In Giappone nel 2020 le morti non sono aumentate, nonostante il coronavirus
Le restrizioni hanno prevenuto le malattie respiratorie, molto pericolose per una popolazione anziana come quella giapponese
Nel 2020 in Giappone le morti sono leggermente diminuite rispetto all’anno precedente, per la prima volta negli ultimi 11 anni e nonostante il coronavirus. È un dato sorprendente e in controtendenza rispetto a quanto successo in moltissimi altri paesi del mondo, soprattutto se si pensa che il Giappone ha alcune caratteristiche che lo rendono particolarmente vulnerabile alla COVID-19: per esempio la popolazione più anziana al mondo. Il caso del Giappone mostra come le misure di prevenzione adottate contro il coronavirus – mascherine, distanziamento fisico, evitare luoghi chiusi e affollati – abbiano avuto successo non solo nel prevenire le morti per COVID-19, ma anche quelle per l’influenza stagionale e altre malattie respiratorie.
I dati preliminari forniti a inizio settimana dal ministero della Salute giapponese dicono che in Giappone nel 2020 sono morte 1.384.544 persone, quasi 9.400 in meno dell’anno precedente (il rapporto definitivo arriverà in autunno).
L’ultimo mese è stato il più difficile per il Giappone dall’inizio dell’epidemia: per la prima volta sono stati registrati più di 100 morti in un giorno per cause legate alla COVID-19 ed è stato raggiunto il picco di contagi giornalieri. Nell’ultima settimana la media dei contagi è di nuovo scesa, rimanendo intorno ai 1.200 casi giornalieri (per fare un confronto, nello stesso arco di tempo in Italia sono stati accertati in media più di 13mila casi giornalieri); l’Italia ha circa 60 milioni di abitanti, mentre il Giappone più del doppio.
Nonostante le sue città molto popolose, nelle prime due ondate dell’epidemia il Giappone era riuscito a tenere sostanzialmente sotto controllo i contagi e non aveva mai superato i 29 morti in un giorno.
I dati forniti dal ministero specificano le cause del decesso soltanto per i casi di morti relative alla COVID-19, e questo impedisce di capire meglio perché il Giappone abbia un dato così in controtendenza. Gli esperti però sono concordi nell’attribuire il calo delle morti alle misure restrittive imposte per contenere il coronavirus, e adottate prima rispetto ad altri paesi. Le restrizioni hanno permesso di contenere sia le morti per cause legate alla COVID-19 sia quelle dovute all‘influenza stagionale, che si stima causi circa 3mila morti ogni anno in Giappone; sono diminuite anche le morti per altre malattie respiratorie, come la polmonite, molto pericolose per una popolazione anziana come quella giapponese (più di un quarto degli abitanti ha almeno 65 anni).
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Uno dei motivi che potrebbero spiegare il dato sulle morti in Giappone nel 2020 è il fatto che nel paese le mascherine erano già piuttosto diffuse anche prima della pandemia, come in altri paesi asiatici, ed erano state ampiamente disponibili da subito. Il governo aveva anche puntato su una campagna di comunicazione che spingesse le persone a evitare spazi chiusi, luoghi affollati e contatti stretti.
Secondo uno studio dell’università di Oxford svolto in collaborazione col Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, anche in Cina nei primi 3 mesi del 2020 c’era stato un calo del numero delle morti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con l’eccezione della zona di Wuhan. Anche in quel caso si trattava di città in cui le autorità locali avevano agito tempestivamente.
Ciononostante, l’isolamento e lo stress dovuti alla pandemia hanno avuto altre conseguenze molto negative in Giappone. Nel 2020 sono aumentati i suicidi del 4 per cento, e se si considerano solo le donne la percentuale sale al 15 per cento.