L’Unione Europea sta pensando a un “passaporto di immunità”
Ne hanno discusso giovedì i leader dei 27 paesi membri: i più favorevoli sono i paesi dell'Europa meridionale
Giovedì 25 febbraio i leader dei 27 stati membri dell’Unione Europea si sono riuniti in videoconferenza per discutere un piano comune per contrastare la pandemia da coronavirus. La discussione si è incentrata in particolare sulle vaccinazioni, ritenute fondamentali per un graduale ritorno alla normalità dopo un anno di restrizioni: si è parlato dei tempi e dei ritardi nelle consegne dei vaccini che i paesi dell’Unione stanno subendo, della maggiore velocità con cui invece si sta procedendo nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ma anche della possibilità di introdurre un “passaporto di immunità”.
Quello del “passaporto di immunità” è un tema caro soprattutto ai paesi dell’Europa meridionale che vorrebbero poter contare sulle entrate del turismo in estate.
L’obiettivo dell’Unione Europea, ha detto giovedì la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, è di vaccinare entro l’estate almeno il 70 per cento della popolazione adulta dell’Unione. I ritardi nelle consegne dei vaccini e nell’attuazione dei piani vaccinali dei singoli paesi, tuttavia, hanno mostrato come l’idea di raggiungere questi obiettivi sia estremamente difficile in tempi così brevi.
Da qui nasce l’idea di certificare con una sorta di passaporto le persone che hanno già ricevuto un vaccino contro il coronavirus oppure un esito negativo di un test. Le discussioni su come debba essere fatto questo passaporto sono appena agli inizi, e al momento non si sa che informazioni dovrebbe contenere.
L’idea dell’Unione Europea è di realizzare una piattaforma digitale comune per gestire i passaporti di immunità, in modo da rendere più semplice e rapida la verifica del proprio certificato alle frontiere e soprattutto negli aeroporti, prima di imbarcarsi. A questo proposito von der Leyen ha detto che è importante che i paesi dell’Unione agiscano insieme nella realizzazione della piattaforma.
Secondo la presidente della Commissione Europea, Google e Apple avrebbero già offerto proprie soluzioni all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), simili a quelle su cui si sta discutendo nell’Unione. Von der Leyen non vorrebbe lasciare in mano a società private i dati sanitari, che sono tra i più delicati e devono essere trattati con cura, soprattutto nel caso in cui siano trasmessi e scambiati online. Al momento, comunque, non si sa se Google e Apple stiano davvero lavorando a qualcosa del genere, e una fonte anonima di Apple ha smentito a Bloomberg che la società abbia mai discusso con l’OMS di una piattaforma per i “passaporti di immunità”.
– Leggi anche: Il “passaporto di immunità” ha senso?
Si sa però che diversi paesi dell’Unione stanno diventando sempre più favorevoli a introdurre uno strumento di questo tipo, dopo che nelle scorse settimane in molti avevano espresso perplessità a riguardo.
Il paese europeo che durante l’ultima riunione ha spinto di più per un “passaporto di immunità” è la Grecia, che da mesi porta avanti questa proposta, in vista del possibile arrivo di turisti nella stagione estiva, su cui poggia buona parte dell’economia nazionale. Già a gennaio von der Leyen si era detta d’accordo con la proposta del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis.
Il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, al suo primo vertice europeo, non ha espresso un’opinione netta riguardo ai “passaporti di immunità” e nei suoi interventi si è concentrato soprattutto sulla necessità di vaccinare presto il maggior numero possibile di persone. Secondo quanto scritto da diversi giornali italiani, Draghi avrebbe chiesto un cambio di approccio da parte dell’Unione Europea nei confronti delle aziende farmaceutiche che non rispettano gli impegni nella fornitura di dosi, prospettando un blocco delle esportazioni al di fuori dell’Europa per chi è in ritardo con le consegne.
Tra i paesi che invece avevano mostrato più dubbi c’erano Germania, Francia, Belgio e Paesi Bassi, secondo cui sarebbe ancora presto per parlare di un passaporto di immunità, dati i numeri molto bassi dei vaccinati nei paesi dell’Unione. Dalla riunione di giovedì, però, è emerso che anche i leader europei finora più restii sembrano essere oggi più aperti a un confronto sul tema.
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha detto: «Siamo tutti d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno di certificati vaccinali. In futuro sarà certamente una cosa buona avere un certificato di questo tipo, ma ciò non significa che solo chi ha un passaporto del genere potrà viaggiare; su questo non sono state ancora prese decisioni politiche». Dopo la riunione, Merkel ha specificato ai giornalisti che, dato il basso tasso di vaccinazioni, la questione del “passaporto di immunità” resta un progetto futuro e non immediato, ma che bisogna comunque essere pronti e per questo l’Unione Europea deve lavorare a un sistema comune per tutti i paesi membri.
– Leggi anche: Le regioni stanno usando poche dosi del vaccino AstraZeneca
Chi ha mantenuto un approccio piuttosto scettico è il presidente francese Emmanuel Macron, per cui il “passaporto di immunità” è uno strumento su cui non si può ancora fare affidamento del tutto, dato che ci sono molte cose che non sappiamo sulla durata dell’immunità dei vaccinati, sul rischio che questi possano essere contagiati nuovamente e sulla gestione dei dati personali. Ha poi però detto ai giornalisti che «alla fine avremo un approccio comune: è ovvio perché non c’è altra scelta».
Uno dei paesi più favorevoli al “passaporto di immunità”, dopo la Grecia, è l’Austria. Il cancelliere Sebastian Kurz ha detto che una certificazione di questo tipo dovrebbe essere introdotta in tutta l’Unione Europea non solo per i viaggi, ma anche per andare nei bar, ristoranti e partecipare ad eventi pubblici. Solo così, secondo Kurz, si potrà tornare alla normalità il prima possibile.
L’idea di Kurz è di fare come Israele, dove il governo introdurrà una sorta di “passaporto di immunità” che tramite un’applicazione certificherà di avere ricevuto il vaccino o di essere guariti dalla COVID-19 e quindi di poter accedere a diversi luoghi pubblici aperti solo per i vaccinati. Va detto che però c’è un’enorme differenza tra la situazione in Israele e quella nell’Unione Europea: Israele è infatti il paese più avanti al mondo con le vaccinazioni, e su 9 milioni di abitanti oltre la metà ha ricevuto almeno una delle due dosi del vaccino di Pfizer-BioNTech, con più di 3 milioni di persone che hanno già completato la vaccinazione.
– Leggi anche: Israele riapre qualcosa, ai vaccinati