Gorbaciov spiegato a chi ha meno di trent’anni
Oggi che lui ne compie 90: come giudicarlo dipende molto dai punti di vista, ma volente o nolente ha cambiato letteralmente il mondo
La mattina del 27 dicembre 1991, Michail Gorbaciov aveva lasciato la carica di presidente dell’Unione Sovietica da cinque giorni. Si trovava nel suo ufficio al Cremlino, a Mosca, in attesa di essere intervistato dai giornalisti italiani Enrico Franceschini e Fiammetta Cucurnia. Era la prima intervista dopo le dimissioni. I corridoi del palazzo erano semivuoti e c’era aria di smobilitazione: era stata già tolta persino la bandiera sovietica dalla cupola. Eppure, hanno raccontato poi Franceschini e Cucurnia, Gorbaciov non aveva l’aria affranta, o delusa. Al contrario, sembrava disteso e sollevato.
Il 1991 era stato un anno strano per Gorbaciov. A gennaio aveva dovuto gestire le proteste nelle repubbliche baltiche, che chiedevano l’indipendenza dall’Unione Sovietica. Ad agosto c’era stato un tentato colpo di stato ai suoi danni, mentre era in vacanza in Crimea. Il primo dicembre un referendum in Ucraina aveva visto l’indipendenza vincere con il 92 per cento, primo di una serie di eventi che portarono alla dissoluzione definitiva dell’Unione Sovietica. Alle prime avvisaglie di questa dissoluzione Gorbaciov reagì male e tentò il possibile per evitarla. Poi accettò il corso degli eventi.
«Mi vedete», disse nell’intervista di quel 27 dicembre. «Presa una decisione, non ci si pensa più. La stessa cosa mi successe nel 1985, quando decisi di cominciare. Oggi è la stessa cosa. È una scelta logica e del resto non è nemmeno inattesa. L’avevo detto: se il processo di riforma del nostro Stato multinazionale avesse superato la soglia di disgregazione dell’URSS, non ci sarebbe stato posto per me. Adesso inizia un’altra vita».
Gorbaciov prima di diventare Gorbaciov
Michail Gorbaciov nacque il 2 marzo 1931, novant’anni fa, a Privolnoye, un villaggio di campagna nel Caucaso del Nord. La sua famiglia era molto povera, benché suo nonno fosse a capo di un kolchoz, una fattoria collettiva. Suo padre era un operatore tecnico, guidava la mietitrebbiatrice nei campi, e ben presto cominciò a portarsi il piccolo Gorbaciov con sé per farsi aiutare. La coltivazione del grano era fondamentale, per il gran bisogno di materie prime seguito alla Seconda guerra mondiale, dalla quale l’Unione Sovietica era uscita vincitrice ma con enormi perdite economiche e di vite umane.
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Dopo i primi anni di carestia, un anno ci fu un raccolto particolarmente abbondante. Per questo il giovane Gorbaciov e suo padre ricevettero una medaglia dal regime, che allora era guidato da Josif Stalin.
Grazie ai voti eccellenti che prendeva a scuola e al riconoscimento ricevuto dal regime, il giovane Gorbaciov riuscì a entrare nella migliore università della Russia, la Statale di Mosca. Studiò legge, laureandosi con il massimo dei voti e riuscendo presto a colmare il divario che lo separava dagli studenti di città. Tuttavia, al lavoro nelle procure preferì la carriera politica, entrando nella Lega della gioventù comunista – la Komsomol – e scalando velocemente i ranghi nell’amministrazione locale della regione di Stavropol, di cui era originario. Nel giro di dieci anni diventò capo della sezione locale del partito, che significava essere a capo dell’intera regione. Aveva 39 anni.
In questo ruolo ottenne alcuni successi che ebbero risonanza nazionale, come l’inaugurazione del canale di Stavropol, all’inizio degli anni Settanta. Nel giro dei dieci anni successivi si guadagnò la fiducia del leader sovietico di allora, Leonid Brezhnev, elogiandolo spesso nei suoi discorsi pubblici. Nel 1978 Gorbaciov venne nominato Segretario del Comitato Centrale del partito.
Glasnost e perestrojka
Dopo la morte di Brezhnev, ci fu quello che venne poi definito l’«interregno» di Andropov e Cernenko, due leader molto anziani e che morirono pochi mesi dopo essere diventati Segretari del Partito Comunista, la massima carica sovietica. Quando nel 1985 morì Cernenko, a fare il nome di Gorbaciov fu Andrei Gromyko, funzionario di lungo corso ed “eterno” ministro degli Esteri dal 1957 in poi. Inaspettatamente, il Politburo, cioè la massima assemblea sovietica, lo appoggiò e Gorbaciov venne eletto all’unanimità capo dell’Unione Sovietica, il più giovane della storia. Aveva 54 anni.
L’Unione Sovietica arrivava da un ventennio di immobilismo e conservatorismo politico. Il potere era gestito da una burocrazia ministeriale diventata negli anni enorme e inefficiente, e da una struttura di partito che aveva da tempo perso dinamismo e che non riusciva più a dare impulso all’economia. Le tensioni interne nelle varie repubbliche socialiste, che chiedevano maggiore indipendenza, erano sempre maggiori, e c’erano estesi problemi sociali come l’alcolismo, che aveva raggiunto dimensioni preoccupanti.
I problemi, insomma, erano molti, e Gorbaciov tentò di affrontarli con un esteso piano di riforme sintetizzabili in tre parole d’ordine: glasnost, perestrojka, uskorenie. La prima – traducibile con “pubblicità” o “trasparenza” – indicava la volontà di ammettere, dopo decenni in cui il regime aveva edulcorato la realtà, la presenza di gravi problemi strutturali che andavano risolti. Viene associata anche al graduale tentativo di Gorbaciov di rendere la gestione delle informazioni più democratica e meno opaca, concedendo maggiore libertà di espressione. Perestrojka, che significa grossomodo “ricostruzione”, si riferiva all’enorme piano di riforme economiche di Gorbaciov, che avevano l’obiettivo di modernizzare il sistema economico sovietico introducendo elementi dell’economia di mercato e lasciando più autonomia alle imprese. La terza parola, presto dimenticata, indicava l’esigenza di accelerare la produzione per recuperare il blocco Occidentale.
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Sia la glasnost che la perestrojka ebbero effetti collaterali inaspettati e catastrofici per il regime. Da un lato l’apertura a una maggiore libertà di espressione causò un ulteriore aumento della spinta centrifuga in tutte le repubbliche socialiste, in particolare nel Baltico. Dall’altro le riforme calate dall’alto non fecero altro che aggravare la crisi economica, lasciando il sistema sovietico a metà strada tra un’economia pianificata e un’economia di mercato. Come scrisse lo storico Nicolas Werth, «pur rompendo i meccanismi dell’economia pianificata istituita, essenzialmente, negli anni Trenta, la perestrojka non seppe definire chiaramente nuove regole del gioco, né proporre ai lavoratori nuove motivazioni».
Tra il 1990 e il 1991 la crisi politica ed economica arrivò a un punto di non ritorno. Alcune repubbliche socialiste come la Georgia e le repubbliche baltiche dichiararono la propria sovranità, mentre dentro la Russia si stava costruendo un potere parallelo a quello sovietico, guidato dal presidente eletto Boris Eltsin. Contro questo potere, e contro Gorbaciov stesso, i vertici dello stato sovietico tentarono un colpo di stato nell’agosto del 1991, istituendo lo stato di emergenza. Era il loro estremo tentativo di mantenere il potere, ma il colpo di stato fallì soprattutto per l’opposizione popolare e per la mancanza di un vero appoggio da parte dell’esercito. La sua maggiore conseguenza fu quella di decretare la fine politica di Gorbaciov e di accelerare inesorabilmente il processo di disgregazione dell’Unione Sovietica, sfruttato da Yeltsin che prese il potere nella neonata Federazione Russa.
Il giudizio storico, e cosa non aveva capito
«Per capire che giudizio dare sulla figura di Gorbaciov, bisogna tenere presente che la valutazione occidentale della sua epoca è molto diversa da quella che si ha nei paesi dell’ex Unione Sovietica», spiega Marcello Flores, storico esperto di comunismo, di genocidi e di diritti umani. «Gorbaciov sapeva fare politica, era affabile e aveva buoni rapporti internazionali, perciò i leader occidentali vedevano di buon occhio le sue riforme. Ma i risultati in patria non furono molto positivi».
Secondo Flores, Gorbaciov non capì fino in fondo quello che stava avvenendo nelle repubbliche socialiste. L’ideologia comunista e federalista non aveva più presa sui popoli dell’Europa orientale, perciò «i leader locali dovettero trovare un nuovo schema per non perdere il potere, un nuovo patto con i cittadini, basato non più sull’ideologia comunista ma sul nazionalismo». Un altro punto debole di Gorbaciov erano le sue posizioni moderate, “centriste”. «Gorbaciov fu preso in mezzo da chi voleva un ritorno alla vecchia repressione dura del partito e chi invece voleva riforme e aperture più radicali».
Andrea Graziosi, docente di storia contemporanea all’Università di Napoli ed esperto di Unione Sovietica, ritiene che si debba distinguere il giudizio storico sull’uomo da quello sul politico. «Le intenzioni di Gorbaciov erano buone», dice Graziosi. «E sicuramente il giudizio storico è in parte positivo perché rifiutò l’uso della violenza, il che è già un gran risultato. Pensiamo a quello che successe con le guerre in Jugoslavia, solo per fare un esempio. Però il giudizio sulle riforme non è altrettanto positivo, perché Gorbaciov non aveva capito che era il sistema socialista a non funzionare. Andava cambiato per intero, come fece Deng Xiaoping in Cina che fece delle riforme profonde e radicali, molte delle quali ciniche e assolutamente non condivisibili, ma che portarono allo sviluppo economico cinese che conosciamo».
Per la realizzazione del suo documentario Meeting Gorbachev, uscito nel 2018, il regista tedesco Werner Herzog ha avuto tre lunghi incontri con Gorbaciov, discutendo con lui di molti temi. Tra le altre cose, Herzog gli chiese se secondo lui il processo di disgregazione dell’Unione Sovietica fosse inevitabile. Gorbaciov rispose incolpando Yeltsin e gli organizzatori del colpo di stato:
Invece di sciogliere l’Unione, avremmo dovuto scegliere di dare più diritti alle repubbliche. Ma avevano fretta, alcune persone avevano fretta, volevano prendere il potere. E avevano dei loro piani ben precisi […]. Adesso mi chiedono perché non li ho fermati. Ma era come battere la testa contro un muro. Questo perché alla gente piacciono i politici come Yeltsin, quelli avventati. Forse mi sarei dovuto comportare diversamente nei suoi confronti. Io non sono vendicativo».