Come ascoltiamo i film
Siamo sempre meno esigenti sui suoni del cinema, e adesso tocca anche adattarsi alle casse dei nostri computer
In un anno in cui i cinema sono stati più chiusi che aperti, l’unicità dell’esperienza in sala probabilmente è diventata in una certa misura più evidente anche alle persone che prima non davano molto peso alla differenza tra uno schermo cinematografico e quello di un televisore o di un computer. Oltre alle dimensioni delle immagini, quando si parla della nostalgia dei cinema si citano solitamente aspetti come il buio della sala, la peculiarità di un’esperienza di visione condivisa e collettiva, magari anche i popcorn. Molto più di rado, invece, si pensa al suono del cinema.
I suoni di un film sono tante cose insieme: le musiche, i dialoghi e tutti gli altri rumori o effetti legati a quello che sta succedendo. Dietro a quello che sentiamo provenire dalle casse di una sala c’è un lungo percorso, che comincia con la registrazione o la creazione dei suoni e che prevede passaggi come l’editing, il montaggio e il mixaggio. Passaggi che corrispondono a tanti lavori diversi che, per decenni, agli Oscar sono stati premiati in due categorie diverse: l’Oscar per il miglior montaggio sonoro (“sound editing”) e l’Oscar per il miglior sonoro (“sound mixing”). In poche parole: uno per la scelta dei suoni che si sentono, e uno per come è stato scelto di farli sentire.
Da quest’anno i due Oscar saranno accorpati in un unico premio sonoro: secondo diversi esperti e osservatori, un altro piccolo ma significativo segnale di una sempre più frequente sottovalutazione del suono cinematografico. «È come se si combinassero i premi per la fotografia e la scenografia» ha scritto Variety «per fare un unico premio Oscar per le migliori immagini».
Di certo, però, il suono non è sottovalutato dai grandi registi. «Le nostre orecchie portano i nostri occhi verso dove vive la storia» dice Steven Spielberg nel documentario Making Waves, tutto dedicato al sonoro cinematografico. Un documentario in cui sia Francis Ford Coppola che George Lucas dicono che «il suono è mezzo film».
Molti spettatori, invece, spesso fanno caso al suono dei film solo in casi estremi: quando è davvero scarso o, magari per un doppiaggio fatto male, quasi straniante; oppure quando è potente o a tratti sorprendente, come in certi film d’azione o di fantascienza o, più spesso, in film di guerra come Dunkirk o 1917.
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Claudio Gabbiani, musicista, compositore e docente universitario di “musica per l’audiovisivo”, spiega che spesso si confonde la potenza con la qualità. In certi casi, dice, «diventa quasi obbligatorio e naturale che serva un suono pazzesco per salvare il film», come per colmarne certe lacune visive o narrative. «Quando è uscito il primo Transformers, che andai a vedere perché era la novità, uscii con un cerchio alla testa e con le orecchie basite, che fischiavano; che è quello che fanno quando sono sotto pressione, per proteggere i timpani».
Gabbiani – autore del libro Trame sonore. Musica, voce, rumori e silenzio nel cinema – cita anche un caso opposto, di sottovalutazione dell’importanza sonora: «quando andavo al cinema, in alcune sale mi arrabbiavo perché vedevo tutti i muri pieni di altoparlanti e poi il suono veniva solo dalle due casse frontali, una a destra e una a sinistra. Secondo me il 70 per cento dei film non usava il Dolby Surround». Le cose cambiano, secondo Gabbiani, quando sia il film che il cinema suonano nel modo giusto: per un paio d’ore «si poteva entrare in un luogo privilegiato, un mondo a parte che per spazio e per volume era incredibile».
Da diversi mesi, e probabilmente per diversi altri ancora, i film li vediamo invece a casa: su un televisore 8K da 100 pollici e un impianto stereo da decine di migliaia di euro in pochi fortunati casi, sullo schermo di uno smartphone o tablet in altri, con tutte le vie di mezzo a cui siamo abituati. Dal punto di vista tecnico e qualitativo, uno schermo domestico di alto livello può competere con quello di una piccola sala non molto al passo coi tempi, ed è così anche per il suono nei casi di impianti di un certo valore, che però sono meno diffusi nelle case.
Simone Corelli, fonico di mix, docente e coautore del recente libro Dialoghi, musica, effetti: il suono nell’audiovisivo, spiega che «il divario tra il migliore dei cinema possibili, per esempio una sala Energia dell’Arcadia di Melzo, e un ottimo impianto casalingo multicanale è piccolo, il che è un complimento per entrambi». Sia i migliori cinema sia i migliori impianti casalinghi sono molto migliorati rispetto a un paio di decenni fa. E lo stesso è successo per l’ascolto privato con cuffie e auricolari, che sono sempre più prestanti e a prezzi sempre più accessibili.
A essere cambiato in peggio, secondo Corelli, è però il modo in cui ascoltiamo i suoni: «il livello medio è peggiorato costantemente dagli anni Settanta in poi». Anche secondo Gabbiani, fatta eccezione per gli appassionati, «sono almeno 15 anni che è cambiato il modo di ascoltare il suono». Non è molto ottimista che le cose possano migliorare, e fa notare per esempio che «gli impianti home theatre stanno ormai sparendo, un po’ come quando arrivarono gli smartphone e sparirono le videocamere».
Secondo lui le soundbar – «gli apparecchietti che si mettono sotto il televisore» – vengono scelte per la comodità, ma «non hanno nulla a che vedere con l’effetto creato da due casse dietro, due davanti e un subwoofer sotto la tv». Anche Corelli è più o meno della stessa idea: «Oggi con circa 3mila euro si può ascoltare davvero molto bene, e un impianto hi-fi lo usi per tanti scopi e ti dura almeno vent’anni, o più» spiega. Ma anche tra chi potrebbe permetterselo, «a molti quella cifra sembra un’enormità».
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Corelli spiega che in molte case i film si potrebbero «sentire con una qualità anche superiore a quella di molti cinematografi» e che «più che la compressione dei dati o l’ascolto in formato stereo [cioè in due soli canali] anziché in multicanale [cioè in più canali], il collo di bottiglia è quasi sempre rappresentato da amplificazione e diffusione del suono». Anche chi ne ha la possibilità economica, e magari investe cifre paragonabili sulla grandezza e la qualità delle immagini, spesso sceglie di non spendere troppo per amplificare e diffondere meglio i suoni, dei film ma non solo.
A questo proposito Gabbiani fa l’esempio dei film scaricati illegalmente e che spesso, per questioni relative a come vengono registrati, sono «in alta definizione ma con audio terribile». L’assunto di base, dice Gabbiani, è che «non si può consegnare agli occhi un prodotto che non è al massimo della qualità, mentre con le orecchie c’è molto più margine». In ogni film, dice Gabbiani, «l’audio è sempre in qualche modo tagliato» e diminuito nella sua qualità. Aggiunge poi, tornando al caso di Transformers, che «si cerca quindi di salvarsi con il volume, sparando l’audio forte e potente nelle orecchie». Con un altro esempio, Gabbiani fa notare che «fra poco dovremo cambiare di nuovo le tv, ma si parla sempre di tecniche e parametri video, mai audio».
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Ma non è solo una questione di impianti cinematografici e domestici, o di cuffie. Premettendo di fare riferimento soprattutto all’Italia, Corelli dice infatti che «il problema è che anche se l’impianto è di alto livello, questo non significa che il prodotto che ascoltiamo lo sfrutti. Oggi quando si girano i film si corre come matti, spesso la presa diretta è fatta, per dirne una, con i radiomicrofoni posizionati tra i vestiti, e si gira spesso in luoghi dal vero, estremamente rumorosi, invece che in teatri di posa».
In termini più generali, e con riferimento alle grandi possibilità aperte dalla tecnologia Dolby Atmos, Corelli dice che «oggi la spazializzazione possibile con l’Atmos non ha senso se non si combinano le esigenze dell’immersività con quelle del racconto: si fa un suono spettacolare, da circo, che stanca e violenta l’udito».
Guardando al passato recente e al futuro prossimo delle produzioni cinematografiche, Corelli spiega che «si cerca di avere un occhio – anzi un orecchio – per le esigenze dello spettatore “non cinematografico”, visto che la maggior parte delle fruizioni avverrà fuori dal cinema. Chi ha grandi budget realizza in effetti una seconda versione più “addomesticata”, con meno dinamica e con qualche trucco che per esempio compensa la ridotta estensione sulle basse frequenze degli impianti domestici». Allo stesso modo, Corelli è convinto che «la convergenza tra cinema e televisione ha peggiorato il suono cinematografico, ma forse ha migliorato un poco quello “televisivo”», che in questi anni ha previsto «una sorta di music design talvolta anche molto interessante».
A volte, i dialoghi dei film contemporanei «sono più brutti di quelli dei film di Totò» dice Corelli, ma è anche una questione di scelte. Tenet ad esempio era un film acusticamente potente, ma è stato criticato da molte parti perché “difficile da sentire” e con dialoghi non sempre comprensibili. Corelli dice che al regista Christopher Nolan «la comprensibilità del parlato interessa fino a un certo punto»: come sostiene anche l’autorevole fonico di mix Randy Thom, «il mantra secondo cui ogni-parola-di-ogni-dialogo-di-ogni-film deve essere capita è vecchio e noioso, e forse c’è solo da guadagnare dal fatto che qualche film si rifiuti di inchinarsi al cospetto del dio dell’intelligibilità».
Nel futuro a medio e lungo termine secondo Gabbiani è più facile immaginarsi progressi nel video che nell’audio cinematografico: «Mi viene facile ipotizzare sale che trasmettano un film quasi con gli ologrammi, in cui io sono dentro a un film che gira intorno a me. Sull’audio invece siamo legati alle possibilità tecniche: il suono va sempre mandato fuori in qualche maniera dagli altoparlanti, e si può solo migliorare la tecnica e la qualità di trasmissione del suono».
Corelli va ancora oltre e dice di immaginarsi – nei cinema ma non solo lì – «visori HMD [cioè con “schermi montati sulla testa] comodi e di alta qualità ottica e quindi “schermi” ampi, e con suono binaurale», registrato cioè con tecniche e accorgimenti specifici per un particolare tipo di ascolto in cuffia.
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Nel frattempo, nella sua casa Corelli ha «un paio di diffusori Vrel Bequadro, prodotti in Italia, e un sistema di amplificazione ibrido a valvole progettato da un amico. Il suono è pazzesco e difficilmente sento la mancanza del cinema. Per l’immagine sono molto meno esigente» confessa «ma prima o poi un bello schermo 4K me lo compro».
Per chi voglia provare a migliorare un po’ le cose per il proprio audio domestico dice che «è meglio un ottimo impianto stereo che piazzare tanti diffusori economici» e come consiglio finale aggiunge: «alzate il volume e, se sentite male, compratevi un buon impianto, o un paio di cuffie comode».