Una canzone di Barry McGuire
Che tolse a "Help" dei Beatles il primo posto nelle classifiche americane
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Un vecchio stupendo video in cui si vede come Dylan volesse un mondo migliore per tutti, ma anche statemi a un metro di distanza.
Mi sono già ricreduto sul disco nuovo di David Gray, di cui mi aveva convinto poco la prima canzone anticipata: invece è bello, un bel disco di David Gray. Su Spotify.
Quando ieri ho linkato la cosa della Royal Albert Hall e i Beatles avevo l’impressione che ne avessimo scritto sul Post o parlato in redazione, a suo tempo: impressione non abbastanza forte da farmi ricordare che era perché era un pesce d’Aprile, come qualcuno mi ha rammentato subito. Vi chiedo scusa, non la raccontate agli amici (la storia; la mia maldestria potete raccontarla).
A maggio ci dovrebbe essere un disco nuovo di St. Vincent, cantautrice americana di gran culto negli scorsi anni, di cui parliamo presto.
E invece c’è già un disco nuovo di Nick Cave.
Le leggo, le vostre mail: se a volte non rispondo è solo per imbarazzo dei complimenti immeritati, ché stiamo godendoci queste cose tutti assieme.
Eve of destruction
È una canzone sconosciuta che conoscono in tanti, perché capita che la usino in serie tv, trailer, spot vari, malgrado le sue intenzioni iniziali tutt’altro che commerciali e conformiste. Lui, poi, Barry McGuire, non si è fatto notare per nient’altro e passò presto a cantare musica religiosa: ora ha 85 anni.
La canzone però l’aveva scritta nel 1964 un suo amico cantautore pure lui, P. F. Sloan (che è morto nel 2015 a settant’anni): sembrava così una canzone di Bob Dylan che la proposero ai Byrds, e ancora oggi su internet ci sono diversi che pensano che sia di Dylan. I Byrds la snobbarono, la pubblicò un’altra band con limitate attenzioni, e nel 1965 la registrò sbrigativamente Barry McGuire (con Sloan alla chitarra), che fino a quel momento aveva fatto il cantautore folk con attenzioni altrettanto limitate. Invece era il 1965, e la canzone uscì fuori come la più esemplare definizione di “canzone di protesta”, per temi, versi, suoni e modo di cantarla.
The Eastern world, it is explodin’
Violence flarin’, bullets loadin’
You’re old enough to kill but not for votin’
You don’t believe in war, but what’s that gun you’re totin’?
And even the Jordan river has bodies floatin’
Alcune radio americane la passarono subito, altre la rifiutarono: andò fortissimo, e tolse il primo posto in classifica a Help dei Beatles prima che McGuire avesse il tempo di rendersi conto di cosa stava succedendo.
Il refrain è uno spettacolo.
Tell me over and over and over again my friend
Ah, you don’t believe we’re on the eve of destruction
Dopo di che, come dicevamo all’inizio, il mondo non è stato distrutto, ha inghiottito e digerito pure le canzoni di protesta e le ha messe negli spot delle fiction tv. Oppure è stato distrutto sì, direbbe qualcuno. Oppure no, ma ci siamo adesso, a una vigilia di distruzione, direbbe qualcun altro. Oppure non ci sarà nessuna distruzione nemmeno questa volta, e ce la caviamo sempre. Quasi tutti.
Ci andremo canticchiando, comunque.
Tell me over and over and over again my friend
Ah, you don’t believe we’re on the eve of destruction
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