Dimitris Koufodinas rischia di morire facendo lo sciopero della fame
L'ex terrorista greco protesta per le condizioni di detenzione decise dal governo, accusato di portare avanti una «vendetta personale»
Dimitris Koufodinas, ex terrorista greco e leader del gruppo armato di estrema sinistra “17 Novembre”, «è tra la vita e la morte» secondo la sua avvocata Ioanna Kourtovik. Koufodinas è in sciopero della fame da cinquantasei giorni per protestare contro il trasferimento in un carcere sperduto e difficilmente raggiungibile dalla sua famiglia. Da quindici giorni si trova nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Lamia, nella Grecia centrale, e rischia di diventare il primo detenuto politico europeo a morire a seguito di uno sciopero della fame dal 1981, quando Bobby Sands e altri militanti morirono in carcere durante il governo di Margaret Thatcher.
Da giorni ci sono manifestazioni di sostegno verso Koufodinas contro quella che viene definita una «vendetta» nei suoi confronti da parte della destra al governo. Le proteste, che si stanno svolgendo in tutto il paese, sono seguite da regolari arresti e violenze della polizia.
Koufodinas ha 63 anni e nel 2002 si consegnò spontaneamente alla polizia mettendo implicitamente fine all’organizzazione terroristica “17 Novembre”, che tra il 1975 e il 2000 aveva ucciso 23 persone. Il gruppo nacque come prosecuzione ideale dei movimenti del 1973, durante i quali gli studenti di Atene manifestarono e scioperarono contro la Giunta, la dittatura militare cosiddetta “dei colonnelli” che governò la Grecia tra il 1967 e il 1974. Il nome del gruppo faceva riferimento alla notte del 17 novembre 1973, quando il regime mandò un carro armato contro i cancelli del Politecnico di Atene per fare irruzione: più di 20 persone furono uccise e centinaia furono ferite.
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L’organizzazione “17 Novembre” si definiva un gruppo rivoluzionario marxista e anticapitalista, schierato contro le basi americane in Grecia, gli Stati Uniti (che avevano contribuito a portare i militari al potere nel 1967), contro la Turchia per la sua presenza militare a Cipro del Nord, e contro la NATO. La prima persona uccisa dal gruppo fu il capo della sezione greca della CIA Richard Welch, nel 1975.
Koufodinas sta scontando undici ergastoli per i crimini commessi e per l’omicidio di altrettante persone. Tra loro c’era anche Pavlos Bakoyannis: era un deputato di Nuova Democrazia, il partito di destra oggi al governo del paese, ma era anche cognato dell’attuale primo ministro Kyriakos Mitsotakis, marito di sua sorella Dora Bakoyannis, ex sindaca di Atene ed ex ministra degli Esteri, e padre dell’attuale sindaco di Atene, Costas Bakoyannis.
Nel 2018, quando al governo c’era la coalizione di sinistra guidata da SYRIZA e Alexis Tsipras, Koufodinas – che non ha mai espresso pentimento per le proprie azioni con la “17 Novembre” – venne trasferito (per “condotta esemplare”) dal carcere di massima sicurezza di Korydallos, vicino ad Atene, a una struttura agricola nelle campagne vicino a Volos, nella Grecia centrale. Si trattava di un centro di detenzione che impegnava le persone detenute nella raccolta della frutta e nel lavoro all’aperto. La scelta era stata al tempo molto contestata dalle opposizioni di destra, anche se il trasferimento non comportava né un trattamento speciale, né una riduzione della pena o una maggiore libertà, e anche se in Grecia molti condannati a ergastoli erano di fatto già detenuti nelle «carceri agricole».
Nel dicembre del 2020, il governo di Mitsotakis aveva approvato una legge che negava ai condannati per terrorismo una serie di diritti riconosciuti alle altre persone detenute, come brevi permessi premio e la possibilità di scontare la pena lavorando nelle carceri agricole. Nel 2020 Koufodinas era stato dunque trasferito in una prigione di massima sicurezza a Domokos, nella periferia della Grecia centrale, tra le montagne. Un carcere che, come ha scritto il giornalista di origine greca Dimitri Deliolanes sul Manifesto, non è solo difficilmente raggiungibile dalla moglie e dal figlio di Koufodinas, ma è «anche noto per il sovraffollamento e le pessime condizioni di detenzione».
Lo scorso 8 gennaio, Koufodinas aveva iniziato uno sciopero della fame chiedendo un nuovo trasferimento alla prigione di Korydallos, dove era stato originariamente incarcerato e dove aveva già scontato gran parte della pena. Da qualche giorno ha smesso anche di bere, ma il governo di Mitsotakis si è dimostrato irremovibile. «Koufodinas chiede un trattamento privilegiato» ha detto la portavoce del governo Aristotelia Peloni, «ma lo stato non negozia con i detenuti e non rinuncerà al proprio diritto sovrano di decidere come trattenerli. (Lui) ha la capacità di porre fine allo sciopero della fame ed esercitare le opzioni legali a sua disposizione».
Per l’avvocata Kourtovik la decisione presa dal governo sul suo cliente è invece del tutto irregolare e illegale: «È evidente che si tratta di un’azione di natura vendicativa. Sicuramente il premier ha in mente un’azione esemplare nel nome della sua dinastia politica, ma dietro vi è anche una strategia da legge e ordine che ha scatenato dinamiche da guerra civile: distruggere il nemico o renderlo inoffensivo, per affermare la potenza dello schieramento conservatore e soffocare qualsiasi voce di protesta». Mercoledì Kourtovik ha annunciato che presenterà una richiesta al Tribunale di Lamia per la sospensione della pena di Koufodinas, citando la sua salute precaria e sostenendo che lo Stato abbia assunto un «atteggiamento bellicoso» nei suoi confronti.
Nel frattempo alcuni esponenti del governo, le organizzazioni per i diritti umani, l’unione dei giudici progressisti greci, l’ordine degli avvocati e molti altri e altre hanno scritto lettere e firmato petizioni per chiedere che i diritti di Koufodinas vengano rispettati. Il leader dell’opposizione di sinistra ed ex primo ministro Alexis Tsipras ha chiesto al governo di «cambiare posizione»: «In uno stato di diritto, la vita umana è un bene supremo, anche se è quella di un condannato». «Koufodinas è un criminale ed è stato processato (…). Ma, se lo lasciano morire, sembrerà una vendetta», ha detto a una radio greca il regista Costa-Gavras. Altre associazioni hanno parlato del rischio di «un’esecuzione per vendetta familiare».
Movimenti e militanti di sinistra stanno poi organizzando da diversi giorni delle manifestazioni di protesta a cui hanno partecipato migliaia di persone, con repressioni violente da parte della polizia. La scorsa settimana, sette giornalisti e fotografi sono stati feriti dalle forze dell’ordine. Diversi avvocati, accademici e giornalisti hanno poi denunciato il fatto che i loro account Facebook siano stati sospesi o bloccati dopo la pubblicazione di fotografie delle manifestazioni per Koufodinas o di messaggi in suo sostegno.
Κάθε ώρα που περνάει είναι κρίσιμη για τη ζωή του Δημήτρη Κουφοντίνα – Χιλιάδες άνθρωποι στους δρόμους της Αθήνας αυτή την ώρα ζητώντας να υλοποιηθεί άμεσα το δίκαιο αίτημα του απεργού πείνας η ζωή του οποίου βρίσκεται σε οριακό σημείο pic.twitter.com/CAiLwzcn6Y
— ThePressProject (@ThePressProject) February 27, 2021
Intervistato da Le Monde, Manos Papazoglou, professore di scienze politiche all’Università del Peloponneso, ha detto che in un paese ancora profondamente segnato dalla guerra civile (1945-1949) e dalla dittatura (1967-1974) «la gestione di questa vicenda da parte delle autorità è stata divisiva e ha accentuato gli antagonismi tra destra e sinistra. Il governo ha dato l’impressione di promuovere una giustizia punitiva in cui vengono approvate leggi carcerarie per colpire persone specifiche».
Papazoglou teme anche che esplodano delle rivolte se Koufodinas dovesse morire: «Un gran numero di cittadini risente delle misure restrittive imposte per combattere l’epidemia, e che comprendono anche il divieto di manifestare. Sommato alla repressione della polizia, e all’approvazione di una legge per l’istituzione di una forza di polizia nelle università (che ha annullato nel paese il cosiddetto “diritto di asilo universitario”, ndr), il tutto costituisce un cocktail esplosivo. Koufodinas non dovrebbe diventare un martire e Atene non dovrebbe prendere fuoco come nel 2008, dopo l’omicidio di un adolescente da parte di un poliziotto».