La riconciliazione tra cristiani e non cristiani in Iraq è sempre più difficile
Come dimostra la storia della cittadina di Bartella, che si trova in una delle province irachene che saranno visitate dal Papa
Una delle tappe più importanti e attese del viaggio di Papa Francesco in Iraq sarà la piana di Ninive, un’area geografica a nord del paese attorno alla città di Mosul. Secondo la tradizione, nella piana ha sede una delle comunità cristiane più antiche del mondo, attaccata e costretta alla fuga nel 2014 dopo la conquista della regione da parte dello Stato Islamico. In tutto l’Iraq, i cristiani sono una minoranza discriminata e perseguitata da decenni, ma i tentativi di proteggere le loro comunità fatti negli ultimi anni sono resi complicati dalla situazione sul territorio, dove rivalità di tipo etnico e religioso e altri fattori, come per esempio la demografia, rendono particolarmente difficile la riconciliazione tra le popolazioni.
Il New York Times ha descritto queste difficoltà prendendo come esempio la cittadina di Bartella, un antico insediamento cristiano nella piana di Ninive dove però i cristiani rimasti sono soltanto 3.000 su una popolazione di 18.000. A Bartella, il governo centrale ha concesso alle autorità ecclesiastiche locali ampi poteri per cercare di preservare l’identità cristiana della cittadina. Questo ha creato però notevoli problemi, perché Bartella è sede di un’altra minoranza discriminata, quella degli shabak, un gruppo etnico con una propria lingua che, al pari dei cristiani, è discriminato e fu perseguitato dallo Stato Islamico durante la conquista. I privilegi concessi ai cristiani dal governo hanno reso i rapporti molto tesi, perché gli shabak ora sostengono di essere vittime di una doppia discriminazione.
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Nella cittadina di Bartella la presenza cristiana è vecchia di secoli: alcune delle chiese sono state costruite oltre 800 anni fa, e la presenza cristiana è costante da almeno un millennio. Ma Bartella è anche uno dei luoghi storici di insediamento dell’etnia shabak, che ufficialmente è musulmana sciita, anche se il credo si discosta leggermente dall’ortodossia sciita. Durante l’invasione dello Stato Islamico, che invece è sunnita e molto ortodosso, gli shabak furono perseguitati e costretti alla fuga al pari dei cristiani. Furono però proprio gli shabak, riuniti in una milizia armata, a liberare la cittadina dal gruppo terroristico, un paio di anni dopo.
Questo spiega in parte perché, a Bartella, la maggior parte dei cristiani non è tornata dopo la liberazione. Come ha scritto l’Economist, in altre aree liberate da milizie cristiane, come le Unità di protezione della piana di Ninive, i cristiani che sono tornati a insediarsi nelle loro vecchie case sono stati molti di più.
A Bartella, invece, la maggior parte della popolazione oggi è shabak. Proprio per questa ragione, il governo centrale ha concesso alla chiesa locale un privilegio speciale: quello di avere potere decisionale sullo sviluppo edilizio della città. In pratica, le autorità ecclesiastiche di Bartella possono dare un parere vincolante sulla costruzione di nuove case e di nuovi edifici, e sulla concessione e la vendita di terreni per nuovi progetti immobiliari. Lo stesso potere è stato dato alle autorità ecclesiastiche di un’altra cittadina, Qaraqosh, che il Papa visiterà domenica.
A Bartella gli shabak accusano le autorità ecclesiastiche di usare questo potere per discriminarli. Uno degli esempi più notevoli è il veto posto lo scorso novembre alla costruzione di un grande centro commerciale alla periferia della città, che prevedeva la costruzione di centri sportivi e di nuove case. «Il progetto è stato bloccato dalla chiesa», ha detto al New York Times Banham Lalo, un prete cattolico di Bertella. «Persone da altre aree, da Mosul e da Baghdad, avrebbero comprato quelle case. Avrebbe aperto la strada a un cambiamento demografico».
La questione demografica è uno dei problemi principali, perché gli shabak praticano la poligamia e sono molto prolifici, al contrario dei cristiani. Ali Iskander, che ricopre di fatto la carica di sindaco della città, ha tre mogli e 16 figli e sostiene che molti maschi adulti shabak abbiano tra i 15 e i 20 figli. Le coppie cristiane di solito hanno uno o due figli. Iskander sostiene che la chiesa non gli conceda il permesso di comprare un terreno per costruire una casa per la sua famiglia. Accusa anche le autorità ecclesiastiche di impedire ad alcune donne shabak di partorire in un ospedale della città, per evitare che ai neonati venga assegnata la cittadinanza di Bartella.
I cristiani, d’altro canto, accusano gli shabak di minacciare la loro cultura: «Il problema principale sono i funzionari shabak, vogliono cambiare l’identità di Bartella», ha detto al New York Times Yacoub Saadi, un prete ortodosso.
La situazione di Bartella, in cui due minoranze si trovano a convivere nello stesso territorio, è per molti versi peculiare, ma esemplifica le difficoltà di convivenza e riconciliazione in un’area in cui la breve conquista dello Stato Islamico ha sconvolto tutti gli equilibri.
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In Iraq i cristiani rimangono discriminati: prima dell’invasione degli Stati Uniti nel 2003, nel paese vivevano fra 1,3 e 1,5 milioni di cristiani: dopo le fasi più cruente della guerra e le successive persecuzioni compiute dallo Stato Islamico, si stima che ne siano rimasti meno di 250mila, molti dei quali si ritengono a rischio e stanno valutando se emigrare come fatto negli anni scorsi da decine di migliaia di altri cristiani.
Per i cristiani in Iraq è più difficile trovare lavoro nell’amministrazione statale, i matrimoni tra cristiani e musulmani non sono vietati ma sono malvisti, e i bambini nati da unioni miste sono automaticamente classificati come musulmani. A Baghdad, la capitale, i negozi gestiti da cristiani sono spesso oggetto di attacchi e vandalismo.
Il governo ha fatto alcuni tentativi di venire incontro alla comunità cristiana, per esempio l’anno scorso ha dichiarato il Natale come festa nazionale. I poteri concessi alle autorità ecclesiastiche a Bartella sono un altro esempio. Nessuna di queste misure, tuttavia, è sufficiente per avviare politiche di riconciliazione efficaci.