suggerimenti molto concreti.