La fusione che potrebbe cambiare l’editoria americana
È quella tra Penguin Random House e Simon & Schuster, che preoccupa autori e librai ed è in attesa dell'autorizzazione
Nei prossimi mesi l’editoria americana, ma in parte anche quella mondiale, potrebbe essere rimodellata: entro l’anno infatti l’antitrust statunitense dovrà decidere se approvare, ed eventualmente a quali condizioni, la fusione tra i due grossi editori Penguin Random House e Simon & Schuster. L’accordo era stato annunciato a novembre, quando ViacomCBS – multinazionale statunitense che si occupa di cinema, tv e intrattenimento digitale – aveva accettato di vendere Simon & Schuster per 2,1 miliardi di dollari al gruppo tedesco Bertelsmann, che controlla Penguin Random House.
Penguin Random House e Simon & Schuster sono rispettivamente il primo e il terzo gruppo editoriale del mercato americano dei libri “trade”, cioè quelli che si occupano di intrattenimento (sono esclusi quindi i testi tecnici e scolastici) e l’acquisizione li porterebbe a controllare una grande fetta del settore editoriale, per questo deve essere vagliata dall’antitrust. Inoltre fanno parte dei cosiddetti Big Five dell’editoria mondiale, i 5 gruppi editoriali più rilevanti al mondo: oltre a loro, sono la statunitense HarperCollins, che fa parte di News Corp di Rupert Murdoch, la britannica Macmillan e la francese Hachette.
Il New York Times scrive che, se approvato, l’accordo potrebbe avere conseguenze su ogni aspetto del settore editoriale: i ricavi degli scrittori, le priorità di stampa dei libri e anche i conti delle librerie indipendenti. Gli esperti del settore ricordano comunque che la Federal Trade Commission, l’agenzia che avrà il compito di valutare l’accordo, considererà soprattutto quanta parte del mercato sarà controllata dal nuovo gruppo: il suo compito infatti è fare gli interessi dei consumatori e non di scrittori e librai.
Secondo Penguin Random House, le due aziende genereranno insieme meno del 20 per cento dei ricavi totali dell’editoria americana. Stando a NPD BookScan, che tiene traccia delle copie di libri di carta vendute dalla maggior parte dei rivenditori, i due editori hanno stampato il 28 per cento di tutti i libri venduti nel 2020 negli Stati Uniti; la percentuale sale al 38 per cento se si considerano anche quelli dei loro imprint, cioè gli altri marchi editoriali che controllano. La Authors Guild, un’associazione di categoria degli scrittori, prevede che Bertelsmann finirà per controllare il 70 per cento del mercato della narrativa americana, il 70 per cento dei generi di azione, avventura, horror, analisi politica, libri erotici e il 60 per cento dei memoir.
I timori principali sono due: il livellamento della competitività tra gli editori, che potrebbe portare a una diminuzione dei ricavi degli autori, e l’impoverimento dell’offerta editoriale.
I diritti di pubblicazione di un libro vengono infatti comprati attraverso le cosiddette aste editoriali: ogni editore interessato fa un’offerta all’agente letterario, cioè il rappresentante dell’autore. Se ci sono più editori interessati, il costo di vendita salirà, se sono di meno si ridurranno i ricavi dello scrittore. La politica di Penguin Random House consente ai suoi imprint di competere per i diritti di uno stesso libro, a patto che partecipi alla gara anche un editore terzo; se viene a mancare, lo scrittore può scegliere di uscire con il suo marchio preferito del gruppo. Per ora l’azienda ha confermato che la competizione sarà valida anche per Simon & Schuster, ma non ha spiegato se sarà considerato un editore terzo o appartenente al gruppo.
Comunque sia, agenti e scrittori temono che la riduzione del numero degli editori farà abbassare i prezzi. Ne è convinta per esempio la Authors Guild, che ha spiegato la sua opposizione all’accordo dicendo che «porterà a un livellamento e alla riduzione dei costi sugli autori e aumenterà la concentrazione di potere ai danni dei distributori indipendenti», danneggiando la varietà e la qualità dei libri pubblicati.
L’altra preoccupazione, infatti, è che i grandi editori cerchino sempre di più di accaparrarsi prevalentemente i potenziali bestseller, cioè i libri che venderanno più copie, a svantaggio degli autori medi e minori, una tendenza in atto da tempo. Come ha spiegato un agente letterario al New York Times, «titoli che qualche anno fa avrebbero venduto per 150mila dollari, oggi non verrebbero comprati dai Big Five, mentre un libro che avrebbe ottenuto 500mila dollari ora ne potrebbe ottenere un milione».
Infine, i librai indipendenti temono di avere meno possibilità di negoziazione, confrontandosi con meno editori: a volte infatti quando si ottiene un’offerta conveniente o una promozione da un editore, è più facile ottenerla anche da un altro. Se gli editori sono pochi e compatti, è più difficile.
Non si conoscono molto i dettagli dell’acquisizione: se ci saranno tagli al personale, se gli imprint saranno accorpati, se il gruppo farà pesare la propria importanza per ottenere la priorità nelle operazioni di stampa (a novembre Bertelsmann aveva comprato due dei più grossi stampatori del paese). Si sa invece che Jonathan Karp e Dennis Eulau continueranno ad avere le cariche di amministratore delegato e direttore finanziario di Simon & Schuster. Nihar Malaviya, direttore delle operazioni di Penguin Random House, ha cercato di rassicurare il mercato portando a modello il successo del gruppo, nato a sua volta dalla fusione di due case editrici nel 2013, la britannica Penguin e l’americana Random House: da allora non ci sono stati tagli al personale statunitense né chiusure di imprint.
Alcuni esperti fanno notare che un gruppo editoriale più grosso potrebbe ottenere condizioni di vendita più favorevoli dai grandi rivenditori, come la catena Barnes & Noble e soprattutto Amazon, che secondo molti è l’operatore principale a cui guardare quando si parla di crisi del mondo editoriale. Controlla infatti il 49 per cento delle vendite di libri negli Stati Uniti. Altri temono che gli eventuali vantaggi riguarderanno comunque solo i grossi editori, danneggiando ancora di più i piccoli e gli indipendenti. Il sito letterario LitHub scrive infine che è un bene che Simon & Schuster sia comprato da un altro grande editore: ViacomCBS è interessato al settore dei film e delle serie tv in streaming e il mercato dei libri non è previsto nella sua strategia di crescita. Probabilmente Penguin Random House è anche il migliore acquirente: appartenendo a Murdoch, magnate noto per i suoi media di destra, Harper Collins sarebbe stato malvisto ad alcuni storici autori di Simon & Schuster, come Stephen King.
Penguin Random House è nato nel 2013: il 75 per cento del gruppo appartiene a Bertelsmann, il restante 25 al gruppo britannico Pearson, che controlla molte case editrici di testi scolastici e scientifici, tra cui Bruno Mondadori. Pubblica 15mila titoli ogni anno e le classifiche dei libri più vendute sono zeppe di sue uscite: nel 2019 erano suoi il 39,7 per cento dei libri rilegati finiti tra i best seller della classifica del sito Publisher Weekly e il 27,8 per cento di quelli in brossura. Nel 2017 aveva avuto ricavi per 3,3 miliardi di euro.
Simon & Schuster pubblica più di 2.400 titoli all’anno e, sempre nel 2019, metà dei libri rilegati della già citata classifica erano suoi, mentre quelli in brossura rappresentavano un terzo del totale. Tra i suoi autori storici ci sono Stephen King, Don DeLillo, Bob Woodward; ha un catalogo di 30mila titoli, con autori come Ernest Hemingway, F. Scott Fitzgerald, Henry James e Edith Wharton. Il 2020, nonostante le difficoltà del mondo editoriale, è andato molto bene: a settembre i ricavi erano arrivati a 649 milioni di dollari dall’inizio dell’anno, l’8 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019.