Lo Sputnik V inizia a piacere
Accolto all'inizio con scetticismo in Occidente, il vaccino sviluppato in Russia è sempre più richiesto, ma per ora non è autorizzato nell'Unione Europea
Nel fine settimana, il primo ministro della Repubblica Ceca Andrej Babis ha detto di considerare la possibilità di ricorrere al vaccino Sputnik V, sviluppato e prodotto in Russia, per accelerare la campagna vaccinale e contrastare un nuovo preoccupante aumento dei casi positivi al coronavirus nel paese. Diversi altri paesi nelle ultime settimane hanno fatto dichiarazioni simili, o altri come l’Ungheria e San Marino hanno iniziato a utilizzare Sputnik V, segno di un crescente interesse verso un vaccino che fino a poco tempo fa non aveva ricevuto particolari attenzioni, soprattutto in Occidente, dove le notizie sul suo sviluppo erano state accolte con qualche dubbio e scetticismo.
La considerazione nei confronti di Sputnik V era iniziata ad aumentare a febbraio, quando la rivista medica Lancet aveva pubblicato i risultati dei test clinici sul vaccino, seppure in forma ancora preliminare. I test avevano portato a stimare un’efficacia del 91,6 per cento nel prevenire la COVID-19, con una percentuale lievemente superiore negli individui con almeno 60 anni di età.
A differenza dei vaccini a mRNA come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna, Sputnik V utilizza due tipi di virus ritenuti poco aggressivi (adenovirus), modificati in modo da trasportare le istruzioni per produrre la proteina che il coronavirus sfrutta per legarsi alle cellule e replicarsi. In questo modo, il sistema immunitario impara a riconoscere la proteina senza entrare in contatto con il coronavirus vero e proprio, serbandone poi memoria. Nel caso di una successiva infezione con il coronavirus vero e proprio, il sistema immunitario ha sviluppato le conoscenze per impedirgli di legarsi alle cellule e quindi di replicarsi con il rischio di causare la COVID-19.
Un principio simile è applicato in altri vaccini più “tradizionali”, come quello di AstraZeneca e di Johnson & Johnson, ma Sputnik V utilizza due adenovirus diversi, uno nella prima e l’altro nella seconda somministrazione (Ad26 seguito da Ad5), mentre AstraZeneca impiega un solo tipo di adenovirus per entrambe le dosi (ChAd). Secondo alcuni ricercatori, il fatto che il vaccino di AstraZeneca sia uguale tra le due somministrazioni potrebbe andare a danno della seconda dose, perché il sistema immunitario a quel punto ha già più strumenti per contrastare l’adenovirus.
Lo sviluppo del vaccino Sputnik V è stato gestito dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica N. F. Gamaleja di Mosca, che nello scorso novembre aveva fornito una prima valutazione sull’efficacia sostenendo che fosse del 92 per cento. La stima non aveva però convinto molto ricercatori ed esperti in giro per il mondo, perché la ricerca era basata su appena 20 casi di COVID-19, identificati analizzando 16mila volontari.
I nuovi dati pubblicati il mese scorso su Lancet offrono maggiori concretezze e sono basati su un campione di 20mila volontari (l’obiettivo è di arruolarne nel complesso 40mila). Circa tre quarti di questi avevano ricevuto il vaccino, mentre il restante quarto una sostanza che non fa nulla (placebo), per poter confrontare i risultati nei due gruppi.
Nei 21 giorni dopo la somministrazione della prima dose, i ricercatori hanno rilevato 16 casi di COVID-19 su circa 15mila individui (0,1 per cento) appartenenti al gruppo dei vaccinati, mentre nel gruppo con il placebo i casi sono stati 62 su 4.902 (1,3 per cento). Nell’analisi sono stati compresi 2.144 volontari con un’età di almeno 60 anni, e in questo sottogruppo il vaccino ha mostrato un’efficacia del 91,8 per cento nel prevenire casi di COVID-19.
Il test clinico non era stato organizzato per valutare l’efficacia di una sola dose, rispetto alla somministrazione di due dosi a distanza di tempo, ma analizzando i dati i ricercatori hanno calcolato un’efficacia del 73,6 per cento dopo 15 giorni dalla prima dose.
Il Fondo di Investimenti Diretti della Russia (RDIF), iniziativa sotto il controllo del governo russo per finanziare le imprese e incaricato di gestire la produzione di Sputnik V, ritiene che nel 2021 si possano produrre fino a 1,4 miliardi di dosi del vaccino, sufficienti quindi per la vaccinazione completa con due dosi per 700 milioni di persone.
Oltre all’uso sulla popolazione in Russia, il vaccino è prodotto per essere venduto all’estero e finora ha ricevuto l’autorizzazione in 16 paesi, con Egitto, Argentina, Brasile e Messico tra i clienti. Il governo dell’Ungheria ha avviato le somministrazioni dello Sputnik V anche se questo non è ancora autorizzato dall’Unione Europea, che ha la responsabilità di verificare sicurezza ed efficacia di farmaci e vaccini tramite la propria Agenzia europea per i medicinali (EMA).
Nelle settimane scorse, l’EMA aveva ricevuto critiche per non avere ancora avviato le procedure per autorizzare lo Sputnik V nell’Unione Europea. L’Agenzia il 10 febbraio scorso aveva però chiarito di non avere ancora ricevuto una richiesta di autorizzazione da parte del produttore russo, primo passaggio necessario per avviarne la valutazione. L’EMA mantiene comunque da tempo i contatti con il Gamaleja e ha fornito dettagli e informazioni, in modo da facilitare l’eventuale presentazione di una domanda di autorizzazione di emergenza nelle prossime settimane.
Dalla scorsa settimana, lo Sputnik V è utilizzato anche nella Repubblica di San Marino, per provare a ridurre i problemi legati alla scarsità delle forniture dei vaccini. San Marino non fa parte dell’Unione Europea e ha quindi meno vincoli nell’impiego di un vaccino non ancora autorizzato dall’EMA.
Stando ai dati ufficiali, finora in Russia hanno ricevuto le due dosi del vaccino Sputnik V l’1,2 per cento dei circa 145 milioni di abitanti. Il vaccino non ha fatto rilevare particolari reazioni avverse ed è ormai impiegato in diversi altri paesi.
È stata inoltre avviata una sperimentazione per valutare l’impiego combinato del vaccino di AstraZeneca e dello Sputnik V, utilizzandone uno diverso per ciascuna delle due dosi. Il Gamaleja, l’istituto di ricerca russo che ha sviluppato Sputnik V, potrebbe trarre vantaggio dalla soluzione mista con AstraZeneca: ultimamente è in difficoltà nel produrre la versione del proprio vaccino basato su Ad5. Questo adenovirus non ha inoltre una grande reputazione tra chi si occupa di vaccini, perché fu impiegato in passato per un vaccino sperimentale contro l’HIV (il virus legato all’AIDS) non solo poco efficace, ma anche causa di un aumento del rischio di contrarre l’infezione. La sostituzione di Ad5 con ChAd potrebbe evitare imprevisti per entrambi i produttori.
Il nome del vaccino russo è stato scelto per ricordare il primo satellite artificiale della storia, lo Sputnik 1 lanciato dai sovietici, mentre la “V” sta per “vaccino”.