L’approccio di Draghi alla campagna sui vaccini

Si cominciano a vedere alcuni cambiamenti rilevanti, dalla decisione di bloccare le esportazioni, alle nomine, fino alla logistica

Il presidente del Consiglio Mario Draghi (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)
Il presidente del Consiglio Mario Draghi (LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili)

Il presidente del Consiglio Mario Draghi, al governo da meno di un mese, sta cambiando in maniera consistente l’approccio dell’Italia alla campagna di vaccinazioni contro il coronavirus: ha preso alcune decisioni di notevole impatto internazionale, ha cambiato quasi per intero i vertici del team che si occupa della campagna vaccinale e sta lavorando a una riconfigurazione piuttosto estesa del piano per le somministrazioni dei vaccini. Come ha scritto il Financial Times, Draghi sta cominciando a «lasciare il segno» sulla questione.

L’approccio di Draghi è stato definito “pragmatico” da molti osservatori: l’idea di base è quella di usare tutte le risorse a disposizione per massimizzare la somministrazione di nuove dosi, e al tempo stesso di usare maggiore fermezza a livello internazionale. Per ora l’Italia, in termini di vaccinazioni fatte in rapporto alla popolazione, è poco sotto alla media dell’Unione Europea.

La decisione sicuramente più discussa, che tuttavia Draghi non ha commentato di persona, è stata presa la settimana scorsa, quando l’Italia ha bloccato l’esportazione di circa 250 mila dosi del vaccino di AstraZeneca destinate all’Australia. La decisione è stata in un certo senso una sorpresa soprattutto per la sua rapidità: l’Italia è stata il primo paese dell’Unione Europea a usare il meccanismo legale approvato a fine gennaio che consente il blocco delle esportazioni, e questo atto piuttosto deciso da parte di Draghi ha creato un certo scompiglio a livello internazionale: altri governi dell’Unione stanno pensando di attivare nuovi loro blocchi delle esportazioni, mentre alcuni paesi si sono preoccupati e hanno indicato il blocco come un brutto precedente (si è allarmato soprattutto il Regno Unito; il governo dell’Australia, dove le conseguenze della pandemia sono state molto meno gravi, è stato paradossalmente più comprensivo).

Il blocco delle esportazioni, comunque, è stato messo in atto con l’approvazione e il sostegno dell’Unione Europea, anche se alcuni esponenti politici l’hanno definito come un atto di “sovranismo vaccinale”.

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Per potenziare il piano vaccinale italiano, Draghi finora si è mosso in due direzioni: ha rinnovato completamente i vertici degli organismi che gestiscono la campagna e sta cercando, per quanto possibile, di centralizzare le operazioni di somministrazione, che sono in gran parte gestite dalle Regioni, con risultati non sempre soddisfacenti.

Le due figure principali del nuovo piano sono Francesco Paolo Figliuolo, il commissario straordinario all’emergenza che ha sostituito Domenico Arcuri, e Fabrizio Curcio, il nuovo capo della Protezione civile, entrambi nominati tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo.

Figliuolo e Curcio stanno ancora completando il passaggio di consegne e hanno partecipato alle prime riunioni con il governo, i ministri e i rappresentanti delle Regioni soltanto alla fine della settimana scorsa. Figliuolo, che è un militare esperto di logistica, dovrebbe occuparsi soprattutto di potenziare la distribuzione delle dosi, migliorando in particolare la distribuzione nell’“ultimo miglio”, termine con cui si intende la consegna al fruitore ultimo di un prodotto (in questo caso il cittadino che deve vaccinarsi).

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Secondo quanto riportato dai giornali italiani, uno degli obiettivi sarebbe quello di riconfigurare parte dei “drive through” attualmente usati per i test in luoghi per la somministrazione dei vaccini. I “drive through” attivi sono attualmente 143 ma la Difesa, che li gestisce, dovrebbe arrivare ad aprirne 200. Per ora soltanto una di queste strutture è utilizzata per la campagna vaccinale: quella della caserma Loris Annibaldi, nella periferia ovest di Milano, dove sono già in corso le vaccinazioni. Si parla (ma si tratta per ora di ipotesi non confermate) di convertire in centri per la vaccinazione ulteriori strutture come le caserme e le palestre, e perfino di avviare campagne vaccinali all’interno delle aziende.

Domenica, parlando alla trasmissione “Mezz’ora in più” su Rai3, il ministro della Salute Roberto Speranza ha detto che entro la fine dell’estate tutti gli italiani che lo vorranno potranno essere vaccinati. Non è chiaro per ora quale sia l’obiettivo giornaliero di dosi somministrate: Giovanni Rezza, direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute, ha detto qualche giorno fa che bisognerebbe poter arrivare a vaccinare almeno 300 mila persone al giorno. Altre stime pubblicate dai giornali parlano del doppio.

Il governo ha inoltre annunciato importanti investimenti per favorire la produzione di vaccini contro il coronavirus sul territorio nazionale. Il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato che in un prossimo decreto saranno stanziati «4–500 milioni di euro» per la creazione di un polo italiano che si occupi della produzione di vaccini e di biotecnologie. Gli sforzi per la produzione di vaccini in Italia, che riguardano anche l’utilizzo di imprese esistenti, sono comunque di medio-lungo periodo. L’operazione di trasferimento tecnologico è tecnicamente complessa, e potrebbero volerci non meno di sei mesi prima di poter ottenere qualche risultato.

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