La prima volta in cui le donne votarono in Italia, 75 anni fa
Fu per le elezioni amministrative del 10 marzo 1946 e non per il referendum del 2 giugno, come pensano in molti
Il 10 marzo del 1946, 75 anni fa, le donne italiane poterono per la prima volta votare e essere votate nel corso di un’elezione. A differenza di quanto si pensi, il suffragio femminile in Italia non iniziò infatti con il referendum del 2 giugno 1946 per scegliere tra Repubblica e Monarchia, svolto in contemporanea alle elezioni per scegliere i membri dell’Assemblea Costituente, bensì alcuni mesi prima in occasione delle elezioni amministrative.
Quelle furono le prime elezioni in Italia dalla fine della Seconda guerra mondiale: si votò in 5.722 comuni in cinque tornate, dal 10 marzo al 7 aprile, e in altri 1.383 comuni in otto tornate in autunno, per rinnovare le amministrazioni comunali di tutti i capoluoghi di provincia (tranne Bolzano e Gorizia, dove si votò nel 1948), un tempo governati dai fascisti.
La prima richiesta per il suffragio femminile fu della Commissione per il voto alle donne dell’UDI, l’Unione donne italiane, nata per iniziativa di alcune esponenti del movimento antifascista: fu sostenuta dalle rappresentanze dei centri femminili dei vari partiti e dal Comitato nazionale pro-voto nel quale confluirono le principali organizzazioni.
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Il 30 gennaio del 1945 con l’Europa ancora in guerra e il nord Italia sotto l’occupazione tedesca, durante una riunione del Consiglio dei ministri si discusse del suffragio femminile che venne sbrigativamente approvato come qualcosa di ovvio o, a quel punto, di inevitabile. Il decreto, firmato dal Luogotenente generale del Regno d’Italia, Umberto II di Savoia, entrò in vigore il 2 febbraio: potevano votare le donne con più di 21 anni ad eccezione delle prostitute che esercitavano «il meretricio fuori dei locali autorizzati».
Nel decreto venne però dimenticato un particolare non da poco: l’eleggibilità delle donne, che venne stabilita con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo del 1946. Il decreto stabilì sia il sistema elettorale delle prime elezioni amministrative postbelliche sia che le donne con almeno 18 anni di età potevano eleggere e quelle con almeno 25 anni potevano essere elette. Restò invece il divieto per le prostitute di partecipare alle elezioni.
Le donne risposero in massa, e l’affluenza generale superò l’89 per cento. Circa 2 mila candidate vennero elette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra. Vennero anche elette le prime sindache della storia d’Italia: Margherita Sanna a Orune, in provincia di Nuoro; Ninetta Bartoli a Borutta, in provincia di Sassari; Ada Natali, a Massa Fermana, in provincia di Fermo; Ottavia Fontana a Veronella, in provincia di Verona; Elena Tosetti a Fanano, in provincia di Modena; Lydia Toraldo Serra a Tropea, all’epoca in provincia di Catanzaro.
La stessa grande partecipazione ci fu in seguito anche per il referendum del 2 giugno, in cui italiane e italiani scelsero la forma istituzionale dello Stato, la Repubblica.
Le elette all’Assemblea Costituente (su 226 candidate) furono 21 pari al 3,7 per cento: 9 della Democrazia cristiana, 9 del Partito comunista, 2 del Partito socialista e una dell’Uomo qualunque. Cinque deputate entrarono poi a far parte della “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea di scrivere la nuova proposta di Costituzione. Alla socialista Merlin si deve la specifica della parità di genere inserita all’articolo 3.